Interessi economici e calcoli politici versus transizione energetica
I governi dipendenti dai combustibili fossili non sono gli unici cha opporre resistenza al nuovo ordine mondiale. Le imprese e i lavoratori il cui sostentamento dipende dall’estrazione , dalla raffinazione e dal trasporto dell’energia non appoggeranno i piani per il raggiungere l’obiettivo dello zero netto. Le maggiori aziende energetiche del mondo hanno investito centinaia di miliardi di dollari in progetti a lungo termine che genereranno profitti solo tra qualche anno o decennio. Sanno che l’abbandono su larga scala dei combustibili fossili ‘bloccherà’ le loro attività strategiche al punto da costringere molte di esse ad uscire dal mercato. (…) un altro ostacolo al raggiungimento dello zero netto è il fatto che la politica interna sui temi del cambiamento climatico e della decarbonizzazione assumerà contorni terribili in tutto il mondo. Sono pochi i leader eletti ansiosi di assumersi la responsabilità di politiche che infliggono sofferenze nel breve termine, soprattutto se saranno i futuri leader a incassarne i meriti quando se ne vedranno i risultati. I leader sanno anche che ottengono maggiori riconoscimenti se affrontano problemi locali invece di quelli globali. È più facile temporeggiare sul carbonio e farlo diventare il problema di qualcun altro. (…)
I rischi della geo-ingegneria
In un mondo in cui i leader politici dicono ai propri elettori che i muri sono in grado di proteggerli dalle minacce esterne, alcuni governi adotteranno nuove tecnologie capaci di offrire cure miracolose che non richiedono sacrificio alcuno. I cittadini, lieti di sentir parlare di soluzioni rapide ed economiche, saranno ansiosi di provarle. La ‘geo-gingeneria’ o ‘ingegneria climatica’, si prefigge di affrontare il problema del carbonio del carbonio nell’atmosfera attraverso al manipolazione del clima. Lo ‘sbiancamento delle nuvole’ (o ‘schiarimento delle nuvole’) è una tecnica mediate la quale si spruzza una nebbia di goccioline d’acqua di mare sotto pressione e Sali disciolti ad altitudini elevate per creare cristalli di sale e nuove goccioline d’acqua, aumentando la copertura delle nuvole sugli oceani e riflettere le radiazioni solari in entrata nello spazio. Altri progetti prevedono il rilascio di zolfo nella stratosfera per produrre un effetto simile allo sbancamento delle nuvole, ma molto più lontano dalla superficie terrestre. Gli scienziati stanno tuttavia discutendo sia della fattibilità che dei risvolti etici di queste tecniche, in particolare di quelle in programma all’interno di singoli paesi. Nebulizzare aerosol di solfati negli strati superiori dell’atmosfera per raffreddare la terra riflettendo la radiazione solare nello spazio è rischioso. È molto più economico di una riduzione drastica delle emissioni di carbone (tagliare dall’oggi al domani le emissioni significherebbe rallentare la crescita e probabilmente cancellare milioni di posti di lavoro). Ma non conosciamo i potenziali pericoli né sappiamo se possa effettivamente funzionare. Un’altra possibilità è continuare a pompare CO₂ ma sviluppando strumenti in grado di ‘catturarne’ gran parte prima che raggiunga l’atmosfera. È un po’ come raccogliere la spazzatura e seppellirla in una discarica. Il problema, oltre al costo, è che questo carbonio verrà probabilmente stoccato nei paesi poveri che hanno bisogno del denaro offerto loro per ospitarlo; e sarebbero sempre i poveri a rischiare i danni causati da eventuali fuoriuscite. In alternativa, potremmo riversare ingenti quantità di polvere di ferro negli oceani per far crescere il plancton che si occuperà di assorbire tutto quel carbonio. Lo svantaggio di una soluzione del genere, affermano alcuni scienziati, è che potrebbe uccidere buona parte della vita oceanica rimuovendo l’ossigeno dall’acqua senza peraltro assorbire molto carbonio. Nessuno conosce gli effetti a lungo termine di queste tecnologie né sa se il loro utilizzo in un paese avrà un impatto su quelli vicini. Non abbiamo ancora compreso abbastanza a fondo la capacità di adattamento dell’atmosfera terrestre per permettere ai singoli governi di testare teorie che potrebbero avere effetti globali (e permanenti). (…) Per contenere il cambiamento climatico e le catastrofi che può generare, e farlo ripartendo equamente i costi tra le nazioni ricche e quelle povere, i maggiori emettitori di carbonio del mondo – Stati Uniti, Unione europea, Cina, India, Brasile e altri paesi – devono superare le loro divergenze in atri ambiti e lavorare insieme. Devono condividere liberamente le informazioni e coordinare i loro piani. Devono inoltre condividere la responsabilità dei costi e dei rischi che fare la cosa giusta comporta. Devono farlo perché, in caso contrario, tutti ne faranno le spese. [Da Iann Bremmer, Il potere della crisi. Come tre minacce e la nostra risposta cambieranno il mondo, EGEA edizioni, 2022].