Il titolo dell’iniziativa promossa dal Centro Gramsci di Urbino [a questo link la registrazione completa] propone un confronto anche “provocatorio” tra la drammatica situazione geopolitica odierna e lo scenario che precedette lo scatenarsi della Prima guerra mondiale, contraddistinto dalla rivalità tra grandi Imperi europei. Un confronto stimolato anche dalla lettura del libro “1914” di Luciano Canfora a cui cederò la parola, dopo alcune sommarie considerazioni introduttive.
Muovo da una duplice premessa. La Seconda guerra mondiale si inserisce nella catena degli eventi conseguenti all’esito della Prima (la “pace cartaginese” imposta alla Germania con i Trattati di Versailles). A ragione più di un autore l’ha definita la seconda guerra dei Trent’anni in Europa. In secondo luogo, mi pare che lo scenario attuale sia sempre più distante dall’idea di una nuova guerra “fredda” (di nuova guerra freddo-calda parla Cantaro, 2023). Mi chiedo (e vi chiedo): la guerra in Ucraina è ancora definibile “per procura”? O rischia di configurarsi più esplicitamente come una guerra diretta tra Nato e Russia? E che dire di quanto sta accadendo in queste ore in Medioriente, dove si delinea il rischio di una Grande guerra regionale con implicazioni globali? E anche nel sud est asiatico fino alla penisola coreana si profilano sempre più nitidi scenari di guerra “calda”.
L’economia come veicolo di pace
Il primo elemento di consonanza tra i due periodi in questione concerne l’idea che l’interdipendenza economica potesse di per sé essere un veicolo di pace, quando in realtà il capitalismo oggi come allora conduce fatalmente alla centralizzazione dei capitali, alle guerre commerciali e in ultimo al conflitto bellico (di recente sul tema Brancaccio, 2024). Mi perdonerà Canfora per la mia sintetica analisi.
Anche agli inizi del XX secolo in Europa, che era in pace dal 1871, c’era la convinzione che l’embrione di globalizzazione economica che si stava realizzando (sistemi monetari collegati, nessun passaporto alle frontiere) potesse impedire un Grande conflitto tra le grandi potenze. Le classi dirigenti liberali avevano tra l’altro tentato di impedire una rivoluzione dal basso, promuovendo una trasformazione dall’alto. L’Europa – come scrisse Braudel – era sull’orlo del “socialismo” o del baratro. Scelse la guerra. Analogamente, prima del fatidico 24 febbraio di due anni fa, era convinzione diffusa tra le classi dirigenti occidentali che la globalizzazione neoliberale avrebbe incluso nel sistema dei “valori” liberal-democratici la Russia e la Cina. La globalizzazione per un’eterogenesi dei fini è diventato il veicolo di una “grande convergenza” dei paesi del Sud globale.
Oggi come negli anni che precedettero il fatale attentato all’Arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono dell’impero austro-ungarico, si assiste ad un riarmo poderoso. Tra le protagoniste, oggi come allora, la Germania. Dopo l’invasione russa dell’Ucraina si è scatenata una nuova corsa alle armi in tutto il mondo. Oggi come allora si reintroduce o si allunga il servizio di leva. Si elaborano piani militari per ogni evenienza (anche le più “impensabili”). E oggi come allora ci si giustifica sostenendo che ci si arma solo come misura preventiva senza l’intenzione di usarle. Ma basta un evento imprevedibile, all’epoca l’attentato a Sarajevo, oggi un missile russo che cada per “errore” a Varsavia o in Romania, per scatenare la guerra totale. Con la non trascurabile differenza che oggi molto probabilmente potrebbe essere usata l’arma “fin di mondo”, sia pure “tattica”.
