Quale strada imboccare?
Il primo passo da compiere sarebbe quello di non continuare a proporre quel modello che ha contribuito a provocare una crisi ambientale, sociale ed economica senza precedenti, riconoscendo che la fame è, almeno in parte, la (il)logica conseguenza di una serie di scelte relative alla dimensione tecnico-produttiva e a quella politico-normativa. E, invece, coerentemente con l’approccio riduzionista che sta tornando di moda in questo periodo, si continua a “Guardare il leopardo con una canna di bambù”… Così, in analogia alla proposta delle centrali a carbone per risolvere la crisi energetica e annullare la dipendenza dalla Russia, non si prendono in considerazione quei modelli di produzione-scambio-consumo (già disponibili) che possono rappresentare una soluzione sostenibile anche al problema della malnutrizione e della fame. E mi sto riferendo agli agri food systems basati sui diversi modelli di agricoltura biologica.
Modelli che oltre a essere in grado di garantire accesso a cibo di maggiore qualità, si dimostrano particolarmente efficienti nel perseguire molteplici obiettivi indissolubilmente legati alla salute del Pianeta e dei suoi abitanti: mantenimento degli ecosistemi e della biodiversità, protezione del suolo e delle falde acquifere, contenimento del dissesto idrogeologico, miglioramento del ciclo dei nutrienti e della fertilità, equilibrio del bilancio idrico, sequestro di carbonio e resilienza al cambiamento climatico, risparmio energetico e minori emissioni di gas serra, riduzione dell’antibiotico e dell’incidenza di molteplici patologie umane così come la possibilità di diffusione di zoonosi e di spillover.
Modelli che ovviamente avrebbero bisogno di interventi strutturati, in un’ottica di sostenibilità di sistema, a partire, ad esempio, dal miglioramento dell’efficienza per ridurre lo spreco alimentare (pari al 30% della produzione totale), dalla creazione di filiere che riconoscano un giusto prezzo agli agricoltori o alla revisione dei comportamenti alimentari per contenere sia la quota di persone obese/sovrappeso sia le emissioni individuali di CO2, oltre che di programmi di R&S calibrati sulle necessità dei diversi sistemi produttivi.
E, invece, le proposte si sviluppano in altre direzioni, per cui si assiste alla pubblicazione di articoli di pseudo divulgazione scientifica che ritengono urgente l’abbandono di una prospettiva olistica, alle decisioni della Commissione Europea di sospendere alcuni aspetti delle Strategie “Farm to Fork” e “Biodiversity”, proprio per perseguire l’obiettivo della sicurezza alimentare o, addirittura, alle dichiarazioni di manager di una multinazionale che arriva ad affermare che è proprio l’agricoltura biologica la responsabile della fame del mondo.
Rispetto alle altre decine conflitti in corso (annualmente mappati dall’ONG Armed Conflict Location & Event Data Project) che interessano una parte sostanziale del globo, la guerra Russia-Ucraina ha indubbiamente innescato una serie di reazioni a catena dalle conseguenze inimmaginabili. Ma il persistere nell’affrontare situazioni complesse con soluzioni semplici significa non risolvere il problema e portare a conseguenze devastanti, perché trascurare i meccanismi di feedback non implica l’annullamento dei loro effetti. Esistono comunque.