IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

Il mondo e l’Occidente di Toynbee

L’Occidente, per Arnold Toynbee, si sente portatore e veicolo di ciò che di meglio la storia abbia mai prodotto: progresso tecnico, dinamismo economico, libertà e democrazia. E si sente “innocente”.

L’Occidente è l’aggressore

Il titolo così come sta costituisce una scelta deliberata, che mira a chiarire due punti essenziali alla comprensione dell’argomento. Il primo punto è che l’Occidente non è mai stato l’unica parte importante del mondo. L’Occidente non è stato il solo attore della storia moderna nemmeno all’apogeo della sua potenza (e quest’apogeo è forse ormai passato). Il secondo punto è questo. Nell’incontro tra mondo e Occidente, in corso ormai da quattro o cinque secoli, la parte che ha vissuto un’esperienza significativa è stata finora il resto del mondo non l’Occidente. Non è stato l’Occidente a essere colpito dal mondo; è il mondo che è rimasto colpito – e duramente colpito -dall’Occidente; ed ecco perché, nel titolo di questo libro, il mondo ha avuto la precedenza.

L’occidentale che voglia affrontare questo argomento dovrà provarsi per qualche minuto, a uscire dalla nativa pelle occidentale e guardare l’incontro fra mondo e Occidente con gli occhi dell’umanità non occidentale, che costituisce la grande maggioranza. Per quanto diversi possano essere gli uni dagli altri i popoli non occidentali in fatto di razza, lingua, civiltà e religione, se un occidentale chiederà loro che opinione abbiano sull’Occidente ne riceverà sempre la stessa risposta: russi, musulmani, indù, cinesi, giapponesi e tutti gli altri saranno in ciò perfettamente concordi. L’occidente, essi diranno, è stato l’aggressore capitale dei tempi moderni, e ciascuno gli potrà rinfacciare la propria esperienza di tale aggressione. I russi si ricorderanno che il loro paese è stato invaso per via di terra da eserciti occidentali nel 1941, 1915,1812,1709 e 1610; i popoli d’Africa e d’Asia gli rammenteranno che missionari, commercianti e soldati occidentali venuti d’oltremare si sono andati spingendo all’interno dei loro paesi fin dal secolo XV. Gli asiatici gli ricorderanno pure perché, nello stesso periodo, gli occidentali si sono presi la parte del leone nelle ultime terre vacanti del mondo: Americhe, Australia, Nuova Zelanda e Africa meridionale e orientale. Gli africani gli ricorderanno di essere stati asserviti e deportati oltre Atlantico per far da vivi strumenti ai colonizzatori europei delle Americhe ministrando all’attività di ricchezze dei loro padroni occidentali. I discendenti della popolazione aborigena del Nord America gli ricorderanno che i loro antenati furono travolti per far largo agli intrusi europei occidentali e ai loro schiavi africani.

Questa accusa sorprenderà, sconvolgerà, affliggerà e forse anche offenderà la maggior parte degli occidentali d’oggi giorno. Gli  occidentali olandesi sanno di avere evacuato l’Indonesia, e gli occidentali britannici di aver evacuato India, Pakistan, Birmania e Ceylon, a partire dal 1945. Gli occidentali britannici non hanno sulla coscienza nessuna guerra di aggressione dopo la guerra sudafricana del 1899-1902, e gli occidentali americani nessuna dopo la guerra ispanico-americana del 1898. Noi ci dimentichiamo troppo facilmente che i tedeschi, i quali attaccarono i loro vicini, Russia compresa, nella cui prima guerra mondiale e poi ancora nella seconda, sono occidentali anch’essi, e che i russi asiatici e africani non vanno per il sottile di fronte a diverse orde di “Franchi” – il nome comune che il mondo dà agli occidentali in massa. “Quando il mondo emette un giudizio, avrà senz’altro l’ultima parola “, secondo un noto proverbio latino. E certo il giudizio del mondo sull’Occidente appare giustificatissimo per un periodo di circa quattro secoli e mezzo terminato nel 1945. Nell’esperienza che il mondo ha avuto dell’Occidente durante tutto quel tempo l’occidente è stato in genere l’aggressore; e se oggi Russia e Cina riprendono vantaggio sull’occidente, è questo un nuovo capitolo della vicenda che non iniziò se non dopo la fine della seconda Guerra mondiale. L’allarme e la collera provocata dai recenti atti di aggressione russa e cinese ai danni dell’Occidente provano che, per noi occidentali, è tuttora strano e inconsueto patire dal mondo ciò che il mondo ha patito e dall’Occidente per vari secoli trascorsi. (…)

