IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

Il socialismo con caratteristiche cinesi

Per noi i diritti civili costituiscono valori universalmente validi. Per la maggioranza dei cinesi la nostra democrazia è caotica e incapace di produrre una buona classe dirigente. Rivoluzione, modernizzazione e Partito da Mao a Xi Jinping.

Per tremila anni la Cina come soggetto politico e come area economica e culturale è stata il centro di una larga parte del mondo dal quale pervenivano in Europa beni preziosi e innovazioni tecnologiche. Ma fino al XVIII secolo Europa e Cina sono stati due pianeti separati. Nel XVI secolo tra i gesuiti giunti in Cina dopo 9 mesi di viaggio c’era Matteo Ricci che aveva la missione di evangelizzare gli infedeli. Nell’idea cristiana evangelizzare significava portare la civiltà. I cinesi avrebbero trovato bizzarro che un esponente di una civiltà che essi consideravano inferiore alla loro (cioè tutte) avesse questa pretesa. Ricci, in effetti, trovò una civiltà ricca, raffinata e governata da istituzioni più complesse di quelle che egli stesso aveva conosciuto in Europa. Tra le invenzioni dei cinesi c’era anche la burocrazia. A quel tempo non solo la Cina non era in declino ma raggiungerà la massima espansione territoriale durante la dinastia successiva arrivando ad una popolazione di quasi quattrocento milioni alla fine del XVIII secolo, oltre il doppio di quella complessiva europea. Questo vasto regno era certamente variegato al suo interno, tanto che per parlarne noi usiamo il termine Impero, ma culturalmente e istituzionalmente era più omogenea dell’Europa. Ricci si integrò molto bene, tradusse Euclide in cinese e ottenne stima e rispetto. Ma non convertì quasi nessuno. Invece si convinse che il confucianesimo era perfettamente compatibile con cattolicesimo sul piano dei valori che predicava, in particolare la benevolenza, la temperanza e lo studio. Una convinzione che a Roma molti considerarono eretica, perché non si poteva ammettere l’idea di una civiltà non cristiana potesse essere considerata alla pari con la nostra. Questa incapacità di accettare la prospettiva dell’altro resta anche oggi. Ad esempio, noi riteniamo che il nostro concetto di diritti civili e di democrazia sia universalmente valido. La maggioranza dei cinesi pensa che la nostra democrazia sia caotica e incapace di produrre una buona una classe dirigente

Storia europea e storia cinese

In Cina non vi è mai stata una fioritura di città-stato autonome orgogliose della libertà e del proprio autogoverno come le poleis greche o le città medioevali europee. La Cina si è più volte divisa in regni ma le numerose guerre che hanno dilaniato la storia interna della Cina sono guerre per la supremazia, non per la libertà. Le città cinesi erano luoghi disciplinati e compartimentati governati da funzionari statali. Le élite commerciali urbane anelavano non all’autogoverno cittadino ma a costruirsi una posizione patrimoniale nel possesso della terra.
In Cina l’aristocrazia non riesce mai a darsi un potere davvero competitivo rispetto a quello statale. All’inizio dell’Impero venne vietato il diritto di primogenitura che mantiene l’unità del patrimonio familiare. La carriera militare, nella quale sono forti le aristocrazie di spada, fu la principale strada per il potere solo durante le guerre civili, non in tempo di pace. Lo stato creò e consolidò un sistema di reclutamento basato sul superamento di esami di letteratura e di filosofia confuciana aperto a tutti coloro che possono permettersi di studiare ed articolato in tre livelli a selezione sempre più stringente. Per quanto diffuso il nepotismo non era sufficiente a far passare un esame ad un candidato debole. Così si coltivò una ideologia della meritocrazia come giustificazione del potere delle élite. È’ vero che quasi tutti i selezionati erano di famiglie molto benestanti ma la fonte della loro nuova posizione sociale era lo Stato, non la famiglia. Poiché la filosofia confuciana promuove un’idea di un ordine sociale basato su responsabilità sociale e valori morali, i comportamenti individualisti e corrotti, sempre esistiti, sono anche sempre stati stigmatizzati e ritenuti causa di delegittimazione del potere.

