Ne La questione comunista Losurdo ritorna sulle fondamentali ragioni teoretiche e storico-politiche di questa eredità permanente, sulla necessità che il movimento comunista prenda autocriticamente atto dello straordinario valore di certe acquisizioni del liberalismo. Una necessità presente in più parti del volume, talvolta in modo apodittico, anche perché il serrato “corpo a corpo” non fa, neanche in questa occasione, alcuno sconto all’universalismo parziale del liberalismo, alle sue trasfigurazioni ideologiche della realtà.
Quel liberalismo che, avendo postulato che la piena umanità appartiene solo ai maschi bianchi e proprietari, ha giustificato la più brutale schiavitù a carico dei popoli coloniali, il dispotismo e l’assimilazione dei lavoratori salariati a meri strumenti di lavoro. Un serrato corpo a corpo che non risparmia liberalsocialismo e neoliberalismo i quali, auspicando una decontaminazione dei regimi “democratici” dalle idee socialiste, escludono la maggioranza della popolazione mondiale dalla piena cittadinanza. Ipocrisie costituzionali, secondo la perspicua definizione coniata da Massimo Severo Giannini. Per uno dei più autorevoli giuristi italiani dello scorso secolo lo Stato liberale dell’Ottocento è uno Stato borghese monoclasse.
L’affermazione che il movimento comunista deve prendere atto dello straordinario valore di certe acquisizioni del liberalismo è, dunque, un’affermazione apodittica ed estemporanea? Le pagine 92 e 93 de La questione comunista smentiscono questa possibile interpretazione.
Non esistono libertas minor
Il liberalsocialismo – osserva Losurdo – è nato da un equivoco di cui non è il responsabile unico. Agli inizi della guerra fredda, Isaiah Berlin, esponente del liberalismo classico, scioglieva un inno all’Occidente in questi termini: se anche sussistevano aree di miseria che inceppavano la “libertà positiva” (l’accesso all’istruzione, alla salute, al tempo libero), garantita per tutti era comunque la “libertà negativa”, la libertà liberale propriamente detta, la sfera di autonomia individuale dell’individuo. Cinque anni dopo, Galvano della Volpe, in quel momento forse il più illustre filosofo comunista italiano, rispondeva contrapponendo alla libertas minor la libertas major, la superiorità dei diritti economico-sociali (la libertà positiva) sulla libertà liberale (la libertà negativa)”.