L’intrusione tecnologica e quella culturale

Nell’ultimo capitolo si suggerì che il nostro modo di vivere occidentale fosse più straniero agli indù che non ai russi e ai musulmani, perché quello indù conteneva soltanto una piccolissima dose degli ingredienti greci ed ebraici che costituiscono il retaggio comune di Islam, Russia ed Occidente. L’estremo Oriente ha in comune con l’occidente meno ancora di quanto non abbia il mondo indù nel suo fondo culturale. (…)
E così, quando nel secolo XVI i pionieri Portoghesi della civiltà occidentale fecero i loro primi approdi sulle rive della Cina e del Giappone, vi piombarono come ignoti visitatori di un altro pianeta.

L’effetto sortito da questa prima visita dell’Occidente moderno sui sentimenti dei popoli estremo-orientali fu misto. Fu una instabile miscela di fascino e repulsione, e in questo primo incontro prevalse alla fine il senso di ripulsione. Quest’ondata cinquecentesca di intrusi occidentali venne ricacciata nell’oceano da cui così inattesamente aveva fatto irruzione sulle rive dell’Estremo Oriente; dopodiché Giappone, Corea e Cina chiusero tutte le loro porte di casa e si misero a vivere finché fosse possibile da “regni eremiti”. La faccenda però non finì qui. Espulsi dal Giappone nel secolo XVII secolo e dalla Cina nel XVIII, gli intrusi occidentali moderni tornarono alla carica nel diciannovesimo; e in questo secondo tentativo riuscirono a introdurre in Estremo Oriente il modo di vivere occidentale, come già erano riusciti a introdurlo in Russia e in India, mentre nel mondo islamico cominciavano a farlo.

In tale situazione quali differenze possiamo scorgere che spieghino la differenza dei risultati sortiti dai due tentativi occidentali di accaparrarsi l’Estremo Oriente? Una differenza ovvia è quella tecnologica. Nei secoli sedicesimo e diciassettesimo, le navi e le armi occidentali non erano così nettamente superiori a quelle estremo orientali da conferire agli intrusi occidentali la supremazia. In questa prima ripresa dell’incontro fra le due civiltà, gli estremo orientali rimasero padroni del campo;  e quando decisero di rompere i rapporti, i visitatori occidentali non poterono opporsi. Ma quando gli occidentali riapparvero al largo delle coste cinesi e giapponesi nel diciannovesimo, la bilancia delle forze pendeva dalla parte occidentale; poiché mentre gli armamenti cinesi e giapponesi erano ancora quelli di duecento anni addietro, gli occidentali nel frattempo avevano fatto la rivoluzione industriale; essi tornavano adesso muniti delle nuove armi che le Potenze d’Estremo Oriente non potevano controbattere; e in tali cambiate e circostanze l’Estremo Oriente doveva pure aprirsi all’influsso occidentale nell’uno o nell’altro di due modi. Un regno eremitico d’Estremo Oriente che tentasse di parare la nuova sfida tecnologica dell’Occidente ignorandola avrebbe visto sfondare le proprie porte chiuse a cannonate di grosso calibro. La sola alternativa possibile era di tenere a bada gli intrusi occidentali apprendendo il segreto degli armamenti occidentali ottocenteschi; e ciò si poteva fare solo aprendo volontariamente alla nuova tecnologia occidentale le porte estremo orientali, prima che i conquistatori d’occidente le forzassero. (…)

