IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

Cosa dirà Putin nella celebrazione della Giornata della Vittoria?

Al netto delle crescenti speculazioni che vedrebbero l’ipotesi putsch farsi strada, in prossimità del 9 maggio, questa rimane se non fantasiosa un’ipotesi remota

Le analisi di determinati contesti geopolitici, proiettati nella contemporaneità spesso, se non sempre, incontrano la storia. Questa può divenire sia strumento volto a ricordare e riflettere sul passato, sia elemento fondante per la costruzione di una nuova narrativa.
Ed è proprio in questo contesto che andrebbe incardinata la data del 9 maggio per la Russia contemporanea; dolore e meditazione su ciò che questo giorno rappresenta per la totalità delle famiglie russe; strumento in grado di consolidare lo Stato che solo in questa data diviene Nazione.
Da Settimane, invece, nel fronte occidentale molte sono le riflessioni e previsioni attorno agli eventi di lunedì prossimo, in particolar modo su quello che potrebbe essere annunciato durante il classico discorso del presidente russo per celebrare la Giornata Della Vittoria – Den’ Pobedy.
Al netto delle crescenti speculazioni che vedrebbero l’ipotesi putsch – ancora una volta – farsi strada, in prossimità proprio del 9 maggio, questa a nostro avviso, come analizzato nel precedente commento pubblicato su fuoricollana.it, rimane un’ipotesi, se non fantasiosa, sicuramente remota e poco praticabile per la stabilità politica del Paese nel breve e medio periodo.

Due scenari

Dal nostro punto di vista, al netto di eventi imprevedibili, il discorso che precederà la classica parata militare sulla piazza Rossa potrebbe portare ad aprire due scenari – plausibili ma politicamente in opposizione l’uno con l’altro, soprattutto nella loro interpretazione da parte delle élites al potere come per tutta l’opinione pubblica russa.
In questo senso, prima di procedere all’esame di quelle che riteniamo le due direttrici nell’immediato futuro per Mosca, è opportuno fare una premessa che ci aiuterà poi il 9 maggio ad elaborare la nuova filosofia del conflitto.

La propaganda russa

Soprattutto nel dibattito pubblico italiano si stanno moltiplicando le interpretazioni – anche in modo molto acceso – inerenti alla propaganda russa diffusa su i suoi principali media, soprattutto televisivi. Lungi da noi dal giustificare toni e dichiarazioni dai caratteri per certi versi molto ruvidi, soprattutto per la nostra impostazione culturale; i dibattiti che vengono proposti, la durezza dei toni e degli argomenti trattati non hanno come target finale quello di un pubblico ampio.
I messaggi che di fatto stanno costruendo ormai da mesi la narrativa politica e la propaganda del conflitto, hanno principalmente un unico destinatario: il popolo russo.
Infatti, se si analizzano con attenzione i contenuti e il timing, pare chiaro ad un osservatore attento e conoscitore delle vicende russe (pre-conflitto), che questi servono non ad influenzare ma a consolidare il consenso attorno alla leadership e alle scelte che sta compiendo. Ovviamente questo non toglie che negli anni ci sia stato un meccanismo che abbia portato la leadership russa a costruire un suo consenso verso un pubblico esterno al Paese, ma questo è avvenuto attraverso dinamiche e strumenti diversi, tra cui anche la c.d. Politica dell’aiuto.

Guerra aperta?

Fatte queste premesse partiremo con quello che, sempre per voce di funzionari e ministri occidentali, potrebbe essere il messaggio principale che ci si dovrebbe aspettare lunedì; la mobilitazione generale che significa guerra aperta.

Il cambio di comando strategico sul terreno – con l’arrivo del generale Dvornikov reduce dalle operazioni in Siria – ha verticalmente modificato le linee di gestione strategico-tattiche delle forze regolari e non. A un primo sguardo, possiamo notare come il nuovo approccio abbia portato ad una mutata geografia del conflitto; concentrata per obiettivi territoriali e senza quell’over-stretching che ha costituito uno dei principali fattori di impatto negativo sul campo nella prima fase. Questa nuova anatomia militare però non ha portato al raggiungimento degli obiettivi fissati sul ruolino di marcia che tutti si aspettavano.

