IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

Costituzionalizzare l’algoritmo, digitalizzare la costituzione

È questo il duplice e ambizioso orizzonte dell’ultimo libro di Francisco Balaguer Callejón, direttore della Rivista di Diritto Costituzionale Europeo. È necessario che altri poteri costituenti, alternativi a quelli dell’economia digitale, scendano in campo

L’inquietudine della scienza giuridica critica comincia a far breccia. È di pochi mesi fa il pregevole volume collettaneo sulla guerra in Ucraina curato da Gaetano Azzariti (G. Azzariti, 2022). Mentre da poche settimane si è aperta sulle pagine del sito dell’Associazione dei Costituzionalisti Italiani una impegnativa riflessione sulla scorta di una lettera nella quale Fabrizio Politi pone il tema del quantum di disuguaglianza un ordinamento democratico può sopportare (F. Politi, 2023) e sulla quale sono già perspicuamente intervenuti Andrea Guazzarotti (A. Guazzarotti, 2023) e Quirino Camerlengo (Q. Camerlengo, 2023).Quasi contestualmente Francisco Balaguer Callejón, autorevolissimo giurista spagnolo, meritoriamente noto nel nostro Paese, dà alle stampe un corposo libro dal titolo La constitución del algoritmo nel quale prende di petto il tema della tenuta dei diritti fondamentali e della democrazia pluralista a fronte dell’irruzione del mondo digitale nelle nostre vite (F. Balaguer, 2022). Una nitida introduzione, sette densi capitoli, una agile conclusione che è anche una testimonianza personale. Una lettura istruttiva, anche per non addetti ai lavori.

La Costituzione “reliquia”

Il quadro è allarmante, ma quanto mai veritiero. Scrive il giurista europeo: «I grandi agenti globali, speculatori finanziari e aziende tecnologiche hanno scatenato forze che lo Stato non può controllare e davanti alle quali la costituzione appare impotente». La capacità di regolazione e controllo si indebolisce a fronte del potere di queste grandi società che occupano e monopolizzano uno spazio pubblico dove la libertà di espressione viene ridotta a merce, informazioni e opinioni si trasformano in dati monetizzabili, attraverso gli algoritmi delle applicazioni Internet. La crisi sanitaria e tutto ciò che ne è seguito hanno solo aggravato la situazione, consolidando tendenze che si erano già manifestate nei due primi decenni del nuovo secolo: «la costituzione regola un mondo che in parte non esiste più o è socialmente irrilevante», soprattutto agli occhi più giovani per i quali «molti dei precetti costituzionali che interessano gli ambiti in cui oggi si sviluppa la vita sociale sono una reliquia».
Ciò vale compiutamente – ne ho già parlato in Postpandemia (A. Cantaro, 2021) – per le generazioni nate tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo (i nativi digitali) che accedono alle tecnologie non semplicemente per il loro “valore d’uso” (paradigma umanistico) ma secondo modalità d’immersione (paradigma digitale). Vale di meno per le generazioni nate nei primi decenni del secondo dopoguerra (immigrati digitali) le quali, benché abbiano sempre più confidenza con la digitalizzazione delle diverse prassi operative e fruitive, continuano a ragionare in maniera analogica. Televisione, cellulare, videocamera o lettore mp3 sono ancora per queste generazioni strumenti distinti collocati in un posto preciso a cui si accede in modo disgiunto, com’era prassi nel mondo analogico, per ottenere una particolare funzione. Mentre nel frattempo la connessione digitalica caratterizza il panorama esperienziale dei bambini fin dai primissimi anni di vita, al punto tale che sovente i piccoli apprendono prima ad andare sul web che a camminare.

