IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

Stefano Fassina: I motori del liberismo UE

La politica monetaria. Sorprende la permanente disattenzione alla politica monetaria, nonostante la sua rilevanza emersa, prima, nel contesto del Covid-19 e, ora, nell’economia di guerra conseguente all’invasione russa dell’Ucraina. Nel 2020 e nel 2021, i bilanci pubblici, già piagati dal crollo dell’attività economica, quindi dal collasso delle entrate e dall’impennata della spesa per gli “stabilizzatori automatici”, sono andati in un rosso ancora più intenso per affrontare spese vitali (per dispositivi di protezione, assistenza ospedaliera, terapie intensive, vaccini), per dare un minimo di reddito a lavoratori e lavoratrici bloccate dal lockdown e per accollarsi le garanzie del credito alle imprese. Nell’eurozona, l’indebitamento netto medio è saltato dallo 0,6% del 2019 al 7% e al 5,1% nel biennio successivo. Il debito pubblico è rimbalzato, in media, di 13 punti percentuali di Pil. Eppure, anche per gli Stati più indebitati, come l’Italia, i tassi di interesse sui Titoli “sovrani” sono andati sottozero per gli strumenti a breve e poco sopra a zero per i prestiti di lungo periodo. Perché? Perché la BCE, dopo aver salvato l’eurozona dall’implosione con il whatever it takes e l’Asset Purchase Programme, varava un poderoso (1850 miliardi di euro) Pandemic Emergency Purchase Programme (PEPP) per acquistare, sul mercato secondario, le valanghe di titoli emessi da ogni Stato per finanziare le voragini di finanza pubblica. Improvvisamente, non solo deficit enormi e debiti pubblici in rialzo erano “buoni”, ma erano anche sostenibili.

L’incomprensione della rilevanza della politica monetaria o la rassegnazione ad una verità amaramente colta dal compianto Alfredo Reichlin (“la finanza decide, i tecnici amministrano e i politici vanno in televisione”) ha portato l’intera classe dirigente della sinistra ufficiale e tutti i governi dell’Eurozona a “prendere atto” del comportamento deciso dalla BCE dopo il 24 febbraio 2022. Eppure, è paradossale quanto avviene. Siamo in un’economia di guerra. L’inflazione è totalmente importata. Arriva attraverso l’acquisto di energia e beni alimentari essenziali scambiati in mercati dominati dai giochi della finanza e dai monopoli pubblici e privati della distribuzione, gonfi di extraprofitti. Le retribuzioni perdono potere d’acquisto. Ma a Francoforte chiudono i rubinetti del credito: aumentano i tassi di interesse e accelerano la conclusione del PEPP. Certo, l’inflazione va fermata. Ma per fermare la dinamica esogena dei prezzi, si sarebbe dovuto intervenire, a scala europea e nazionale, con politiche dei redditi, puntellate da sgravi fiscali a lavoratori e imprese, sostenuti da deficit finanziati dagli acquisti di titoli da parte della BCE. Invece, la BCE e le altre Banche Centrali (BC) “normalizzano” la politica monetaria in uno scenario di escalation militare e di crescente spesa per la Difesa e di aiuti al popolo ucraino. Insomma, le BC puntano ad alimentare la recessione per ridurre l’occupazione, il potere d’acquisto dei lavoratori e, in ultimo, la domanda interna, come esplicitamente indicato dalle loro comunicazioni ufficiali agli operatori di mercato. Un unicum storico: la politica economica, monetaria, quindi di bilancio, pro-ciclica, ossia pesantemente recessiva, mentre si rimarca l’impegno nella guerra per “il futuro dell’Europa e delle nostre democrazie”. Insomma, la guerra la devono pagare lavoratori e piccole imprese. Ma la sinistra ufficiale tace. Si avverte soltanto qualche voce a destra, con la quale non si può che concordare, nonostante le scomuniche dei compagni di strada.

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