Ma c’è dell’altro. Se infatti La supremazia tecnologica guadagnata dall’Occidente sull’Estremo Oriente  attraverso una rivoluzione industriale può spiegare perché i popoli estremo orientali si vedessero costretti ad aprire le porte alla civiltà occidentale nel secolo XIX, dobbiamo ancora spiegare perché nei secoli diciassettesimo e diciottesimo essi fossero stati indotti a scacciare i visitatori occidentali e a rompere i rapporti col mondo occidentale. Tale epilogo del primo incontro fra Estremo Oriente e Occidente moderno è sorprendente, a tutta prima; poiché quando gli occidentali avevano fatto la loro prima comparsa all’orizzonte estremo orientale, nel secolo sedicesimo, i popoli dell’Estremo Oriente si erano mostrati più propensi ad accogliere questi stranieri allora ha fatto sconosciuti e ad adottare il modo di vita che non trecent’anni dopo, quando gli occidentali tornarono con la cattiva reputazione acquistata la prima visita. Eppure questo secondo incontro in cui i popoli estremo orientali erano decisamente riluttanti e impegnarsi, terminò con l’accoglimento del modo di vita occidentale in Estremo Oriente, mentre il primo incontro, iniziato con un benvenuto, era finito in una ripulsa. Qual è la chiave di questa notevole differenza fra i due atti del dramma che è stato lo scontro tra Oriente e Occidente?

Il diverso modo in cui i popoli stremo orientali reagirono la civiltà occidentale in queste due occasioni non fu questione di arbitrio o capriccio. La reazione fu diversa perché diversa era la sfida che nelle due occasioni essi dovettero affrontare. Nel secolo diciannovesimo la civiltà occidentale si presentò soprattutto come tecnologia estranea; nel sedicesimo invece si era presentata soprattutto come estranea religione. Questa differenza nell’aspetto esibito dall’intrusa civiltà occidentale spiega la differenza della reazione che suscitò nei cuori e nelle menti estremo-orientali alla sua prima e alla seconda venuta; poiché una tecnologia estranea non è tanto difficile da accettare quanto una religione estranea.

La tecnologia opera alla superficie della vita e quindi sembra possibile adottare una tecnologia straniera senza mettersi in pericolo di perdere il possesso dell’anima propria. Manco a dirlo, quest’idea secondo cui l’adozione di una tecnologia straniera comporta soltanto rischio limitato può essere uno sbaglio di calcoli. La verità a quanto pare, è un’altra. E cioè tutti i vari elementi di una struttura culturale sono intimamente connessi, di guisa che, se si abbandona la propria tecnologia tradizionale e si è adotta invece una tecnologia straniera, l’effetto di questo cambiamento non si limiterà alla superficie tecnologica della vita ma si farà strada via via sino a raggiungere le profondità, finché tutta la propria cultura tradizionale non sia minata e tutta la cultura straniera non sia entrata, un pezzo alla volta, attraverso la breccia che il cuneo tecnologico ha aperto nell’anello esterno delle difese culturali.

Nella Cina, Corea e Giappone di oggi, a un secolo o più dall’epoca in cui la moderna tecnologia occidentale cominciò a penetrarvi, vediamo attuarsi sotto i nostri occhi questi ulteriori effetti rivoluzionari sul tessuto globale della loro cultura. (…) Eppure, quand’anche avessero sospettato le forze latenti che questo cavallo di Troia a propulsione meccanica generava nel suo ventre di ferro, essi probabilmente non sarebbero riceduti dalla decisione di farlo entrare. Vedevano infatti chiaramente che, se esitavano ad adottare la straniera tecnologia occidentale, sarebbero subito soggiaciuti a conquistatori occidentali muniti di armi a cui non avrebbero potuto reagire. Il pericolo esterno di conquista da parte di qualche Potenza occidentale era la minaccia immediata con cui dovettero fare i conti quegli statisti estremo orientali dell’Ottocento. (…)

