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Se le fondamenta politico istituzionali della solidarietà continuano ad avere un carattere nazionale, la sua sostanza si sta rapidamente trasformando sotto le pressioni di una competizione sempre più intensa. Nel tentativo di adattarsi a questa nuova pressione competitiva, le comunità nazionali cercano infatti di difendere la loro solidarietà interna non tanto attraverso la protezione e politiche di tipo redistributivo, bensì attraverso il raggiungimento del successo competitivo e produttivo. Questo successo viene ricercato utilizzando la politica, non in contrapposizione al mercato, bensì all’interno di, e con il mercato, sostituendo progressivamente una solidarietà di tipo protettivo e redistributivo con una di natura produttiva e competitiva. I dettagli di questo processo che può avere come conseguenze anche una profonda ridefinizione del «modello sociale europeo» e delle idee e pratiche di solidarietà su cui si fonda, sono ancora lontani dall’essere chiari, così come lo sono i suoi risultati. Inoltre, come abbiamo visto, contano le differenze tra paese a paese, e proprio questo rafforzamento delle diversità nazionali sembra essere un importante elemento di quella sorta di aggiustamento competitivo che sta interessando la politica sociale europea.
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Tra le classi politiche europee è sempre più condivisa l’idea che le politiche di tipo redistributivo siano divenute eccessivamente costose, e per questo motivo la loro attenzione si è progressivamente spostata verso l’investimento nelle capacità degli individui e delle comunità per sopravvivere in un contesto caratterizzato da una competizione internazionale sempre più intensa. […] In teoria, se fosse possibile utilizzare gli investimenti pubblici per rendere uguale la posizione di partenza degli individui nei confronti della domanda di mercato allora sarebbero inutili le politiche redistributive ex post, o almeno questa è una speranza assai diffusa dal momento che le risorse per questo secondo tipo di intervento stanno sempre più diminuendo. I bisogni a cui tenta di rispondere la politica sociale sarebbero così soddisfatti in anticipo dalla politica economica e una approssimativa uguaglianza nei risultati – o, in modo meno ambizioso, un livello di diseguaglianza che sia compatibile con la coesione sociale – sarebbe raggiunta tramite una sommaria eguaglianza nelle dotazioni iniziali. […] In questo senso, si noti che la nuova parola d’ordine «occupabilità» ridefinisce le responsabilità della politica pubblica, non tanto nella direzione di demercificazione degli individui, quanto al contrario in quella di creare eguali possibilità per la mercificazione. La socialdemocrazia, quella della «Terza via», sembra quindi divenire poco distinguibile rispetto a un liberalismo attivo, che persegue la giustizia sociale tramite la distribuzione delle capacità per una migliore partecipazione al mercato e non tramite la distribuzione dei risultati delle attività regolate dal mercato.