D. Evidentemente la ricostruzione storica e filosofica da te compiuta non ubbidisce a un interesse di semplice erudizione ma giunge a misurarsi con alcuni problemi centrali del nostro tempo. Nel volume viene mostrato come attualmente sia in corso una guerra psicologica condotta dagli Stati Uniti ai danni di Russia e Cina. Una guerra che, possiamo dire, ha già riversato in Occidente una ondata di russofobia e sinofobia suscettibile di assumere le conformazioni più svariate. A questa si aggiunge una guerra economica, anch’essa già in atto. Ma il più forte timore è che queste opere di destabilizzazione, già di per sé gravide di conseguenze drammatiche sulla vita collettiva, preparino sin da ora l’eventualità dell’annientamento sul piano militare. Puoi illustrarci i rischi reali riguardo a quest’ultimo aspetto?
R. Diamo la parola a un analista autorevole e non sospetto di simpatie comuniste. Sergio Romano ha richiamato più volte l’attenzione sul fatto che gli USA aspirano da un pezzo a garantire a sé stessi «la possibilità di un primo colpo [nucleare] impunito». È questa aspirazione a spiegare la denuncia da parte del presidente Bush jr., il 13 giugno 2002, del trattato stipulato trent’anni prima. Era «l’accordo forse più importante della Guerra fredda», quello in base al quale USA e URSS si impegnavano a limitare fortemente la costruzione di basi antimissilistiche, rinunciando così al perseguimento dell’obiettivo dell’invulnerabilità nucleare e quindi del dominio planetario che tale invulnerabilità dovrebbe garantire. Il paese che pretende di essere la «nazione eletta da Dio», l’unica «nazione indispensabile» e circonfusa dall’aura dell’«eccezionalismo», vorrebbe assicurarsi un monopolio di fatto delle armi di distruzione di massa e dunque una sorta di potere di vita e di morte sul resto della popolazione mondiale. Tutto ciò non promette nulla di buono…
D. Su «La Lettura» del «Corriere della Sera» (03/07/2016), Antonio Carioti sembra implicitamente riabilitare una logica argomentativa cara ad Ernst Nolte, sia pure aggiornata ai giorni nostri: l’Occidente e gli Stati Uniti hanno commesso crimini atroci, ma si tratta di congiunture, effetti collaterali sopportabili pur di scongiurare quella che costituisce la più grande minaccia per la pace: il superamento del sistema capitalistico. Questo, qualora si verificasse, trasformerebbe invero il pianeta in un cumulo di “formicai” o di “cimiteri”. Sì che le guerre di Wilson o Bush jr sarebbero ben poca cosa in confronto alla spietatezza di Lenin o Mao, campioni, assieme al socialismo, non già dell’ideale di pace, ma dell’intolleranza e della violenza di classe. Che cosa risponderesti a queste accuse? Il sistema capitalistico resta pur sempre, come il Corriere vuole indurre a pensare, il più pacifista, il meno violento, dei sistemi realmente possibili?