IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

Il commercio estero tedesco tra norme europee, Usa, Cina

La Cina è il più importante partner commerciale della Germania. Ma la forte spinta USA, sostenuta dal partito americano presente in Europa, punta a ridurre al massimo i rapporti con il gigante asiatico.

E’ di dominio comune il fatto che al momento dell’unificazione tedesca la Francia, la Gran Bretagna, l’Italia, per parlare solo dei maggiori paesi europei, pensarono di vincolare strettamente la tradizionale forza del paese teutonico in una camicia di forza rappresentata dalla Comunità Europea e dalla creazione dell’euro. Ma la Germania tornò presto ad essere la potenza dominante del continente, mentre l’euro diventò quasi una copia del marco.
Per alcune decine di anni il paese è stato in ogni caso il motore della crescita europea, con i suoi alti e bassi. Questo anche grazie ad un dettaglio meno noto della partita giocata allora: il cambio euro-dollaro fu fissato con un rapporto molto favorevole per i tedeschi e la sostanziale svalutazione del marco sarà, insieme all’eccellenza tecnico-produttiva della macchina industriale del paese, uno dei pilastri che agevoleranno le esportazioni dello stesso e lo porteranno ad accrescere il suo ruolo nel continente.

Il periodo d’oro delle esportazioni tedesche

Così la Germania ha basato per una parte rilevante la sua espansione economica sulla forte spinta delle esportazioni che era fondata,come già accennato, sull’eccellenza tecnica dei prodotti industriali e sulla competitività di prezzo, a sua volta da correlare alla compressione dei salari e all’accresciuta precarietà del lavoro, ciò che contribuiva a tenere bassi i consumi interni, mentre soddisfaceva anche gli interessi politici dei ceti conservatori del paese.
Alle politiche messe in campo dal governo è seguito un rilevante surplus della bilancia commerciale e delle partite correnti, che è durato fino alla crisi energetica del 2021-2022; esso aveva come contropartita i disavanzi dei paesi extra Ue e, almeno sino alla crisi del 2008, anche di alcuni paesi dell’Unione (Spagna ed Italia in particolare), che però nell’ultimo periodo hanno visto la loro posizione migliorare nettamente (Galli, Ciotti, Scinetti, 2023).
Riferendoci alla bilancia delle partite correnti dell’Eurozona e ai rapporti con Cina e Stati Uniti, nel 2008 l’avanzo delle partite correnti della Germania era di 145,1 miliardi di euro, che diventeranno 262,8 nel 2019 (nel 2008 era di 242,4 miliardi per la sola bilancia commerciale e di 227,9 miliardi nel 2021); a fronte di tali cifre, stava un surplus della Cina nei confronti dell’Eurozona di 286,1 miliardi nel 2008 e di 91,9 nel 2019, un deficit di 473,8 nel 2008 e di 421,6 miliardi nel 2019 degli Usa, nonché un deficit complessivo di 59,9 miliardi dell’intera Eurozona (tra l’altro, Italia -45,2 miliardi, Spagna -99,1, Francia -19,2) nel 2008, che diventava però un surplus di 386,0 nel 2019 (Italia 57,6, Spagna 26,1, Francia -7,3) (Galli, Ciotti, Scinetti, 2023). La rilevante ripresa dei paesi del Sud Europa fu dovuta soprattutto alle politiche di restrizione della domanda interna messe in atto da tali paesi per contrastare la crisi del debito, mentre il miglioramento della posizione esterna dell’eurozona è da collegare per una parte consistente alla riduzione dell’avanzo cinese.
Nell’ultimo periodo comunque i gruppi dirigenti del paese, in relazione anche alla perdita di velocità del paese nella gara economica e tecnologica con gli Usa e la Cina, hanno cominciato a prendere sempre più coscienza delle difficoltà del loro sistema economico e mentre si sono messi in qualche modo a spingere sulla crescita della domanda interna (con degli aumenti nelle retribuzioni nel settore pubblico, nonché l’innalzamento del salario minimo) hanno anche avviato la messa in opera di una politica industriale, considerato un anatema sino a ieri.