Las rupturas de la era digital

Attraverso l’algoritmo i dati vengono elaborati per ordinare la realtà. I problemi legali che più frequentemente sorgono hanno a che fare con l’attività degli algoritmi, non con la precedente regolazione di essi che non ha una configurazione normativa ma esprime un’azione del processore del computer precedentemente definita da esseri umani che, con istruzioni inappropriate, possono provocare danni ad altri essere umani. Ma il dato ancor più inquietante è un altro. Gli algoritmi, sottolinea Balaguer, «sono inseriti in processi decisionali pubblici» che, incidendo sul sistema delle fonti del diritto, mettono in discussione il principio «che non possono esservi al di fuori del circuito rappresentativo della democrazia pluralista ambiti di regolazione che incidono sui diritti».Alla luce della costituzione la loro garanzia non dovrebbe, cioè, essere compromessa dal fatto «che la loro lesione avviene attraverso procedure informatiche che utilizzano algoritmi».
Ciò è, invece, quanto materialmente accade attraverso quelle che l’autore definisce Las rupturas de la era digital (“rotture costituzionali”). Il mondo è sempre più governato da algoritmi progettati da aziende globali che minano gli elementi essenziali del costituzionalismo. I diritti fondamentali si svuotano di densità a favore di una loro configurazione strumentale a garanzia della sicurezza del traffico economico (diritti dei consumatori, degli utenti, protezione dei dati personali). Si svuota la democrazia costituzionale come processo pubblico, plurale e partecipativo. Si rompe il rapporto tra realtà fisica e realtà virtuale, la prima è ancora regolata dallo Stato attraverso il diritto pubblico mentre la seconda ha una portata globale ed è prevalentemente ordinata dal diritto privato.
Queste “rotture costituzionali” sono molto diverse da quelle che hanno strutturato il costituzionalismo. Queste storicamente hanno avuto a che fare con l’impianto rivoluzionario della costituzione nel mondo moderno, sono tutte avvenute all’interno dello Stato e in relazione all’ordinamento del potere statale. Al contrario, le rotture in atto nel XXI secolo si collocano al di fuori dello Stato e configurano un mondo in cui il potere dello Stato non raggiunge più gran parte della realtà da esso precedentemente ordinata. Abbiamo per un certo periodo coltivato la speranza, confessa l’autore de La constitución del algoritmo, di una democrazia 2.0 che sarebbe stata favorita dal Web 2.0. Ma «questa si è rivelata un’illusione», presto è arrivato l’incubo del progressivo monopolio dello spazio pubblico da parte delle grandi aziende tecnologiche». Attori globali che«dominano i processi di comunicazione nel mondo e configurano lo spazio pubblico in base ai loro interessi economici, promuovendo divisioni, conflitti, frammentazione e radicalizzazione della politica».

Che fare?

L’algoritmo, dice Balaguer, è in sé uno strumento per uno scopo specifico per ottenere ritorni di varia natura (prevalentemente economici). Che fare affinché tale scopo sia compatibile con la costituzione? E perché è necessario farlo? Perché «gli algoritmi non si progettano da soli» e anche nell’ambito dell’apprendimento automatico le nuove strutture, procedure e tecniche nella società digitale veicolano paradigmi e modelli culturali «che stanno cambiando il modo di pensare e i valori che ispirano le nostre società e che stanno generando una progressiva distruzione della politica», il grande spazio per la costruzione della vita democratica nel XX secolo.
La crescente incompatibilità tra costituzione e algoritmi non è, perciò, sottolinea giustamente l’autore,“una questione tecnica”. Ci vuole una “costituzione dell’algoritmo” che digitalizzi la costituzione e che costituzionalizzi la tecnologia, intelligenza artificiale compresa, «che la metta al servizio della società e controlli gli interessi economici dei grandi aziende». Questa costituzione dell’algoritmo deve riconfigurare la collocazione che le nuove procedure devono avere nel sistema delle fonti del diritto. Allo stesso modo, deve riordinare l’intero sistema dei diritti fondamentali per stabilire un collegamento diretto tra i diritti costituzionali e le nuove tecniche digitali. Solo in questo modo sarà possibile evitare che i diritti fondamentali vengano violati su vasta scala o diventino un mero accessorio dei diritti legati al mercato.
L’algoritmo non può essere titolo abilitante per la massiccia violazione dei diritti. La costituzione non può continuare – afferma perentoriamente il giurista spagnolo – a voltare le spalle a una realtà come quella del mondo digitale. I fattori di potere del nostro tempo si stanno sempre più dissociando dallo Stato e hanno sempre più potere, anche economico, contro lo Stato. Lo abbiamo visto con la crescita delle aziende tecnologiche durante la crisi sanitaria. Alcune, come Apple, hanno raggiunto un valore di mercato che supera il PIL di paesi come l’Italia o il Brasile. Ma «ancora più importante del valore economico è la capacità di configurare i processi di comunicazione e lo spazio pubblico attraverso le applicazioni Internet. Si tratta di società che occupano posizioni di monopolio nei territori in cui operano e che impongono le proprie condizioni agli utenti attraverso appalti privati a danno permanente dei loro diritti costituzionali (segretezza delle comunicazioni, privacy, partecipazione politica,) utilizzando i dati che estraggono dalla loro attività per creare profili utente che vengono utilizzati sia per pubblicità commerciale che per propaganda politica.
Il grido di allarme è forte e appassionato. L’autore de La constitución del algoritmo non si rassegna al fatto che il diritto costituzionale occupi un’area sempre più marginale nello spazio pubblico, non cammini più a fianco della scienza e dell’economia, non si configuri più nell’immaginario collettivo come uno strumento fondamentale per il progresso delle società.

