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cultura politica e costituzionale

IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

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IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

Cos’è successo?

La Cdu-Csu è il primo partito, ma è un successo in agro-dolce, chiaramente sotto la soglia minima del 30%. Non sarà facile per l’Unione e per la Spd, anche in considerazione della permanente dipendenza della sicurezza tedesca dagli Usa. Che fine farà il “cordone sanitario?”.

Qual era la domanda? Ripetiamola: le elezioni restituiranno alla Germania la stabilità politica e la forza economica che ha perduto negli anni della coalizione-semaforo?  La risposta è: probabilmente no. Vediamo perché. Le fratture che attraversano la società tedesca dal punto di vista territoriale, sociale, culturale e della visione del mondo sono profonde: non sarà facile ricomporle con una sintesi politica che risponda alle domande espresse dal voto e al consenso ricevuto dai partiti. Le posizioni divergono sul riarmo dell’Europa e i rapporti con la Russia e con Trump, sull’ambiente e sul clima, sulle scelte da fare per rilanciare l’economia, sui migranti e sul modo di rapportarsi alla destra dell’Afd.

Come hanno votato i tedeschi

Riepiloghiamo innanzitutto, come hanno votato i tedeschi e come sono suddivisi i 630 seggi di cui è composto il Bundestag. Primo dato, la bocciatura senza appello dei tre partiti della coalizione semaforo (Spd, Verdi, Fdp) che avevano vinto le elezioni del 2021 con il 52% dei voti e sommano oggi appena il 32,1%. Del governo di Olaf Scholz (Spd), che si era presentato con lo slogan ambizioso “Mehr Fortschritt wagen” (Osare più progresso) restano solo macerie. Il secondo dato è una buona impennata della partecipazione elettorale, che tocca l’82,5% (+ 6,2 rispetto al 2021), segno che la campagna elettorale aspra e controversa tra proposte politiche anche divergenti tra loro ha sull’elettorato un effetto mobilitante. Terzo dato, il successo dei partiti di opposizione di destra estrema (AfD), di centro-destra (Union) e di sinistra (Linke, ma anche Bündnis Sahra Wagenknecht-BSW che pure resta per 13.000 voti sotto la soglia del 5%). Nell’analisi del voto qui occorre differenziare. La Cdu-Csu vince le elezioni, è il primo partito con il 28,6%, ma è un successo in agro-dolce perché chiaramente sotto quella soglia minima del 30% che l’Unione aspirava a raggiungere (e risultato lontanissimo dal 40% e passa dell’ormai lontano 2013). Successo senza aggettivi è invece quello di Afd che raddoppia i voti, conquistando il 20,8% (+10,4, in termini assoluti sono più di 10 milioni di suffragi), diventa di gran lunga il primo partito nei Länder orientali, si proclama “Partito di massa” (Volkspartei) e si dichiara pronto ad assumere responsabilità di governo. Per Alice Weidel, candidata di punta di Afd, che ha potuto contare sul sensazionale appoggio esterno della nuova amministrazione Usa (Elon Musk e il vicepresidente J.D. Vance) si tratta di un risultato lusinghiero e che apre prospettive inesplorate. Successo anche per Die Linke con l’8,8% (+3,9), che può vantare di essere il primo partito a Berlino e di avere mobilitato una buona parte del voto giovanile: successo tanto più importante perché inatteso e conseguito nonostante la concorrenza di BSW, dovuto anche al drenaggio di elettori ecologisti delusi dalla “moderazione” dei Verdi, ma da non sopravvalutare visto il 9,3% che la Linke prese alle politiche del 2017. Lutto, invece, per BSW che pure raccoglie il 4,972% (2.486.670 voti), ma resta esclusa dal Bundestag. Sul deludente risultato hanno pesato l’ostilità dei media, una campagna di sondaggi volta ad accreditare l’idea del voto a perdere sotto la soglia del 5%, ma anche divisioni interne e scelte difficili sui migranti e sul rapporto con la destra, temi pressoché “intrattabili” a sinistra (non è da escludersi che ci siano contestazioni del risultato, dato il margine infimo dell’esclusione). Zero attenuanti per gli sconfitti. La Spd precipita al 16,3% (-9,3) e questa bruciante sconfitta sembra rinviare a uno smarrimento di identità ben più profondo della debolezza congiunturale riconducibile al candidato-cancelliere Scholz che peraltro non potrà non fare un passo indietro. Meno grave, ma politicamente molto significativa la sconfitta dei Verdi che si fermano all’11,6% (-3,1): il ministro dell’economia e del clima del governo uscente e candidato-cancelliere dei Verdi, Robert Habeck, non ha convinto e raccoglie i frutti amari di un “dirigismo ambientalista” molto costoso per l’industria e per le famiglie e la discesa del “clima” finita agli ultimi posti nelle preoccupazioni dei tedeschi, ben più in ansia per le questioni della pace e della sicurezza, del rilancio dell’economia e dell’ingiustizia sociale. Non pervenuti, infine, i liberali, fuori dal Bundestag con il 4,3% e più che dimezzati (-7,1): Christian Lindner, ministro delle finanze uscente, all’origine della crisi per la sua resistenza ad aumentare la spesa pubblica, ha già annunciato che lascerà la politica. Per fortuna dell’Unione e degli altri due partiti di sistema (Spd e Verdi), la frammentazione elettorale, grazie alla clausola di sbarramento del 5%, non si riflette nel Bundestag in cui entrano soltanto 5 partiti: l’Union con 208 seggi; la Spd con 120 seggi; i Verdi con 85 seggi; la Afd con 152 seggi (secondo partito!); la Linke con 64 seggi; e un deputato indipendente della minoranza danese. Questa composizione del Bundestag rende possibile una maggioranza a due (316 voti su 630) che sarebbe stata impossibile con 6 o 7 partiti, ma non assegna ai “partiti di sistema” (Union, Spd e Verdi) la maggioranza dei due terzi (421 seggi su 630) che occorre per modificare disposizioni costituzionali come il “freno al debito” (Schuldenbremse). Messa in conto l’attuale “pregiudiziale democratica” anti-Afd, la composizione del Bundestag rende pressoché obbligata, al momento, una maggioranza di governo formata da Cdu/Csu (Union) e Spd, con il cristiano-democratico Friedrich Merz come cancelliere.