La virata del 2021-2022 e i rapporti con la Cina

Le catene globali del valore sono state messe a dura prova nel 2021 e ancora nel 2022 a causa in particolare delle difficoltà di movimento internazionale dei beni intermedi, contribuendo così alla fine ad assottigliare l’avanzo commerciale tedesco (Altomonte, Di Sano, 2023). Tale calo si è intensificato nei primi mesi del 2022 con lo scoppio della guerra in Ucraina e la conseguente crescita dei prezzi dei beni importati ed è continuato sino alla fine dell’anno. Si tratta di un incidente congiunturale o di un cambiamento di base della situazione?
Analiticamente, la cosa si spiega intanto anche con la crescita delle importazioni dei beni chimici a seguito del forte aumento dei costi interni dell’energia nel settore dei macchinari e dei trasporti, cosa che ha portato anche ad una progressiva dislocazione degli impianti verso altri paesi. Nel giro di pochi mesi la Cina ha aumentato in Germania la sua quota di mercato nel settore, passando da meno del 4% nel novembre 2021 fino al 17% del maggio 2022 (Altomonte, Di Sano, 2023). Nel resto del 2022 la Germania sembra aumentare ancora la propria dipendenza verso il paese asiatico.
La Cina è il più importante partner commerciale della Germania da sette anni e si può anzi oggi considerare un pilastro fondamentale della prosperità del paese. Nel 2021 essa forniva ormai poco meno del 12% delle importazioni, contro il 7,6% dell’Olanda, il 6,1% degli Usa e il 5,4% dell’Italia; a livello delle esportazioni il principale partner erano gli Usa, con l’8,9% del totale e la Cina era seconda con il 7,6%. La Germania è poi tra i principali paesi di origine degli investimenti esteri nel paese asiatico.
Come ha affermato qualche tempo fa un importante manager tedesco, in diversi settori “se non sei a tavola con i cinesi, sei nel menu”.
Ora si assiste nel paese e anche a livello di UE ad un dibattito sui rapporti economici con la Cina, con gli Stati Uniti che spingono in maniera sempre più forte per ridurli al massimo. Essi trovano una facile sponda nel vasto partito americano presente in Europa. Ma il governo tedesco, nella figura in particolare del cancelliere Scholz, difende con vigore gli interessi della Germania nel paese asiatico e si mostra del tutto contrario alla politica americana di decoupling.

Un caso: le esportazioni cinesi di auto

La Cina ha superato nel 2022 la Germania nell’esportazione di auto (rispettivamente 3,1 milioni di unità contro 2,6 milioni) e si appresta a superare nel 2023 anche il Giappone, ancora nel 2022 primo esportatore mondiale con 3,2 milioni di vetture. Alla base di tale previsione c’è il fatto che le esportazioni cinesi di auto, in particolare di quelle elettriche, sono aumentate del 120% rispetto all’anno precedente, mentre esse sono appena agli inizi come sforzo di penetrazione da parte delle case del paese asiatico.
Le vetture prodotte in Cina da parte di imprese controllate da capitali cinesi o esteri godono di ampie economie di scala (nel 2022 sono state prodotte in Cina ben 5,3 milioni di vetture totalmente elettriche, più circa 1,2 milioni di vetture ibride, contro un totale mondiale di poco superiore ai 10 milioni), nonché del controllo dell’intera filiera produttiva; esse appaiono poi meno costose di quelle prodotte altrove e di qualità anche migliore.
Si pone da parte dell’UE il problema del che fare di fronte a questi sviluppi. L’AD di Stellantis, Tavares, chiede a gran voce delle misure contro i produttori cinesi, nonché il rallentamento nelle norme UE che prevedono che a partire dal 2036 non sarà più possibile produrre vetture a propulsione tradizionale, mentre certamente a Bruxelles molti dirigenti sarebbero deliziati di dare fastidio ai cinesi. Ma appare difficile che Bruxelles alzi troppo la voce sull’argomento dal momento che i produttori tedeschi sono strettamente collegati al paese asiatico, dove hanno molto rilevanti presenze commerciali e produttive e che sarebbero danneggiate anche gravemente da misure protezionistiche europee, mentre anche la Renault sta tessendo dei legami stretti con i produttori del paese asiatico.