La costituzione digitale “presa sul serio”

L’accorato appello di Balaguer rischia di restare mutilato se non riusciamo a fare i conti con le ragioni profonde del consenso di cui godono i processi di digitalizzazione. Se non “prendiamo sul serio” le radici sociali e culturali del declino della costituzione analogica e dell’ascesa della costituzione digitale. Dobbiamo realisticamente muovere dall’incontrovertibile fatto che la dilagante narrativa dell’homo digitalis è alimentata da una sfera, da una tecnosfera, che ambisce ad essere adeguata alla concreta e quotidiana vita dell’umanità digitale. È certamente vero, come rilevato da Alain Touraine, che nella rete non c’è società nel senso delle scienze umane e sociali moderne (A. Touraine, 2008). Ma se, come ci hanno ‘insegnato, in una lunga e alla fine vittoriosa guerra ideologica, Margareth Thatcher e i suoi apostoli neoliberali, la “società non esiste” (e l’emancipazione individuale come parte di una più generale emancipazione collettiva è solo una cattiva utopia), una rete a cui aggrapparsi alla ricerca di una liberazione privata non appare a tanti un desiderio così disdicevolmente barbaro. Nel mondo di oggi, in assenza di una sfera sociale autentica e vitale, la tecnologia per eccellenza della libertà è sempre più nell’immaginario collettivo la tecnologia digitale, e non più il costituzionalismo.
Il costituzionalismo ha, invero, fornito un’immagine plausibile, conciliante e rassicurante del mondo sino a quando gli ideali di uomo e di umanità da esso propugnati erano, virtualmente ed effettivamente, incardinati ed agiti in visibili e funzionanti ‘infrastrutture’ comunitarie, pubbliche, collettive. Manifesto esemplare di questa rappresentazione del mondo è l’art. 2 della nostra Carta costituzionale: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. E poi, strettamente connesso con l’art. 2, l’art. 3 che – dopo aver riaffermato la vigenza del principio liberale di eguaglianza dinanzi alla legge – impegna la Repubblica, per il tramite delle istituzioni dello Stato sociale, a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini (lavoratori) ne impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione.
Le nostre biblioteche sono piene di scritti che, muovendo da queste “incontrovertibili verità”, rappresentano le magnifiche, progressive, plurali, armoniche sorti dell’homo constitutionalis e delle formazioni sociali nelle quali vive (famiglie, comunità territoriali, professionali, religiose, partiti, sindacati, associazioni), rendendo unica e irripetibile l’umanità di ogni “singolo”. Lo testimoniano le molteplici e plurali visioni del mondo che progressivamente – e segnatamente nella seconda metà del ventesimo secolo – il costituzionalismo ha assunto quale sua indiscussa antropologia.
È, infatti, l’ontologica distinzione/separazione dell’uomo dal mondo, della cultura dalla natura, dell’umano dal non umano (animale, macchina), dell’umano dall’inumano – i postulati della narrazione antropocentrica moderna (R. Marchesini, 2021) – a fondare eticamente e razionalmente la priorità assiologica dello sviluppo della persona e la priorità normativa dei diritti fondamentali all’eguaglianza e alla libera differenza, due formidabili leve per portare alla luce la centralità dell’uomo nel mondo. L’homo constitutionalis è l’uomo del paradigma umanista che interagisce con l’ambiente senza farsene dominare, se ne serve (agisce in esso) senza perdere sé stesso e servendosene accresce, anzi,la propria essenza e autenticità. È un uomo autopoietico (si auto crea) e i diritti che il costituzionalismo gli fornisce sono perfettamente adeguati allo scopo di mantenerlo nella purezza originaria (libero, uguale) e nel suo profilo identitario (singolare, irripetibile). L’uomo è cultura e se la cultura è ciò che lo caratterizza, il suo dominio come unico attore del mondo su tutto ciò che non è umano (natura, animali, macchine) e su ciò che è inumano (i popoli che non hanno la cultura dei diritti umani) è logicamente conseguente (R. Marchesini, 2021).
Ma quanto questi presupposti e postulati antropocentrici sui quali è sorto e si è sviluppato il costituzionalismo moderno e contemporaneo sono ancora attuali e indiscussi nell’immaginario collettivo?

