L’avevamo ripetutamente paventato. Più la guerra d’Ucraina si protrae e più diventa insensata e rischia di assumere i tratti di una guerra totale. E letteralmente insensata la guerra d’Ucraina lo è ormai da mesi. All’inizio – lo ricorda Domenico Quirico in un recente articolo che ripubblichiamo nelle nostre Lezioni d’autore – sembrava tutto chiaro. L’obiettivo russo “era la egolatrica cancellazione dell’Ucraina come soggetto indipendente e la sostituzione di Zelensky con qualche manovrabile vassallo che accettasse moscoviti beneplaciti padronali. Il dichiarato obiettivo ucraino era speculare: riprendersi quanto perduto dal 2014 e ottenere infrangibili e automatiche garanzie, soprattutto militari, dagli Stati Uniti. Lo scopo di Washington e dei suoi alleati più maneschi, Inghilterra, Polonia e baltici, si fissava nella sconfitta-esecuzione di Putin e nella usura irrimediabile della potenza militare ed economica russa. Dopo cinquecento giorni, nessuno di questi scopi esiste più. Mosca non riuscirà più a rimettere sotto controllo Kiev diventato uno Stato militarizzato. Ma la riconquista dei territori rubati, a sua volta, è fuori portata per l’esercito ucraino pur imbottito di tutte le armi dell’Occidente: semplicemente perché è al di sopra delle sue forze. L’annientamento della Russia come potenza militare, poi, richiederebbe un intervento diretto della Nato che urta con la spinosa realtà delle cinquemila atomiche russe”.
La progressiva scomparsa di ogni obiettivo definibile è, dunque, diventata la vera chiave interpretativa della guerra? A noi pare di sì ed è per questa ragione che razionalmente ci si dovrebbe aspettare che sia finalmente giunto il tempo di trattare. Nessuno però si illuda che in assenza di un progetto di un nuovo ordine internazionale, l’orologio della guerra possa in qualche modo arrestarsi o quantomeno rallentare. Il genio maligno della logica della geopolitica nazionalista è uscito da tempo dalla lampada del neoliberismo, come esemplarmente emerge dall’analisi di Andrea Guazzarotti sui casi della Polonia e dell’Ungheria e da quella di Giuseppe Foglio sui termini attuali della questione dell’Europa orientale.
Più la guerra diventa, per i suoi plurimi sciagurati “apostoli”, letteralmente senza senso, più assume i tratti e i contorni di una guerra totale. La cronaca, mentre ci accingiamo a pubblicare questo numero quattordici di fuoricollana, non sembra lasciare adito a dubbi. “La guerra sta arrivando in Russia” ha dichiarato Volodymyr Zelensky dopo gli ultimi attacchi di droni a Mosca. Intanto il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo Dmitry Medvedev ha detto che Mosca si troverebbe “costretta” a ricorrere all’utilizzo di armi nucleari, se la controffensiva di Kiev avesse successo: “non ci sarebbe altra opzione” se l’Ucraina si prendesse quella che ha descritto come “la nostra terra”.
Le opposte propagande contribuiscono, oggi più di ieri, allo scivolamento della guerra d’Ucraina in una guerra totale (non solo sul territorio europeo). Al gioco della guerra si associa il gioco di improbabili manovre ipocritamente definite diplomatiche. A ricordarcelo è l’informato Daily focus dell’ISPI. Quello del primo agosto è quasi una sentenza. Ci ricorda che parlando a margine di un vertice con i leader africani a San Pietroburgo, Putin ha affermato che le iniziative africane e cinesi potrebbero servire come “base per trovare la pace”. Ma ha anche aggiunto che al momento non ci può essere un cessate il fuoco mentre l’esercito ucraino è all’offensiva. Su eventuali colloqui di pace sia l’Ucraina che la Russia hanno affermato in passato che non intendono sedersi ad un tavolo dei negoziati senza determinate precondizioni. Per Kiev le precondizioni includono il ritiro delle truppe di Mosca dal proprio territorio e il riconoscimento dell’integrità territoriale dell’Ucraina, mentre Mosca afferma che Kiev deve accettare la “nuova realtà” venutasi a determinare sul terreno. Il continente africano rischia di pagare le conseguenze maggiori per il mancato rinnovo dell’accordo sulle esportazioni di grano che Mosca ha bloccato il mese scorso. Il prossimo “passo significativo” negli sforzi dovrebbe, invece, essere un “vertice di pace” organizzato dall’Ucraina e ospitato dall’Arabia Saudita ad agosto ma senza la partecipazione di Mosca.
