IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

Il socialismo di mercato in Cina e la sfida tecnologica

L’innovazione e il progresso tecnologico saranno il terreno decisivo su cui si giocheranno le sorti della Cina e della sua lotta "esistenziale" per la sopravvivenza nel quadro di un'inedita guerra fredda.

Esistono attualmente tre economie socialiste di mercato (ESM), Cina, Vietnam e Laos. Tutte e tre si trovano in Asia, sono il prodotto storico di lunghe guerre anticoloniali, antimperialiste e rivoluzionarie, e sono governate in modo fermo anche se flessibile da partiti comunisti sostanzialmente fedeli nella teoria e nella pratica alla tradizione marxista e leninista.

Le economie socialiste di mercato

Il Vietnam e il Laos condividono con la Cina alcune caratteristiche culturali, ma ci sono ovviamente anche enormi differenze rispetto alla Cina: le due più evidenti sono la grandezza territoriale e demografica e il livello di sviluppo delle forze produttive. Inoltre, anche tra Vietnam e Laos ci sono grandi differenze (ad esempio il Laos non ha accesso diretto al mare, un handicap molto grave per il commercio internazionale).  Tuttavia, il “nocciolo duro” del modello di economia socialista di mercato è lo stesso in tutti e tre questi paesi (vedi Gabriele  2020, Hansen  Bekkevold Nordhaug eds. 2020, Gabriele e Jabbour 2021,2022). Non a caso, su scala più ridotta, anche il Laos e il Vietnam hanno avuto una crescita economica stellare in termini quantitativi rispetto alla media dei paesi del Sud globale e hanno fatto progressi ancora più notevoli nella dimensione olistica dello sviluppo umano. Tuttavia, come è evidente, tra questi tre paesi, quello che è sempre più al centro dell’attenzione mondiale è la Repubblica Popolare Cinese (RPC).

La vorticosa crescita economica della Cina

 “Il PIL della Cina è cresciuto più velocemente e più a lungo di qualsiasi altra economia nella storia” (Naughton 2018, p.1). Durante il periodo pre-riforma (1949-1977), la RPC ha compiuto molte imprese notevoli, tra cui soddisfare i bisogni nutrizionali e sociali di base della popolazione, espandere l’alfabetizzazione, stabilire le basi della nuova economia socialista e progettare un rapido e vasto processo di industrializzazione.

Tuttavia, a causa soprattutto dei ricorrenti shock derivanti dall’instabilità politica in un contesto di governo ancora culturalmente e ideologicamente arretrato, i risultati di crescita a lungo termine della Cina non sono stati brillanti. In realtà, il tasso medio di crescita del PIL della RPC fino alla fine degli anni ’70 era simile al tasso di crescita dell’India, che non era affatto soddisfacente. Di conseguenza, in questo periodo la Cina non è riuscita a diminuire la sua arretratezza rispetto agli Stati Uniti nel campo dello sviluppo delle forze produttive.

Al contrario, a partire dalla fine degli anni ’70 la crescita della RPC ha registrato una forte accelerazione, che ha portato il Paese a un periodo di espansione molto rapida, ancora ininterrotto e storicamente senza precedenti.

Fino agli inizi degli anni ’90 il PIL della Cina era inferiore a quello dell’India, e pari ad una frazione di quello americano. Nel 2021 il PIL della RPC era quasi 6 volte maggiore di quello indiano, e pari a oltre i ¾ di quello degli USA. Questo processo di recupero è evidente anche in termini pro capite, anche se ovviamente il PIL pro-capite cinese è ancora molto inferiore a quello degli Stati Uniti.

L’essenza del modello economico di socialismo di mercato in Cina  va intesa olisticamente, come un complesso di interazioni dialettiche ed complesse ed evolutive tra politiche industriali (in senso lato) guidate dallo Stato e meccanismi di mercato (relativamente automatici) dall’altro, in un contesto complessivo in cui ogni istituzione e ogni agente economico è chiamato a dare il suo contributo nel quadro di una strategia socialista di sviluppo socioeconomico guidata fermamente dallo stato e dal partito.

Per semplicità, si possono tuttavia individuare tre aree fondamentali:

i) la finanza e il sistema bancario;

ii) la graduale evoluzione delle forme d’impresa;

iii)  lo sviluppo di un moderno sistema nazionale di innovazione (SNI).

Tutte e tre presentano importanti novità rispetto alla situazione prevalente prima dell’inizio del periodo delle riforme, ma anche significativi elementi di continuità.  I dirigenti del PCC (non senza contraddizioni) continuano a perseguire la strada socialista verso lo sviluppo economico e umano, e hanno accentuato il carattere socialistico della loro strategia di lungo periodo negli ultimi anni, in parte come necessaria risposta all’offensiva imperialista.