La cifra estetica ed etica dell’homo digitalis

L’homo digitalis ha portato allo scoperto una straordinaria difficoltà dell’umanesimo costituzionale a ‘implementare’ i suoi valori bussola. La mediazione digitalica ha reso palese, da un lato, il declino delle precedenti infrastrutture comunitarie (la sfera sociale) nelle quali le sue ‘verità’ apparivano un tempo dotate di indiscutibile senso. E ha, dall’altro, mostrato che è quanto mai espansivo un ‘secondo’ ambiente, la tecnosfera, nella quale gli esseri umani si mettono in contatto in modo automatizzato (con un sì o con un no) senza entrare in quella relazione somatica che, comunque la si declinasse e quale ne fosse il fondamento (l’interesse, la simpatia, l’alterità), era certamente un tratto costitutivo del ‘vecchio’ paradigma umanista.
La costruzione di un ambiente de-somatizzato, ormai una prima pelle per tanti, in cui declina la relazione diretta con il prossimo a vantaggio di quella mediata dalla finestra digitalica, è resa ‘concretamente’ possibile dal tramonto della tecnologia analogica. Se fino alla prima metà del Novecento, si poteva ancora parlare di techne come di un insieme di entità di supporto, parcellizzate in una moltitudine di strumenti disgiunti, con l’avvento della rivoluzione digitalica essa, oltrepassando la condizione analogica degli elementi strumentali separati tra loro, assume una consistenza dimensionale. Si fa ecosistema. Nella tecnosfera l’essere umano è, invero, chiamato a un’azione di proiezione in termini di pieno vissuto, di adesione a una seconda realtà, onde poter usufruire di diverse utility funzionali (la lettura di un testo, la firma su un documento, l’ascolto di un brano musicale, la visione di un film) muovendosi in modo dimensionale tra esse, esattamente come se fosse in un ambiente. Ciò muta sensibilmente la cifra di presenza e responsabilità nella prassi, giacché ogni produzione del soggetto – sia essa un semplice post in un social media o una decisione che coinvolga centinaia di persone agita con un semplice clic – è sempre mediata in modo destrutturato rispetto al piano somatico.
Lo constatiamo continuamente nelle pagine Facebook, ove a essere profondamente compromesso è il concetto stesso d’identità relazionale e consequenziale delle prassi agite. L’ente de-somatizzato non è semplicemente lontano, ma scioglie qualunque connotato di presenza, non è più chiamato a presenziare in modo diretto e identitario alle proprie azioni. La techne da supporto trasmuta in dimensione di ibridazione, immersione, adattamento. Un nuovo ‘regime’, una costituzione del digitale (M. Ricciardi, 2018), con forti seduzioni narcisistiche e solipsistiche che si ripercuotono sullo stato di agente morale del singolo (R. Marchesini, 2021).
Su questo piano della responsabilità, da sempre cruciale per il giurista, la distanza tra quanto accade nella ‘vecchia’ sfera sociale frequentata dall’homo constitutionalis e quanto accade nell’emergente tecnosfera frequentata dall’homo digitalis è quanto mai significativa. Un tema delicatissimo e, tuttavia, sin qui poco esplorato rispetto a quello della (pure) problematica tutela nella rete di fondamentali diritti del cittadino quali la riservatezza, la sicurezza, la proprietà intellettuale, la libertà di espressione. La scienza giuridica dell’‘era analogica’ aveva, in qualche modo, gettato un ponte tra la risalente ‘pretesa cristiana’ dell’irripetibilità e originalità di ogni essere umano e l’assolutistica ‘pretesa postmoderna’a che la società riconosca giuridicamente qualsivoglia progetto personale di vita del singolo. Lo aveva fatto ‘bilanciando’ il principio del riconoscimento dell’irriducibile individualità di ogni essere umano (identità, autorealizzazione, autodeterminazione) con il principio di una sua più ampia responsabilità sociale nei confronti del mondo che lo circonda. Andando oltre i presupposti ‘canonici’ della responsabilità per colpa, della mancata corrispettività delle prestazioni, della lesione di un diritto soggettivo in senso stretto, nel momento in cui enfatizza(va) l’esistenza di doveri di cura nei confronti della collettività, delle generazioni future, dell’ambiente, degli animali, del vivente non umano (tutte entità prive, a stretto rigore, di personalità giuridica).
Su entrambi i piani, tanto di quello della effettività della tutela dei diritti quanto di quello della responsabilità, la dogmatica giuridica è oggi messa a dura prova. Nella tecno sfera governata algoritmicamente a mutare è l’orizzonte dei valori tanto nella cifra estetica quanto in quella etica. Gli esempi sono innumerevoli e tutti quanti mai esemplificativi delle radicali sfide rivolte all’ homo constitutionalis quando la cosiddetta cittadinanza digitale assurge nella prassi a vera e propria forma di vita (A. Cantaro, 2021). È per questa ragione che anche coloro che, come Balaguer, continuano a rivendicare la natura progressiva e civilizzatrice storicamente svolta dal processo di costituzionalizzazione, avvertono a pelle che i processi di de-costituzionalizzazione stanno prendendo il sopravvento sui processi di costituzionalizzazione.