Non è solo la guerra ad apparire insensata. Ad apparire insensata è anche la pace. Per questo sembra profilarsi lo scenario di una guerra totale. Non è che gli sforzi diplomatici viaggino su un binario morto, è la guerra a viaggiare spedita. La guerra sta sconfinando in altri paesi europei, con membri della Nato sempre più impegnati in prima fila. L’ultimo allarme arriva dalla Polonia che ha denunciato lo spostamento di un centinaio di mercenari Wagner dalla Bielorussia in direzione del corridoio di Suwałki, una striscia di territorio al confine con Polonia e Lituania che collega l’exclave russa di Kaliningrad alla Bielorussia. La situazione potrebbe portare entrambi i paesi membri dell’Alleanza atlantica a chiudere completamente i confini con la Bielorussia.
Nel frattempo, la Polonia non viene lasciata sola nel fomentare toni bellicisti che anzi progressivamente conquistano nuove parti del mondo. Sulle invero remote speranze di una Pax africana guidata dall’Occidente è arrivata come benzina sul fuoco il golpe militare in atto nel Niger, paese tra i più poveri del Continente ma con notevoli giacimenti di uranio (il 7% delle riserve mondiali) e una preziosa posizione geo-strategica nella vitale regione sub-sahariana. Il golpe “conforta” la tesi dei tutt’altro che innocenti analisti euro-americani che sarebbe in atto da tempo un generale spostamento del Continente africano in direzione della politica putiniana che mira a un “Sud globale” affiancato a Russia e Cina nella costruzione di un futuro assetto internazionale, alternativo a quello prefigurato dal blocco occidentale. L’Occidente sta perdendo l’Africa e la sta perdendo a vantaggio della Russia: è l’allarme che trova credito nelle prime reazioni ufficiali degli Stati Uniti, della Nato, dell’Unione europea (dimenticando le antiche e moderne forme di sfruttamento economico da parte dell’Occidente e il suo perdurante comportamento neo-colonialista, denunciato pochi mesi fa anche dal “New York Times”: sviluppo insufficiente, dittature, corruzione, guerre civili, insicurezza alimentare e epocali fenomeni migratori).
E qui viene il punto che ci sta a cuore. La nostra radicata convinzione che dalla guerra insensata e totale non si esce senza l’antidoto della politica, l’unico in grado di mitigare gli spiriti bollenti di Putin, di Zelensky, dell’”amico americano” e delle sue avanguardie europee. Purtroppo, il vertice di Vilnius si è concluso con un bagno di retorica e con un mare di cattive notizie per l’Europa. L’adesione de iure alla Nato di Finlandia e Svezia, quella promessa in futuro all’Ucraina, significa che Joe Biden è riuscito, almeno al momento, a imporre a tutti gli alleati la visione geostrategica di Washington e del Pentagono, a riaffermare la supremazia militare-nucleare Usa e a convertire l’Unione europea e le medie potenze del vecchio continente a “bancomat” per finanziare la corsa al riarmo globale.
Le “Grand Continent” e la sovranità europea vagheggiate da Emmanuel Macron, solo pochi mesi prima l’inizio della guerra ucraina, sono ormai solo un vago ricordo. Si sono, anzi, forse rovesciate nel loro contrario, come ricorda Donato Caporalini, sottolineando il carattere beffardo della dichiarazione del Presidente americano: “Gli Stati Uniti non possono prosperare senza un’Europa sicura”. Washington consensus-Paris consensus e ritorno. D’altronde, il Presidente francese non si è reso conto nemmeno della reale portata delle guerre – su cui acutamente si soffermano Isidoro Davide Mortellaro e Vincenzo Comito – che covano nel suo territorio e della tutt’altro che improbabile volata che sta tirando a Marie Le Pen.
Se Atene piange, Sparta non ride. Tutt’altro. Ne abbiamo lungamente parlato nel numero precedente dedicato alle declinanti sinistre europee, ne parlano ancora in questo numero, dopo il voto spagnolo dello scorso 23 luglio, i nostri “inviati” dalla Spagna Miguel Angel Garcia Herrera e Gonzalo Maestro. D’altronde, è questo il filo rosso che sotterraneamente tiene insieme le giornate di formazione politica da noi promosse insieme a “Patria e Costituzione” e a “La Fionda” e che si terranno a Roma dall’8 al 10 settembre. Nella Sezione Critica Europea trovate tutte gli eventi programmati e le modalità per partecipare ed intervenire.
Buona lettura, buone vacanze. Vi aspettiamo per la fine dell’estate, con l’auspicio di qualche buona notizia.