Il veleno del nazionalismo

La serie di incontri fra mondo e Occidente che costituisce argomento di questo libro ci fornisce un esempio classico del male che può provocare un’istituzione quando venga staccata dal suo sistema sociale originario e inviata nel mondo a far conquiste da sola. Durante l’ultimo secolo e mezzo abbiamo visto la tarda istituzione politica occidentale degli “stati nazionali” erompere dai confini della natia Europa occidentale e segnare il suo cammino di persecuzione, sfratti e massacri diffondendosi all’esterno in Europa orientale, Asia sud occidentale e India, tutte regioni dove gli “stati nazionali” non facevano parte integrante di un sistema sociale indigeno, ma costituivano un’istituzione esotica deliberatamente importata dall’Occidente non già perché, messa alla prova, fosse risultata adatta alle condizioni locali di questi mondi non occidentali, ma semplicemente perché la potenza aveva conferito alle istituzioni politiche dell’Occidente un prestigio irrazionale ma irresistibile per i non occidentali.

Il danno provocato dall’applicazione di tale istituzione occidentale degli “stati nazionali” in queste regioni dove costituisce importazione esotica è incomparabilmente maggiore di quello da essa causato in Gran Bretagna, Francia e altri Paesi occidentali dove era, non già un’innovazione artificiosamente introdotta, ma una spontanea vegetazione nativa.

Possiamo vedere perché la stessa istituzione ha sortito effetti diversissimi in questi due ambienti sociali. L’istituzione degli “stati nazionali” è stata relativamente innocua in Europa occidentale per la stessa ragione che spiega come vi sia sorta; e cioè perché in Europa occidentale, corrisponde al rapporto locale fra la distribuzione delle lingue e l’allineamento delle frontiere politiche. In Europa occidentale, per lo più la gente che parla la stessa lingua è ammassata in un singolo blocco compatto di territorio con un confine linguistico piuttosto ben definito  (…)

La verità è che ogni struttura culturale storica è un tutto organico dalle parti interdipendenti, di guisa che, se ne viene staccata una parte, quella parte isolata e il tutto mutilato si comporteranno diversamente da come si comportavano quando la struttura era intatta. Ecco perché quel che a un uomo è pane può essere veleno per un altro; e un’altra conseguenza è che “una cosa porta ad un’altra”. Se da una certa cultura si sfalda una scheggia e la si introduce in un corpo sociale estraneo, questa scheggia isolata tenderà a trascinarsi appresso, nel corpo estraneo in cui s’è insediata, gli elementi costitutivi del sistema sociale dove la scheggia è di casa e da cui è stata staccata innaturalmente con la forza. La struttura infranta tende a ricostituirsi in un ambiente straniero in cui si sia fatta strada una delle sue componenti. (…)

La nostra indagine avrà chiarito che l’accoglimento di una cultura straniera e impresa penosa e rischiosa; e l’istintiva ripugnanza della vittima a innovazioni che minacciano di sconvolgere il modo di vita le rende ancora peggiore quell’esperienza; poiché ricalcitrando la vittima diffrange il raggio culturale straniero nelle sue componenti; poi accoglie a denti stretti la più triviale, e quindi meno sconvolgitrice, fra queste schegge velenose di un modo di vita straniero, nella speranza di potersela cavare con quella sola concessione; e infine, siccome una cosa porta inevitabilmente all’altra, si trova costretta ad accogliere un po’ alla volta tutto il resto della cultura intrusa. Non c’è da meravigliarsi che l’atteggiamento normale della vittima verso una cultura straniera intrusa sia di opposizione e di ostilità e si ritorca contro di essa.

Nel corso della nostra rassegna abbiamo avuto modo di nuotare, nei paesi non occidentali investiti dall’Occidente, alcuni statisti i quali ebbero la rara intuizione di vedere che una società esposta alla radiazione di una cultura straniera più potente deve padroneggiare questo sistema di vita straniero o perire.

[Arnold Toynbee, Il mondo e l’Occidente, Sellerio editore Palermo 1994].

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