La risalente lotta contro la corruzione

Anche in Cina le oligarchie locali hanno sempre alimentato tensioni con il centro. Ma la soluzione dello Stato cinese non è stata quella di conferire ampie deleghe e poteri alle élite locali bensì di mantenere il controllo sulla selezione della élite che poteva mediare ed agire “in nome del Sovrano”. Un apparato di ispettori dipendente dal centro era incaricato di reprimere gli abusi e la corruzione dei funzionari incaricati. Si sapeva che corruzione e abuso di potere sono un cancro che indebolisce il potere centrale. Questa visione dei rapporti tra centro e periferia, basata su relativa autonomia, indirizzo e controllo è tornata in altre forme anche durante il comunismo di Mao Zedong (una volta abbandonato il modello sovietico). Ancora oggi che la Cina è suddivisa in 22 province (sostanzialmente le stesse dell’Impero) 5 regioni autonome e 4 città metropolitane autonome. Agli altri 3 livelli di governo locale appartengono decine di migliaia di villaggi, città, contee, aree urbane. Nell’insieme queste istituzioni gestiscono più di metà del bilancio dello stato, ad esempio i servizi di welfare. Ancora oggi la corruzione è considerata il peggior cancro della legittimità di un regime che si giustifica per la sua efficacia. Perciò la campagna anticorruzione inaugurata da Xi Jinping nel 2012 non può essere considerata una mera strategia per liberarsi degli avversari, è una campagna contro un degrado che minaccia le fondamenta del regime.

Democrazia, il potere di un capo che lo esercita per il popolo

Un’altra grande differenza con l’Europa è la mancanza in Cina di una classe sacerdotale in grado di competere con lo stato nella legittimazione dell’esercizio del potere. Si diceva che l’Imperatore aveva un mandato del cielo a governare, perché l’ordine sociale doveva rispecchiare l’ordine cosmologico. Ma non c’era nessuna autorità religiosa in grado di dire chi fosse autorizzato a governare e come dovesse farlo. I monaci taoisti o buddisti non avevano un ruolo di potere. I maestri confuciani erano letterati e consiglieri ma non appartenevano ad una congregazione che esprimesse un contropotere come una chiesa. Dunque, il potere in Cina è un mandato unico. Questo può spiegare anche perché il termine per il concetto di “democrazia” in cinese è stato usato, a partire dal 1864 per necessità di traduzione, il termine “min zhu“, dove min significa popolo e zhu significa capo. L’insieme dei due però non significa affatto che il popolo è il leader, perché questa idea della democrazia greca non ha alcuna corrispondenza nella cultura cinese. Infatti con lo stesso termine min zhu si designava anche il potere dell’imperatore sul popolo. La democrazia è oggi il potere di un capo che lo esercita per il popolo. Nel Partito vi è la consapevolezza che per guidare una società bisogna essere capaci di interpretarla. Il Partito Comunista Cinese ritiene di avere il compito di rappresentare tutta la società e, infatti, nella sua “costituzione”, riscritta nel 2017, dedica molta attenzione alla qualità della sua classe dirigente. È questo il modo con cui propone la democrazia con caratteristiche cinesi. “Il Partito deve tenere fermo il principio che esso si costruisce nell’interesse del popolo e governa nel suo interesse. (…) Esso deve costantemente migliorare il modo di esercitare la sua leadership e rafforzare la sua capacità di resistere alla corruzione, prevenire il declino e i danni che ne conseguono. Deve costantemente rafforzare la sua fondazione di classe, espandere la sua base, migliorare la sua creatività, la coesione, la prontezza nel fare nell’affrontare le sfide.” (Costituzione PCC, pag.8). Questi auspici rientrano perfettamente nel concetto di mandato del cielo, la legittimazione ad esercitare il potere, che è un mandato assoluto ma non privo responsabilità. Come un padre deve prendersi cura della sua famiglia così deve fare un leader con il suo popolo. Chi governa risponde al popolo con quella che oggi nella scienza politica si chiama legittimità legata alla prestazione. Ieri l’Imperatore e oggi il partito devono curarsi della pace, dell’armonia e del benessere della popolazione che sono chiamati a governare. Secondo una parte della dottrina confuciana il mancato adempimento di questo compito può conferire al popolo un diritto alla ribellione, cosa che è accaduta più volte nella storia cinese.