Non sarà facile per l’Unione e per la Spd

I due partiti hanno tutta la professionalità necessaria e l’abitudine alla collaborazione parlamentare e di governo richiesta per trovare un’intesa. Ma facile, non sarà. Ci sono consonanze e dissonanze. Le consonanze riguardano la posizione pro-Ucraina e l’aumento delle spese per la difesa in una chiave “europea”, mentre le dissonanze riguardano l’economia e la politica sociale e queste dissonanze retroagiscono e relativizzano anche le consonanze. La Germania è entrata nel suo terzo anno di recessione. È un paese ricco, ma con un modello da buttare alle ortiche per la perdita del gas russo a buon mercato, per la sindrome di primo della classe nel perseguimento dell’obiettivo della neutralità climatica, per le minacce di dazi e le chiusure dei mercati che pregiudicano la politica mercantilista della crescita basata sulle esportazioni.

Il contesto geopolitico

Il contesto geo-politico rende il mercato europeo nuovamente interessante e indispensabile per la Germania. È un fattore che va considerato nel valutare e prevedere le spinte che vi saranno nell’iniziativa europea del nuovo governo. È chiaro che la Cdu-Csu di Merz per il rilancio dell’economia punta su una politica dell’offerta piuttosto che della domanda e che su questo con la Spd dovranno trovare una delle tante necessarie quadrature del cerchio richieste in questa fase. La Spd, per esempio, ha fatto campagna elettorale per aumentare da 12 a 15 euro all’ora il salario minimo, mentre la Cdu-Csu si batte per ridurre la spesa sociale e comprimere il “reddito di cittadinanza” (Bürgergeld). Sul piano della politica ambientale, la Cdu-Csu è per rinviare a data destinarsi la messa al bando del motore a benzina prevista per il 2035 e per una neutralità tecnologica che attenui divieti e obblighi previsti dall’attuale legislazione per i riscaldamenti domestici e l’efficienza energetica dei fabbricati (Heizungsgesetz). La Spd non ha su questi temi la rigidità dei Verdi (o anche della Linke), ma è pur sempre pienamente responsabile delle leggi fatte dal governo uscente. E poi c’è il tema enorme degli investimenti e dell’ammodernamento delle infrastrutture. E’ prevedibile che un punto centrale dei negoziati Union-Spd per il governo sarà la riforma dello Schuldenbremse (cioè rivedere l’obbligo del pareggio di bilancio scritto in costituzione) che peraltro è stato all’origine della crisi della coalizione-semaforo: il Tribunale costituzionale, dando ragione a un ricorso della Cdu-Csu, dichiarò infatti inammissibile (sentenza del 15 novembre 2023) l’utilizzo di una linea di credito di 60 miliardi, aperta per l’emergenza Covid, per fini diversi da quelli previsti e in un’annualità diversa da quella già disposta. La Spd ha collegato alla riforma dello Schuldenbremse anche la questione dell’aumento delle spese per la difesa (che per la Spd si potrebbero finanziare solo se c’è un via libera all’indebitamento). A parte che la Cdu-Csu è divisa sulla riforma dello Schuldensbremse, per cambiare la costituzione i tre partiti di sistema dovrebbero attingere anche a voti