IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

Guerra e sostenibilità alimentare globale

La fame non è una calamità naturale, ma la conseguenza dell'ascesa di un paradigma produttivistico applicato all’agricoltura che ha generato malnutrizione, molteplici esternalità negative, amplificate dal cambiamento climatico

Quindi, cosa fare?

Questa situazione ha alimentato un intenso dibattito in diversi ambiti, trascurando tuttavia l’analisi critica dell’insieme di fattori (peraltro interrelati) che ci hanno portato fin qui.
La soluzione mainstream generalmente indicata, infatti, è “bisogna produrre di più”. E il modello ritenuto più adeguato a conseguire questo obiettivo è quello dell’agricoltura industriale e dell’allevamento intensivo. Un modello visto come la best solution ma che, in realtà, è la (con)causa del problema della fame e della malnutrizione. E non solo.
L’industrializzazione dell’agricoltura, iniziata con la green revolution e finalizzata all’aumento della produttività di terra e lavoro, è basata sull’utilizzo di specifici pacchetti tecnologici (sementi modificate, fertilizzanti e pesticidi chimici di sintesi, meccanizzazione e irrigazione), che, oltre a non aver risolto evidentemente il problema della fame e della malnutrizione, hanno generato molteplici esternalità negative, amplificate dal cambiamento climatico che, a sua volta, concorre ad alimentare. Ricordiamo, infatti, che il cosiddetto AFOLU – Agriculture, Forestry and Other Land Use – si stima sia direttamente responsabile di circa un quarto delle emissioni antropogeniche di gas serra.
In particolare, l’agricoltura industriale ha fortemente contribuito a un insieme di fenomeni, tra cui declino della biodiversità, inquinamento e degrado delle risorse naturali, erosione e dissesto idrogeologico, distruzione dell’equilibrio degli ecosistemi e perdita di fertilità del suolo, con conseguente grave peggioramento delle rese. Produzioni agricole inefficienti, data la forte dipendenza dai combustibili fossili, anche per l’uso massiccio di concimi chimici di sintesi, e che, per di più, sono responsabili di gravi effetti negativi sulla salute e sulla qualità della vita dei lavoratori, delle popolazioni rurali e dei consumatori.
Si tratta di un modello funzionale all’organizzazione di supply chain globali, controllate da grandi gruppi della trasformazione e della distribuzione alimentare, con delocalizzazione delle diverse fasi della filiera in funzione dei livelli dei costi di produzione, che ha progressivamente assottigliato i redditi dei produttori agricoli di molti paesi, di molte regioni.
Insomma, un modello del tutto insostenibile a livello ambientale, sociale ed economico che, negli anni, è stato “copia-incollato” in situazioni profondamente diverse in termini climatico-ambientali, strutturali e infrastrutturali e di qualità del capitale umano, schiacciando i sistemi produttivi agricoli dei paesi meno sviluppati. Sistemi che ovviamente non sarebbero e non sono mai stati in grado di competere sul prezzo con quelli modernizzati dei paesi a più alto reddito. Così, la proposta di un “paradigma della quantità” ha di fatto condannato alla dipendenza alimentare quote crescenti delle popolazioni mondiali, costantemente esposte alle fluttuazioni dei mercati internazionali. Anche nei paesi agricoli, che non sono stati in grado di difendere la loro sovranità alimentare, ritenendo più conveniente importare derrate a basso costo, anche per contenere il livello dei salari, piuttosto che investire per rafforzare i sistemi produttivi locali. Anche (e forse soprattutto) nelle aree rurali, segnate dalla rottura dell’equilibrio produzione-consumo, dove minori sono le possibilità di assistenza. E tutto questo, non dimentichiamolo, grazie a una liberalizzazione a più velocità, portata avanti in sede WTO, e al crescente land grabbing export oriented, entrambi funzionali soprattutto agli interessi delle grandi imprese estere e dei paesi più ricchi.
Ecco alcune delle ragioni del dramma della fame. Ecco perché la fame non è una calamità naturale.

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