Il numero quindici di fuoricollana è dedicato all’Africa, il continente in cui si gioca anche il nostro futuro. Prima di tutto, per la dinamica demografica. Secondo le stime delle Nazioni Unite, nel 2050 l’Africa raddoppierà i suoi abitanti, raggiungendo la cifra di 2,5 miliardi, mentre il “vecchio” continente si attesterà intorno ai 550 milioni di abitanti. Un abitante su quattro del pianeta sarà africano. Allo stesso tempo, si intensificheranno i processi migratori interni ed esterni: i primi superano i secondi, contrariamente ad uno dei tanti luoghi comuni sfatati dal contributo di Vincenzo Comito. Sfuggono alle inesauribili guerre civili intestine, alle precarie condizioni igienico-sanitarie e alla diffusa insicurezza alimentare, agli effetti drammatici del cambiamento climatico che colpiscono con particolare durezza l’Africa, pur essendo il minor contributore a questo fenomeno.
Se nei prossimi decenni non ci sarà uno sviluppo economico e sociale adeguato attraverso strategie lungimiranti che non siano mera riedizione di politiche neocoloniali, l’emergenza diventerà travolgente. Nel 2017 i giovani del continente africano erano circa 628 milioni ed entro il 2050 saranno 945 milioni. Sono giovani che inevitabilmente si sposteranno, se saranno lasciati senza alcuna prospettiva di futuro.
In questo numero ci proponiamo di cominciare a ragionare su queste formidabili sfide, senza incorrere nelle stantie e superate chiavi di lettura eurocentriche e “neo-coloniali” con le quali siamo soliti leggere i fatti che accadono in Africa, nelle diverse Afriche. È questo l’approccio prescelto dai contributi di Anna Maria Medici, Andrea Guazzarotti, Donato Caporalini i quali, da diversi angoli prospettici, mettono in luce i limiti congeniti delle politiche europee di c.d. cooperazione allo sviluppo, compreso l’annunciato e alquanto etereo “Piano Mattei”.
L’Africa sembra oggi entrare in un nuovo ciclo storico, come si evince dal contributo di Salvatore Bianco che rilegge criticamente la sentenza hegeliana sull’”Africa senza storia”. L’impatto del neoliberismo (e del neoliberalismo) sul continente africano ha contribuito a scavare diseguaglianze disumane nell’indifferenza dell’Occidente ricco. Mentre la guerra in Ucraina ha messo fine alla pace in Europa, mentre Stati Uniti e Cina ingaggiano uno scontro multiforme nel Pacifico, le nazioni africane sono impegnate in uno sforzo per rivedere i rapporti di forza con il resto del mondo. Anche da questa volontà di rivalsa maturano i convulsi colpi di stato che hanno investito l’area del Sahel francofono (Mali, Burkina Faso, Niger e Gabon), all’insegna di contradditorio movimento di emancipazione nazionale nei confronti delle antiche potenze coloniali e, segnatamente, della Francia.
Dopo secoli di emarginazione, gli africani scoprono il gusto del protagonismo. Stefano Bellucci ci sollecita ad evitare una lettura di questi eventi come mera proiezione sul continente africano del conflitto geopolitico di potenza scatenato dalla guerra russo-ucraina. E ci invita a guardare alle complesse dinamiche sociali interne di quei paesi, nei quali la successione continua di putsch militari non si è in passato tradotta in un miglioramento effettivo delle condizioni di vita dei relativi popoli.
In Sudafrica (a Johannesburg 22-24 agosto) si è celebrato l’importante XV vertice dei paesi del BRICS, conclusosi con uno storico allargamento a sei nuovi, assai eterogenei Stati (tra cui due paesi acerrimi avversari, Arabia Saudita, Iran).
Luci e ombre, come emerge dalle analisi differenziate di Federico Losurdo e Anna Valvo. L’ordine internazionale piramidale successivo alla fine della Guerra fredda ed egemonizzato dagli Stati Uniti sembra non essere più capace di governare le enormi contraddizioni del pianeta. Quello che è stato definito un nuovo ordine internazionale “sferico” muove i suoi primi passi. Un ordine internazionale né unipolare, né bipolare, ma spiccatamente multilaterale in cui diversi soggetti internazionali, a cominciare da Usa, Cina e Russia, dovranno trovare un modo di far convivere l’ontologica complessità dell’odierno mondo globalizzato, pena l’avverarsi della sinistra e tragica profezia apocalittica evocata cinematograficamente da Christopher Nolan nel suo ultimo film “Oppenheimer”.