provenienti da uno dei due partiti di opposizione al sistema (AfD o Linke). Merz, che è un atlantista a tutto tondo (almeno di quell’atlantismo che precede il ritorno di Trump alla Casa Bianca), ha già segnalato l’intenzione di perseguire due obiettivi: primo, concludere un accordo di governo con la Spd prima di Pasqua (due mesi: dovranno darsi da fare, anche perché la Spd dovrà fare un congresso per rimettere insieme cocci e leadership e per dare il via libera all’intesa); secondo, restituire centralità politica alla Germania nell’Unione europea e assumere un’iniziativa sulla difesa che punti su una qualche autonomia dagli Stati Uniti (ha evocato discussioni con Francia e Regno Unito per la “condivisione europea” del loro ombrello nucleare e un rafforzamento pro-Ucraina e in chiave anti-russa del “triangolo di Weimar” con Francia e Polonia, allargato, come è già ora, a Regno Unito e Italia). Merz, nei mesi scorsi, ha anche sempre sostenuto l’invio di missili Taurus all’Ucraina (in grado di colpire in profondità la Russia), scontrandosi però contro l’insuperabile opposizione di Scholz.

Qualcosa c’è dunque da attendersi sul piano europeo e internazionale. Che cosa si vedrà, vista la permanente dipendenza della sicurezza tedesca dagli Stati Uniti e vista la intrinseca fragilità (moralismo e giuridicismo) e l’intrinseco opportunismo (mercantilismo) del – diciamo – “pensiero strategico” della Germania, almeno fino ad oggi. Su questa linea “autonomista” (quanto velleitaria e quanto realistica, si vedrà), Merz potrà però contare sul sostegno esterno dei Verdi, che, dal punto di vista internazionale, sono impegnati su una linea distintamente neo-con, anti-russa e anti-Trump: ultimi giapponesi, in difesa del cosiddetto” ordine internazionale basato sulle regole”. Sulla linea da tenere a proposito del riarmo e dell’atteggiamento da avere verso il “mondo-nuovo” inaugurato dal disgelo Usa-Russia, Merz non avrà probabilmente molto da temere dall’opposizione che certamente gli farà la Linke, la quale, tuttavia, nel suo inappagabile desiderio di giustizia – moralmente encomiabile ma politicamente inefficace – è contro ogni tipo di riarmo, ma anche a favore del ritiro senza condizioni delle truppe russe dall’Ucraina e, ovviamente, per una pace giusta e duratura nel pieno rispetto del diritto internazionale. Certo, la Linke non farà invece mancare l’opposizione sistematica sui temi sociali e contro ogni riduzione della spesa per il welfare, mentre si troverà in consonanza, e in concorrenza, con i Verdi sui temi liberal-progressisti dell’apertura ai migranti e dell’accelerazione delle politiche ambientali per raggiungere la neutralità climatica della Germania nel 2045 (cinque anni prima della scadenza prevista dagli accordi di Parigi), richiamandosi alla sentenza sul clima del Tribunale costituzionale del 24 marzo del 2021 che impose al legislatore di stringere i tempi per non violare i diritti di libertà delle generazioni future. Era un anno prima dello scoppio della guerra in Ucraina. Ma è una sentenza alla quale Verdi e Linke si richiamano assai spesso.