Rivoluzione e modernizzazione

Vista da un occidentale questa impostazione può apparire obsoleta oppure ipocrita. Ma bisogna ricordare che la Cina non ha mai vissuto nulla di simile alla monarchia liberale inglese o alla rivoluzione francese e che la rivoluzione cinese non è mai stata combattuta per affermare diritti individuali. Anche il discorso politico sui diritti civili, che in Europa ha radici molto antiche, in Cina non aveva e non ha un terreno sul quale crescere. In Cina non si combatteva per la libertà ma neanche per la fraternità e neppure per l’eguaglianza. Come spiegava Mao Zedong nel Libretto Rosso: “Lo scopo della rivoluzione socialista è liberare le forze produttive. La trasformazione della proprietà individuale in proprietà collettiva socialista nel campo dell’agricoltura e dell’artigianato, e della proprietà capitalista in proprietà socialista nell’industria e nel commercio privati porterà necessariamente a una notevole liberazione delle forze produttive. Saranno così create le condizioni sociali per un enorme sviluppo della produzione industriale e agricola.” (Discorso 25 gennaio 1956)
Le idee di eguaglianza formale prima e sostanziale poi sono ideologie tipicamente europee. Nell’ultima versione della Costituzione del PCC si ammette che il socialismo è ancora lontano dall’essere compiuto (il traguardo è nel 2049) e che pertanto esiste ancora un componente residuale di lotta di classe. Ma non si parla di eguaglianza. L’obiettivo indicato da Mao ritrova, come già dagli anni 60, una declinazione nelle quattro grandi modernizzazioni del Paese: quella agricola, quella industriale, quella scientifico-tecnologica e quella militare. Deng Xiaoping nei suoi viaggi all’estero aveva ammirato il livello raggiunto dalla modernizzazione delle economie capitaliste ed aveva espresso la convinzione che il socialismo cinese avrebbe saputo fare meglio. In questo restava Maoista. Dell’ideologia maoista è stato invece abbandonato il volontarismo, vale a dire la fede nella capacità della mobilitazione di massa di far scaturire tutte le energie necessarie al progresso. La nuova strategia ha deciso di usare il mercato come strumento di crescita e di modernizzazione economica. Già Mao aveva devoluto alle comuni agricole e ai dirigenti locali delle imprese pubbliche una grande autonomia, ma sempre nell’ambito di una economia pianificata. L’enorme sottrazione di risorse dalle campagne per l’industrializzazione forzata delle città aveva prodotto drammatiche carestie e milioni di morti per fame.

Mercato e proprietà

Dal 1980 si è tornati a modelli concorrenziali La svolta è consistita nel restituire le terre ai contadini e nel permettere prima ai contadini e poi alle imprese pubbliche di produrre una quota crescente per il mercato, affiancando al regime dei prezzi pianificati un prezzo di mercato per ogni cosa che fosse prodotta in avanzo rispetto ai target della pianificazione. Fu innescata una crescita ininterrotta durata quarant’anni a tassi che nessuno credeva possibili. La strategia di introdurre una distinzione tra diritti di proprietà, rimasti in capo allo Stato, e diritti di uso e gestione, che vengono affidati ai contadini o ai managers scelti dal Partito (e spesso essi stessi dirigenti del Partito), non è affatto nuova, poiché lo Stato Imperiale era grande proprietario di terre affidate in gestione. Una novità è stata il regime doppio dei prezzi, che sarà causa di gravi insoddisfazioni quando coloro che venivano pagati in salari a prezzi fissi si ritrovano a dover acquistare beni e servizi sul mercato sempre più cari. Sarà una delle cause delle proteste del 1989 e verrà completamente abbandonato solo nel 1992. Nel frattempo era stata data la possibilità ai privati di aprire aziende prima piccole e poi sempre più grandi. Grandi investitori del capitalismo internazionale sono stati accolti in aree speciali, un po’ come era successo negli anni della fine dell’Impero, ma questa volta sotto un vero controllo dello Stato. Molte di queste aziende hanno proprietà mista pubblico-private ma comunque rispondono a logiche di mercato e a finalità decise a Pechino. Attualmente meno della metà dei lavoratori cinesi sono dipendenti dello stato in senso proprio.

