Grozio converge quindi con Hobbes nello spostare il baricentro della guerra sul soggetto della guerra, lo Stato, più che sulla sua causa? Sì e no. Sì, di fatto, anche se con minore nettezza e assolutezza: la guerra solenne fra gli stati si allontana dalla guerra giusta. No, per quanto riguarda la via, il metodo attraverso i quali i due autori giungono a questo risultato: Hobbes porta la guerra dentro la politica spostandola sull’utilità (una causa di guerra che per Grozio non dà origine alla guerra giusta), Grozio dentro il diritto. Hobbes fronteggia lo svuotamento del mondo, dal quale la giustizia è naturalmente del tutto assente, concentrata e confinata com’è soltanto nelle molteplici sovranità di origine patrizia, l’una contro l’altra armata e minacciose; Grozio al contrario erode solo in parte i fondamenti metafisici tradizionali e li sostituisce con una bulimia giuridificatrice, che gli consente di affacciarsi su un mondo riempito ed infinite fattispecie, di differenze, di contingenze non nichilistiche ma tutte soppesabili, valutabili, mediabili razionalmente in una rete in cui i nodi, di fatto, sono oggi gli Stati, mentre in linea di principio possono essere anche soggetti privati (le compagnie commerciali europee e i loro rapporti con le remote realtà extraeuropee, sono le prime indiziate). Chiunque abbia diritti può anche fare guerra in una visione del mondo tanto irenica (se esiste una trama giuridica e razionale dell’essere, allora la pace è possibile) quanto conflittuale (se esistono i diritti allora devono necessariamente esistere i tribunali e anche le guerre, per decidere le cause che i tribunali non possono definire). La guerra è una decisione non decisionistica ma giudiziaria, proprio come la politica non soltanto è la forma unitaria della società ma una manifestazione della sua giuridicità plurale e differenziata.
Una spazialità “plurale”
La guerra solenne non esaurisce le fattispecie della guerra, che sono numerose: nella guerra si manifesta la pluralità dei soggetti e del mondo, ovvero si dimostra che se la dimensione della storicità è in Grozio orientata al presente, la spazialità è invece articolata col suo portato di conflittualità e di differenziazione interna all’Europa, nonché tra Europa e resto del mondo. Se le varie forme della guerra da una parte non sfondano in modo definitivo la trama giuridica dell’umana coesistenza, dall’altra ci rivelano che il suo universalismo non è un monistico formalismo normativistico sovra-politico, né è un’ipotesi di potestas directa universale, dell’Impero o della Chiesa, ma allude a un intima giuridicità della vita concreta, spazialmente dilatata – una giuridicità che prende le forme anche della guerra-. Quella di Grozio non è una hobbesiana insocievole anarchia internazionale, ma è una società internazionale anarchica perché priva di centro, ma non di un minimo di interna relazione.