Che fine farà il “cordone sanitario?”

E qui veniamo dunque al punto più delicato e imprevedibile del voto del 23 febbraio 2025. Il successo dell’estrema destra e la tenuta del cosiddetto Brandmauer (muro tagliafuoco o, meglio, “cordone sanitario”), in forza del quale l’Afd è esclusa non solo dal governo ma anche dalle cariche parlamentari. I commentatori più europeisti e anti-Trump, tedeschi e non, tendono a dire che il voto è andato molto bene: l’Afd non conterà molto e non avrà nemmeno il monopolio dell’opposizione, nella quale potranno inserirsi perfino i Verdi, uno dei tre partiti-pilatro del sistema. È una cosa che si può dire, ma che trascura alcuni fatti già accaduti e ignora del tutto quelli che possono accadere. Quelli già accaduti sono sostanzialmente due: primo, le “storiche” votazioni del Bundestag del 29 e del 31 gennaio, quando l’Union votò per la prima volta insieme all’Afd sul tema delle politiche restrittive sui rifugiati (ottenendo il 29 gennaio l’approvazione di una mozione parlamentare sull’argomento, grazie anche al voto di astensione dei dieci deputati di BSW, ma non riuscendo invece, due giorni dopo, a fare approvare una legge sulla “limitazione” dei ricongiungimenti familiare degli stranieri beneficiari di una forma di “protezione umanitaria”, in ragione di defezioni di deputati della Cdu, della Fdp e di BSW). Aggiungiamo qui, per completezza, che il voto comune Union/Afd/Fdp/BSW sui migranti è stato un propellente formidabile della significativa mobilitazione popolare contro la Afd (notevoli gli striscioni: “Wir sind die Brandmauer”, “siamo noi il cordone sanitario”) e della campagna elettorale della Linke. Secondo, l’appoggio esplicito all’Afd da parte dell’amministrazione Trump, con i tweet di Musk e con il discorso di Vance alla Conferenza per la sicurezza di Monaco, incentrato sulla “denuncia” della repressione della libertà di parola in Germania e delle minacce per la democrazia in Europa che non verrebbero dalla Russia e da altri paesi autoritari ma “dall’interno” dei nostri stessi paesi (esempi presi da Romania, Regno Unito, Svezia e, appunto, Germania). Un discorso che ha indignato l’establishment tedesco, ma che ha fornito all’Afd una legittimazione di cui era finora completamente priva: da partito-paria, escluso perfino dai “Patrioti” europei di Orban e Le Pen, a partito-americano in Germania. Afd, a favore della pace in Ucraina e per la riapertura dei gasdotti con la Russia, si trova così a essere, al momento, il partito di Trump e di Putin. Difficile valutare le conseguenze di questo salto di qualità politico del partito della destra estrema. Ma difficile anche ignorarlo. Tanto più che nelle settimane che ci attendono, il fronte internazionale non resterà fermo in attesa della formazione del nuovo governo tedesco. Succederanno cose e magari qualche riflessione aggiuntiva e qualche revisione potrà essere suggerita anche a chi oggi pensa che l’Europa debba difendersi, via Ucraina, dalla minaccia russa alla nostra libertà e ai nostri valori e anche dalla minaccia dei nuovi oligarchi di Washington alla nostra cosiddetta democrazia liberale. I nodi politici verranno al pettine, sia in Germania che nell’Unione europea. E la stabilità politica e il rilancio economico tedeschi sono un orizzonte possibile, ma tutt’altro che certo.

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