Dall’89 ad oggi l’intero nostro presente è di fatto mappato, contornato da guerre: raramente con timbro ONU. Tutte con le loro etichette epocali, con i loro ossimori. Due tra tutte: «guerra umanitaria», «guerra al terrorismo». Sempre e solo «guerre celesti», quasi sempre a guida o conduzione «a stelle e strisce». Tutte ossessionate e istruite dall’esperienza vietnamita, dalla sconfitta e dalle perdite dolorosissime lì rimediate, e in parte da quella vista – e in un qualche modo sobillata – nell’Afghanistan invaso dall’URSS. Unico il comandamento messo a frutto: condurre possibilmente il tutto a distanza di sicurezza: ‘celestiale’, persino. E nelle forme più rapide: magari per ripristinare diritti nella paradossale negazione di quello fondamentale alla vita. Il tutto per risparmiare perdite e dolori al proprio campo. Tragiche illusioni pagate a carissimo prezzo. Basti pensare all’Afghanistan, il conflitto durato più a lungo nella storia USA. Soprattutto basta riflettere sul riflesso, sul rinculo domestico di quelle guerre: amplificazione e incrudelimento della «guerra civile», di quelle «cultural war» che da decenni – almeno dalla stagione della lotta per i diritti civili – scuotono e polarizzano la società americana; accentuazione ovunque del senso di smarrimento e insicurezza, corsa al rifugio – illusorio e impotente, il più delle volte – di nazionalismi e sovranismi.
Meno nota – magari appena evocata ma relegata in un angolo – la mappa delle guerre che hanno scandito la metamorfosi sovietico-russa e, soprattutto, l’ascesa di Vladimir Putin. L’elenco è noto: due interventi in Cecenia, fino al 2009, poi l’impegno in Georgia, con il riconoscimento come entità indipendenti di Abkazia e Ossezia del Sud (applicando il modello occidentale del Kosovo, gestito anche dalla Russia con la compartecipazione alla Kosovo Force), l’intervento in Crimea (applicato richiamandosi all’intervento americano in Iraq), quello in Siria e infine in Kazakhistan. Il tutto giustificato dalla necessità di garantire la tenuta del tutto, spesso costellato dall’intervento di servizi e forze di sicurezza in emergenze non sempre limpide e comunque indirizzato – soprattutto nei primi anni Duemila – alla costruzione di una salda leadership di governo. Sono quelli gli anni più bui della presidenza eltsiniana e della devastazione oligarchica del paese.