Cosa fare davanti all’IRA?

Come è noto, l’Inflation Reduction Act (IRA) adottato negli Stati Uniti nell’estate del 2022, prevede 370 miliardi di dollari di investimenti pubblici nelle tecnologie verdi. La norma, mentre cerca di sviluppare le produzioni negli Stati Uniti e di combattere i progressi cinesi nel settore, lega le sovvenzioni alla produzione in loco dei vari dispositivi. Di fatto, si tratta di normative che appaiono fortemente protezionistiche, ciò che, tra l’altro, ha irritato notevolmente i paesi europei.
Peggio ancora, viene segnalato che i rappresentanti di diversi Stati Usa, dal Michigan, alla Georgia all’Ohio, stanno percorrendo, sembra con molto successo, le contrade europee per convincere le imprese a trasferire almeno una parte delle loro attività negli Stati Uniti (Jones, Goldberg, Smith, 2023). Il pericolo di vedere molte imprese del nostro continente spostare molte delle loro attività negli Usa come, per altri versi, in Cina, appare sempre più reale.
La risposta europea appare ancora lenta ed incerta. Comunque, il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il suo partito hanno proposto all’UE di creare nuovi strumenti di finanziamento congiunti per aiutare gli Stati membri, in particolare quelli più deboli, a competere contro l’aumento dei sussidi Usa per le tecnologie verdi (Il Sole 24 Ore, 2023).
Questo si dovrebbe fare – secondo Scholz- con una riforma delle attuali regole UE sugli aiuti di Stato, allargandone le maglie. Ma questa proposta favorirebbe, in ultima istanza, Germania e Francia, che già di recente hanno quasi monopolizzato gli aiuti erogati dagli Stati membri; in effetti nel 2022 la Germania soprattutto e poi la Francia, disponendo di molto maggiori margini di intervento, si sono accaparrate circa l’80% di tutti i finanziamenti pubblici autorizzati da Bruxelles per far fronte all’emergenza energetica (Bonanni, 2023), mentre l’Italia è riuscita a ritagliarsi soltanto il 7%, ciò che ha creato ulteriori disparità tra i sistemi paese, portando ad una virtuale rinazionalizzazione dell’economia UE.
Inoltre Scholz propone la messa a disposizione da parte della UE di maggiori finanziamenti, creando un fondo apposito, l’European Sovereign Fund, che assorba tutte le risorse non spese del Recovery Fund e di altri fondi e solo eventualmente ricorra alla creazione di nuovo debito europeo.
La proposta è quindi alla fine molto meno generosa di quello che può sembrare a prima vista. Il primo ministro olandese, Mark Rutte, ha già dichiarato che respingerà ogni tentativo di fornire nuove risorse al progetto.
In ogni caso alla fine sembrerebbe trattarsi di una risposta abbastanza debole all’IRA statunitense. Con tali norme gli Stati Europei avranno qualche difficoltà a mandare delle delegazioni negli Stati Uniti per spingere le imprese locali a investire nel nostro continente…

