Speculari a quelle di Brzezsinki – ma senza esasperazioni – le posizioni prevalenti nelle principali correnti di opinione in Russia nei primi anni Duemila: il rapporto con l’Ucraina è decisivo per il futuro della Russia e della sua influenza nel mondo. Del resto si trattava di una postura tradizionale, vero e proprio fulcro della geopolitica classica. Superfluo il richiamo ai grandi del passato – da Karl Haushofer a Halford Mackinder – e alle loro elucubrazioni sull’«Eurasia», regione perno, vero e proprio Heartland, «cuore della Terra», da cui dipendono le sorti degli equilibri mondiali. Il dibattito, il confronto e a volte lo scontro accompagneranno il cosiddetto «allargamento della Nato» ad Est nel passaggio agli anni Duemila. Il tutto in una sostanziale riproposizione del vecchio bipolarismo e a dispetto del suo sostanziale tramonto anche in quest’area.
Alcuni dati, però, finiscono con l’essere trascurati in questo scenario dominato dall’egemonia americana e dal nuovo clima imposto soprattutto dall’11 settembre. Relegati sul fondo rimangono alcuni dati essenziali, destinati però ad esercitare il loro peso sia nell’immediato sia a distanza di tempo.
Come e quanto pesa lo strumento militare ampiamente e senza molti limiti utilizzato da Putin – ad esempio in Cecenia, soprattutto nella seconda tornata di quella guerra – nello spingere in pratica la totalità degli Stati dell’ex Patto di Varsavia o ex sovietici a cercare sicurezza, a chiedere l’adesione alla Nato? Perché un movimento tanto unitario e compatto di un intero mondo? Tutto frutto del potere di attrazione, del soft-power a «stelle e strisce»? O, peggio, di una caparbia volontà degli USA di scavare in quella miniera geopolitica, magari sotto l’influsso esercitato dai neocons di Bush II, alla ricerca di una chiara supremazia anche rispetto agli antichi alleati europei. È il caso sicuramente già segnalato di Rumsfeld e delle sue elucubrazioni su Old e New Europe, «Vecchia e Nuova Europa».
A cercar meglio si possono trovare altri dati che spiegano i movimenti sulla scena: ma di tutti i protagonisti. Gli Europei non sono stati con le mani in mano dopo la caduta del Muro. E anche loro hanno funzionato da calamita. La deriva da Est verso Occidente non è a senso unico verso la Nato. Anche la UE appena nata a Maastricht sfodera attrattive. Ma non a tutto campo. Quando ha provato a fare il salto da comunità economica a unione politica non ce l’ha fatta. Non è riuscita a liberarsi dal generale quadro di condizionamento segnato dalla Guerra del Golfo, e dallo strapotere lì esercitato dagli USA. Si è divisa infine nei suoi ranghi alti al G7 di Londra sugli aiuti a Gorbačëv e rispetto ai primi passi della dissoluzione jugoslava. E così, avviandosi al traguardo di Maastricht, ha mancato l’appuntamento sulle questioni fondamentali della politica estera e di sicurezza. Ha finito col dividersi tra due ipotesi: quella franco-tedesca di cominciare a costruire un esercito europeo e quella anglo-italiana di non abbandonare il coordinamento strategico con la Nato. E così nelle tavole della legge per la nuova Europa non v’è posto per una politica estera e di difesa comune ed è rimasto l’abbraccio atlantico per gli stati che aderiscono a quel Patto.