Scommesse mal riposte
Il secondo elemento di consonanza è solo ipotetico, per fortuna. Nel 1914 la dichiarazione di guerra dell’Austria-Ungheria al Regno di Serbia ha condotto alla deflagrazione di una guerra totale tra gli Imperi europei, anche a causa di tante “scommesse” sbagliate, sottovalutazioni dell’avversario, una partita a poker giocata male dai contendenti. Non è forse il rischio maggiore che corriamo oggi? L’Occidente e l’Unione europea con particolare solerzia forniscono all’Ucraina missili sempre più avanzati capaci di colpire in profondità il territorio russo, nella convinzione che la minaccia del ricorso all’atomica (tattica) sia un bluff; e se non lo fosse? Scommesse mal riposte anche in Medioriente. Non ho la pretesa di affrontare un tema così enormemente complesso in questa introduzione. Mi limito a dire che, riprendendo la metafora precedente, l’attuale Governo di Israele si muove e agisce come un giocatore d’azzardo che ha commesso crimini di guerra prima a Gaza e ora in Libano con l’intento di trascinare l’Iran in guerra e, di riflesso, anche gli Stati Uniti, i quali peraltro almeno per una parte dell’establishment non attendono altro. Ma anche in questo scenario pesa l’incognita dell’atteggiamento della Russia e della Cina, le quali hanno stretto (o si apprestano a stringere) partnership strategiche con l’Iran.
L’Unione sonnambula
Il terzo elemento di consonanza concerne il nostro “vecchio” Continente, invecchiato male, aggiungerei. Nel suo libro “I sonnambuli. Come l’Europa arrivò alla Grande guerra” Cristopher Clark sostiene che nel 1914 «Re, imperatori, ministri, ambasciatori, generali: chi aveva le leve del potere era come un sonnambulo, apparentemente vigile ma non in grado di vedere, tormentato dagli incubi ma cieco di fronte alla realtà dell’orrore che stava per portare nel mondo». A me pare – ma chiedo il supporto di Canfora – che l’Unione europea oggi si muova anch’essa come una “sonnambula” incapace di vedere il baratro che gli si para di fronte. Da una parte, l’Unione europea si mostra del tutto subalterna al disegno di Washington di appaltarci la guerra alla Russia per proiettare tutta la sua forza militare verso la Cina (Todd, 2024). Con il risultato di fare dello spazio europeo la trincea principale dello scontro tra Usa e Russia. Come denunciò a suo modo Piero Calamandrei quando espresse il suo voto negativo contro l’adesione italiana al Trattato Nato. E dall’altra parte il silenzio complice e impotente dell’Unione europea di fronte ai crimini dell’attuale governo di Israele prima a Gaza e ora in Libano. È un atteggiamento di pavidità che rifiuta di assumersi la responsabilità storica per la doppia tragedia di due popoli quello ebraico e quello palestinese.
L’Arma fin di mondo
C’è ovviamente una radicale differenza tra lo scenario odierno e quello del’14. L’evocata arma “fin di mondo”. Il tabù del mai più Hiroshima è caduto e si discorre tranquillamente della possibilità o meno dell’utilizzo dell’atomica (tattica). Andrebbe, allora, ricordato quanto dice Oppenheimer a un collega scienziato nella scena immortalata dall’omonimo film di Christopher Nolan. L’inventore della bomba nucleare “rassicura” Groves che le probabilità di annientare tutta la vita sulla Terra sono quasi nulle: «Quasi zero». Non zero assoluto, dunque. Oggi l’umanità, a differenza del’14, non può permettersi la guerra totale che finirebbe per combattersi anche con l’impiego delle armi di distruzione di massa. Altrimenti – come profetizzò sinistramente Einstein – la prossima guerra mondiale sarà combattuta con le pietre!
Testi citati
Brancaccio E., Le condizioni economiche della pace, Mimesis, 2024.
Canfora L., 1914 Sellerio, 2014.
Cantaro A., L’orologio della guerra. Chi ha spento le luci della pace, NTD, 2023.
Clark C., I sonnambuli. Come l’Europa arrivò alla Grande guerra, Laterza, 2016.
Todd E., La sconfitta dell’Occidente, Fazi editore, 2024.