Il fondamento di legittimazione del Partito comunista

Qual è la strategia di legittimazione di un partito che continua a proclamarsi comunista in una economia di mercato con diseguaglianze sociali sempre più evidenti? Evidentemente non è la partecipazione ad elezioni competitive come succede in occidente. Le strategie principali a nostro avviso sembrano articolate su tre livelli.
Il Partito era il motore del conflitto di classe, alimentato dalle rivendicazioni e dal risentimento delle classi subalterne. Il suo ruolo era dunque di guidare il conflitto contro le classi egoiste per imporre il bene comune. Al centro della politica del partito sono oggi la modernizzazione, il ringiovanimento e il benessere della popolazione e questo ultimo viene perseguito nel rispetto del lavoro, della conoscenza del talento, della creatività e anche dell’ambiente naturale. Non c’è nessuna pretesa egualitaria intesa come livellamento. E del resto anche i regimi del socialismo reale contenevano diseguaglianze giustificate con criteri meritocratici socialisti. Però quando il mercato diventa il principale fattore di allocazione dei redditi, come progressivamente è accaduto anche in Cina anche all’interno delle aziende pubbliche che operano sul mercato, le diseguaglianze possono diventare così elevate che risentimenti e invidie possono corrodere il sostengo al regime. Questo risentimento era poco rilevante quando la crescita economica era così rapida che ciascuno poteva sperare di migliore in breve tempo la sua posizione. Ma ora non è più così facile. Dunque Pechino cerca di intervenire sui mercati attraverso le leve delle sue aziende pubbliche per ridurre gli eccessi del mercato. Il processo di costruzione di un welfare universale, dopo l’abbandono di quello corporativo di epoca comunista, è ancora nelle fasi iniziali e per ora non sembra che ci sia fretta di allargare la spesa pubblica sociale. Le persone si indebitano per far studiare i figli.
Un secondo livello della partecipazione del Partito è stato quello della mobilitazione permanente. Poco dopo la sua nascita il Partito Comunista Cinese è stato coinvolto nella guerra civile e poi nella guerra contro l’occupazione straniera, soprattutto giapponese, per oltre vent’anni. La ricetta con la quale ha terminato vittoriosamente è stata la capacità di mobilitare permanentemente allo sforzo bellico le forze sociali sui territori che governava dando autonomia e responsabilità alle forze locali in cambio di impegno e aderenza agli obiettivi indicati dal Partito. Dopo la Rivoluzione del 1949 la mobilitazione permanente si è tradotta nelle varie campagne di volontarismo collettivo con le quali si chiedeva ai lavoratori di partecipare alla realizzazione della società socialista. Dopo la morte di Mao sembra che la mobilitazione permanente sia stata ottenuta grazie alle dinamiche prodotte sui lavoratori dalla concorrenza sul mercato e dai meccanismi di competizione che il Partito ha innestato negli apparati dei diversi livelli di governo. Il benessere materiale ha preso il posto dell’orgoglio patriottico.
Il terzo livello di legittimazione è una nuova narrazione nazionalista. Il nazionalismo di sapore europeo era arrivato in Cina con le navi militari delle potenze occidentali e del Giappone. La debolezza con cui il più grande paese del mondo ha ceduto alle pretese di questi arroganti stranieri ha caratterizzato il cosiddetto “secolo dell’umiliazione”. Il padre fondatore del Cina Repubblicana, Sun Yat Sen, fu anche il padre di quel nazionalismo modernizzatore al quale lo stesso Partito Comunista Cinese aveva inizialmente aderito. Al riscatto e all’orgoglio nazionale socialista si è oggi aggiunto un ritorno a ripercorrere la plurimillenaria storia cinese per ricostruire il senso di appartenenza alla più antica e grande civiltà del Mondo. Confucio, ripudiato da Mao, è tornato in auge grazie è un simbolo della cultura millenaria e di valori ancora attualizzabili.

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