La tassa sulle emissioni di carbonio

Alla fine del 2022 l’UE ha approvato la creazione di una tassa sulle emissioni di carbonio alle sue frontiere con il varo del cosiddetto Carbon Border Adjustment Mechanism (ABAM) e questo parallelamente alla riforma del mercato interno sempre del carbonio che mira a far pagare di più alle imprese dell’Unione il vero prezzo dei danni da CO2. La nuova tassa verso i paesi extra-UE, che entrerà pienamente in funzione nel 2026, copre al momento sei settori, l’acciaio: l’alluminio, i concimi, il cemento, l’elettricità e l’idrogeno, che pesano insieme per il 60% delle emissioni di CO2 industriale nell’area (Camfin, 2023). Ma nel 2025 il sistema sarà esteso per coprire anche i beni industriali maggiormente trasformati. Nessun paese al mondo ha finora introdotto una misura simile, per cui sarà facile accusare l’Unione di protezionismo. Il rischio sarà dunque quello di lanciarsi in una guerra commerciale in nome del clima.
L’Australia è apparsa molto critica del progetto, dal momento che essa esporta nel mondo molto carbone ed è preoccupata non tanto per le sue vendite in Europa, che rappresentano una quota molto bassa del totale, ma per le possibili ripercussioni indirette sui prezzi delle materie prime australiane sui mercati più importanti, Asia in generale e Cina in particolare; la Russia esporta alluminio ed acciaio, nonché fertilizzanti, la Turchia cemento, l’Ucraina fertilizzanti, mentre anche gli Stati Uniti appaiono preoccupati e si registra anche qualche protesta della Cina (Dell’Aguzzo, 2021). La misura rischia in ogni caso di danneggiare i paesi in via di sviluppo, che avrebbero bisogno di aiuti ed esenzioni per farvi fronte. Per altro verso, la tassa punta anche ad evitare la delocalizzazione della produzione al di fuori dei confini della UE.
La Germania non sembra avere comunque ostacolato in qualche misura il provvedimento, ma non si sa cosa succederà quando, nel 2025, si toccherà il delicato tema dei beni maggiormente trasformati, area in cui la sensibilità del paese appare molto più elevata. I pasticci dell’UE saranno allora più probabili e la tentazione di ostacolare le esportazioni cinesi da parte di Bruxelles più plausibili. Ma la Germania e forse anche la Francia resteranno probabilmente vigilanti.

Conclusioni

Mentre i risultati del commercio estero tedesco sembrano di recente meno brillanti di un lungo periodo nel passato, quando essi hanno spinto in avanti l’economia teutonica, il paese sembra riflettere su un possibile cambiamento di politica in relazione, in particolare, ai rilevanti mutamenti dello scenario internazionale.
Comunque, di fronte alle strategie in movimento di Bruxelles, il paese tende a frenarne gli ardori e a cercare di fare, come al solito, i suoi stretti interessi.
Va in ogni caso incidentalmente sottolineato come il libero commercio andasse bene ai paesi occidentali sino a che esso li avvantaggiava; ora che la ruota non gira più in tale senso, tutti i pretesti, dall’ecologia, alla dimensione militare, ai problemi degli uiguri appaiono buoni almeno per frenarlo. Così sembra che attraverseremo anche da questo lato un periodo di rilevanti turbolenze.

Testi citati nell’articolo
Altomonte C., Di Sano M., Per la Germania la Cina è sempre più vicina, www.lavoce.info, 18 novembre 2022
Arriba-Sellier Nathan de, L’Europe devrait imiter les Etats-Unis, “Le Monde”, 15-16 gennaio 2023
Bonanni A., Ma il doppio gioco di Francia e Germania rischia di far saltare il mercato unico, “La Repubblica”, 23 gennaio 2023
Canfin P., Le primat du climat, “Le Monde”, 15-16 gennaio 2023
Dell’Aguzzo M., Chi e perché sbuffa contro la tassa UE sul carbonio, www.startmag.it, 15 luglio 2021
Galli G., Ciotti L., Scinetti F., Gli squilibri commerciali intra europei, www.osservatoriocpi.unicatt.it, 3 dicembre 2022
Jones G., Goldberg E., Smith G., US states seek to lure European clean tech groups, www.ft.com, 24 gennaio 2023
“Il Sole 24 Ore”, Scholz: serve fondo comune UE contro i sussidi green Usa, 11 gennaio 2023
Mastrobuoni T., All’ombra di Usa e Cina l’Europa già litiga sul nuovo fondo “verde”, “Repubblica”, 21 gennaio 2023

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