La de-costituzionalizzazione non è mero disordine

Siamo allora in balia – come suggerito dalle acute letture di Roberto Bin (R. Bin, 2016) e Geminello Preterossi (G. Preterossi, 2019) – di un nuovo stato di natura globale? Siamo regrediti ad una situazione pre-hobbesiana nella quale il Leviatano non riesce a imporsi, domina l’anarchia e viene, così, alla luce il volto duro e brutale del potere che pone rimedio al disordine e al caos? Per certi versi sì, per altri no. Siamo, piuttosto, in una situazione di interregno, avrebbe detto Gramsci (A. Gramsci, 2014). Una condizione nella quale nuovi poteri costituenti sono da tempo all’opera e convivono con i vecchi poteri costituiti, condizionandoli in forme opache.
La de-costituzionalizzazione non è, tuttavia, mero disordine, livellamento senza gerarchie. È il portato di una sempre più esplicita opera di ri-costituzionalizzazione. All’origine della de-costituzionalizzazione non ci sono forze magiche, ma nuovi poteri consapevoli della loro forza costituente. Non siamo di fronte ad un golpe, ad una frattura dell’ordinamento costituzionale esistente, bensì alla colonizzazione del vecchio ordine ad opera di un altro ordine.
Questi nuovi poteri stanno certamente minando i fondamenti dello Stato costituzionale e della costituzione dell’ordinamento internazionale. Vengono trasfigurate le nozioni di sovranità, territorio, popolo, cittadinanza, rappresentanza. Cresce la marginalità del medium legge. Sfuma la distinzione tra normatività e fatticità. Vengono esternalizzate funzioni di garanzia delle libertà e i soggetti che si incaricano del loro bilanciamento. Sorgono giurisdizioni alternative nelle quali la soluzione dei conflitti non è più affidata al diritto oggettivo, al diritto soggettivo, al diritto dei contratti, bensì a quei vincoli fluidi e informali evocati dal libro di Balaguer. E il simbolo per eccellenza di questi poteri – ha ragione il giurista spagnolo – sono le imprese multinazionali e, segnatamente, le grandi imprese digitali private e le loro piattaforme (Facebook, Apple, Amazon, Netflix, Google). Poteri senza responsabilità. Il completo ribaltamento delle virtù del costituzionalismo per il quale legittimi sono solo i governanti che rispondono del loro operato ai governati.
La rete in cui operano questi soggetti privati ricorda da vicino il “grande spazio” di Carl Schmitt (C. Schmitt, 1991; G. C. Feroni, 2020), un luogo immateriale e universale, popolato da utenti (cittadini digitali) immersi in flussi perpetui e cangianti. E malgrado si tratti di soggetti privati, senza un apparente territorio, le Big Tech si autorappresentano come Stati negli Stati e, persino, come soggetti del diritto internazionale. Meta-Stati a base societaria e non più sociale (A. Venanzoni, 2020).
I social ne sono il fondamentale veicolo di penetrazione nella smarrita cittadella della ‘vecchia politica’ e delle istituzioni. Queste appaiono sempre più impallidite di fronte all’immenso patrimonio informativo delle piattaforme digitali che batte, per dettaglio e aggiornamento, quello delle amministrazioni fiscali, sanitarie e statistiche degli Stati. Oggi il flusso informativo ha sopravanzato la banca-dati. Il software, sempre più sofisticato ed intelligente, è in grado di intercettare dinamicamente variazioni altrimenti impercettibili nelle vite, abitudini, gusti e tendenze che, a differenza di quanto avviene con i governi, gli utenti condividono spontaneamente. Cosicché, ai soggetti privati che detengono tali flussi informativi, gli Stati sono sempre più spesso costretti a ricorrere per la gestione, il supporto e l’operatività dei server di polizia, difesa, sanità, previdenza, fisco, sanità. E, soprattutto, a scendere a patti con loro, stipulando accordi e convenzioni per servirsi delle loro imprescindibili, insurrogabili, attività.
Anche gli sviluppi più recenti confermato la vocazione costituente, ordinamentale, delle piattaforme digitali. Sempre più tentate dal configurarsi come ‘Stati paralleli’, ormai fatturano Pil a livello degli Stati nazionali (ma senza debiti), si preparano a battere moneta digitale, mirano a crescere senza regole, se non quelle stabilite da loro (E. Morozov,2017). Il tutto sapientemente accompagnato da una campagna che dipinge gli Stati nazionali come ossificati, decadenti. Vetusti, lenti, antiquati, senza aderenza alle istanze di cittadini che apprezzano, invece, l’attenzione delle piattaforme alle richieste dei consumatori/utenti/navigatori della rete, la loro responsività persino quando i processi decisionali di queste grandi imprese appaiono palesemente opachi e poco trasparenti. E altrettanto martellante è la narrativa che rappresenta come totalmente impotenti e inutili le istituzioni ‘costituzionali’ dell’ordine globale del ventesimo secolo. Sempre più screditate a causa della vistosa distanza tra l’astratto “dover essere” delle carte dei diritti e il concreto “essere” del diritto internazionale. La generosa battaglia per costituzionalizzare il digitale e digitalizzare la costituzione a cui ci invita il libro di Balaguer appare, a chi scrive, assai ardua se altri poteri costituenti, di natura alternativa e antagonista a quelli dell’economia digitale, non scenderanno presto in campo.