Mobilitazione parziale

Dato questo presupposto, pare quasi scontato, nella visione euro-atlantica sulla Russia, che lo scontro frontale con regole di ingaggio diverse – nella retorica – sia tra le ipotesi più gettonate. Ma non è così.
Una mobilitazione generale a livello federale porterebbe con sé degli effetti collaterali che difficilmente potrebbero essere corretti. Infatti, a risentirne sarebbe un’economia – anche nel settore difesa – che già sta affrontando non poche difficoltà; smobilitare forze e riservisti che nel frattempo sarebbero impiegati in attività economico produttive funzionanti a pieno regime nel Paese chiederebbe di reperire manodopera sostitutiva, magari anche specializzata, altrove e con costi di gestione maggiori.
Un secondo fattore che impedirebbe una mobilitazione totale è legato all’approvvigionamento per le parecchie centinaia di migliaia di soldati da inviare al fronte. Secondo i dati forniti dal Conflict Intelligence Team, (gruppo che opera nella raccolta di dati strategici in contrapposizione al governo), non ci sarebbero risorse disponibili sufficienti per approvvigionare con l’equipaggiamento necessario queste unità.
Da qui l’ipotesi più plausibile che potrebbe supportare lo scenario sopra descritto sarebbe quella di una mobilitazione parziale; questa interesserebbe le regioni al confine con l’Ucraina ampiamente colpite in queste settimane da colpi di artiglieria e incursioni aeree dell’esercito di Kiev.
In supporto a queste forze si potrebbero aggiungere i riservisti congedati nell’ultimo periodo di arruolamento (primavera 2021-2022), non ancora attivi nel mercato del lavoro. Parliamo in totale di circa 200.000 unità che sarebbe facile equipaggiare ed in prospettiva teoricamente già pronte all’impiego. Queste andrebbero a rinforzare le fila delle milizie delle autoproclamate repubbliche di Lugansk e Donetsk, liberando i reparti più preparati per facilitare l’avanzata su tutto il Donbass e la lingua costiera che porta ad Odessa. In questo senso potrebbero essere lette le azioni di sabotaggio che si stanno ripetendo periodicamente contro gli uffici di reclutamento militare soprattutto nelle regioni fuori Mosca.

Lo scenario dell’annuncio della vittoria

Il secondo scenario che noi riteniamo possibile, dati i segnali che arrivano sia da Mosca che dal campo di battaglia – soprattutto Mariupol – sarebbe l’annuncio della vittoria.
In questo senso andrebbero lette le ulteriori manovre attorno allo stabilimento “Azovstal”, dove si sono intensificati i tentativi di prenderne il controllo totale e annientare il battaglione Azov – ritenuto da Mosca l’emblema del nazismo ucraino.
Questa ovviamente rappresenterebbe una vittoria simbolica che andrebbe a chiudere in parte il cerchio della narrativa del Cremlino sulle squadre naziste che controllano il potere politico e militare di Kiev.
Questa soluzione, però, non chiuderebbe il conflitto in tutte le sue forme ma lo trasformerebbe in un confronto localizzato e a bassa intensità, sulla falsa riga di quello che è avvenuto negli ultimi otto anni nella regione. Inoltre, in questo caso si aprirebbe un ulteriore rischio per Mosca, quello dei negoziati; il mancato controllo di tutto il territorio del Donbass da parte delle forze militari russe porrebbe Mosca in una difficile posizione negoziale, dove Kiev avrebbe la forza di rigettare tutte le proposte del Cremlino ritenute “irricevibili” dagli ucraini. Questo porterebbe ad un cessate il fuoco apparente, dove il conflitto diverrebbe semi-permanente, aumentando così il rischio di incidenti diretti con la NATO.
La non conclusione del conflitto a nostro avviso andrebbe a danneggiare sia Mosca che Kiev per ragioni diametralmente opposte; un conflitto indefinito nella forma e nella sostanza allontanerebbe l’Ucraina dall’UE e dai piani di assistenza tecnica e aiuto per la ricostruzione – eventualmente applicabili solo in forma parziale. Mosca invece si troverebbe in primo luogo in una situazione strategicamente peggiore nella sua dimensione internazionale e di difesa; in secondo luogo le fratture interne, non solo a livello di leadership ma anche tra centro e periferia, la destabilizzerebbero maggiormente anche in vista di una transizione politica ordinata.
Realisticamente la speranza di un negoziato che porti una pace duratura potrebbe implicare ancora l’uso delle armi.
Il discorso del 9 maggio sicuramente svelerà quale dei due scenari proposti sia quello più realistico, al netto di ulteriori sorprese nelle poche ore che ci dividono da questo evento.
Non ci resta che attendere lunedì mattina, nella speranza – utopistica – che un negoziato serio non abbia bisogno di ulteriore spargimento di sangue su entrambi i fronti.

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