Testi di riferimento

G. Azzariti (a cura di), Il costituzionalismo democratico può sopravvivere alla guerra, Napoli, Editoriale Scientifica, 2022
F. Balaguer Callejón, La constitución del algoritmo, Zarazoga, Fundación Manuel Giménez Abad de Estudios Parlamentarios y del Estado Autonómico, 2022.
R. Bin, Rule of Law e ideologie, in G. Pino V. Villa (a cura di), Rule of Law. L’ideale della legalità, Bologna, Il Mulino, 2016.
Q. Camerlengo, in https://www.associazionedeicostituzionalisti.it/it/la-lettera/01-2023-diritti-sociali-e-democrazia/eguaglianza-sostanziale-e-diritti-sociali-il-disincanto
A. Cantaro, Postpandemia. Pensieri (meta)giuridici, Torino, Giappichelli, 2021
A. Gramsci, Quaderni del carcere, Volume I, Quaderni 1-5, Quaderno 3 (1930), edizioni Einaudi, a cura di Valentino Gerratana, Torino, 2014
G. Ferroni, Come rifondare il diritto nella nuova realtà digitale, in Agenda Digitale, 23 novembre 2020.
A. Guazzarotti, in https://www.associazionedeicostituzionalisti.it/it/la-lettera/01-2023-diritti-sociali-e-democrazia/diritti-sociali-e-soggetto-della-costituzione-repubblicana
R. Marchesini, Come la macchina ci trasforma: l’approccio post-umanista per capire il presente, in https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/come-la-macchina-ci-trasforma-lapproccio-post-umanista , 12 febbraio 2021.
E. Morozov, Silicon Valley. I signori del silicio, Torino, Codice, 2017.
F. Politi, in https://www.associazionedeicostituzionalisti.it/it/la-lettera/01-2023-diritti-sociali-e-democrazia/diritti-sociali-e-democrazia-rappresentativa
G. Preterossi, Senza freni. La de-costituzionalizzazione neoliberale, in “Teoria politica”, n. 9, 2019.
M. Ricciardi, La Costituzione del digitale, in “DigitCult – Scientific Journalon Digital Cultures”, vol. 3, n. 3, 2018.
C. Schmitt, Il nomos della terra, trad. it., Milano, Adelphi, 1991
A. Touraine, La globalizzazione e la fine del sociale. Per comprendere il mondo contemporaneo, trad. it., Milano, Il Saggiatore, 2008.
A. Venanzoni, Cyber-costituzionalismo: la società digitale tra silicolonizzazione, capitalismo delle piattaforme e reazioni costituzionali, in “Rivista italiana di informatica e diritto”, n. 1, 2020.

Stampa o salva l’articolo in Pdf

Newsletter

Privacy *

Ultimi articoli pubblicati