La protezione del sistema finanziario e bancario

Il settore finanziario costituisce probabilmente la componente dell’economia in cui la continuità’ con la tradizione del modello maoista è più evidente. Vi sono state importanti riforme che hanno fatto fare grossi passi avanti verso la modernizzazione, lo sviluppo finanziario e la sensibilità nei confronti dei segnali di mercato, ma lo spazio concesso ai privati è rimasto estremamente ridotto, coerentemente con il principio basico del socialismo che raccomanda di mantenere sotto il fermo controllo dello stato le aree nevralgiche di controllo strategico dell’economia nel suo complesso. Il sistema finanziario cinese è tuttora dominato da alcune grandi banche pubbliche, anche se comprende anche un settore azionario in rapida crescita, ma relativamente immaturo e instabile.

Poiché l’accesso a quest’ultimo è stato riservato per lo più alle imprese statali e a partecipazione statale, sia le banche che il mercato azionario hanno svolto finora un ruolo efficace nell’incanalare l’abbondante risparmio nazionale verso una crescita trainata dagli investimenti, guidata da una sostenuta spinta all’accumulazione nell’industria a controllo pubblico.

Tuttavia, anche a causa della proliferazione insufficientemente controllata di agenti finanziari privati più o meno informali (il cosiddetto sistema finanziario ombra), sono aumentati i fenomeni sociali malsani e i rischi sistemici complessivi, soprattutto a causa di tre principali fattori:

i) l’aumento del debito delle imprese, delle amministrazioni locali e delle famiglie;

ii) la proliferazione di un mercato immobiliare in forte espansione e scarsamente regolamentato, stimolato dalla privatizzazione degli alloggi urbani;

iii) le conseguenze negative di alcune politiche di liberalizzazione finanziaria.

A questo proposito, molti critici sostengono che il settore finanziario formale sia ancora poco sviluppato rispetto al resto dell’economia cinese e che proprio questo sottosviluppo agisca da freno alla crescita del Paese. Il fatto stesso che la RPC possa raggiungere un tasso di crescita così elevato con un sistema finanziario così poco sviluppato è considerato da alcuni studiosi come uno dei più grandi misteri della storia dello sviluppo mondiale, tenuto conto che le banche statali hanno continuato a privilegiare le imprese pubbliche e parapubbliche e le amministrazioni locali e a privare di finanziamenti le famiglie, costringendole a sviluppare canali alternativi di credito ombra. Secondo loro, il sistema bancario ombra dovrebbe ora emergere, le banche statali dovrebbero abbandonare il pregiudizio anti-privato e aumentare il credito agli imprenditori privati e alle famiglie, e il sistema finanziario cinese nel suo complesso dovrebbe essere liberalizzato radicalmente, sottoponendolo alle leggi del mercato e intensificandone l’approfondimento, la diversificazione e l’integrazione internazionale.

In realtà, la straordinaria crescita della Cina è stata possibile proprio grazie al suo cosiddetto sottosviluppo finanziario e alla radicale differenza tra il suo sistema a controllo pubblico e quello speculativo sempre a rischio di crisi dei paesi capitalisti.  Nonostante le grandi inefficienze, la corruzione e gli sprechi, la propensione a concedere crediti preferenziali ai governi centrali e locali e alle imprese pubbliche e parapubbliche si è rivelata efficace sia dal punto di vista macroeconomico che da quello dinamico, consentendo alla Cina di sfuggire alle peggiori conseguenze della crisi globale e favorendo l’aumento degli investimenti e il consolidamento e la modernizzazione delle industrie strategiche. In modo complementare, ha anche permesso alle aziende private, che tendono ad avere una prospettiva di massimizzazione del profitto di breve termine, di prosperare per difetto, sfruttando le opportunità di mercato offerte dalla crescente domanda interna.

Al contrario, i cambiamenti in direzione di una parziale liberalizzazione finanziaria (molti dei quali non voluti, e causati dalla insufficiente incapacità dei regolatori nel controllare la proliferazione del sistema bancario ombra e delle attività finanziarie illegali) hanno portato a risultati dubbi, e infatti sono attualmente oggetto di revisione, nel quadro di una maggiore centralizzazione del sistema.

Imprese non capitalistiche orientate al mercato

L’evoluzione della struttura e della tipologia delle imprese agricole e industriali ha costituito e costituisce uno degli elementi portanti della strategia di riforme nel suo complesso. La vulgata prevalente in Occidente vuole che l’aspetto più significativo di questa evoluzione sia rappresentato dal declino delle imprese di stato e dal boom di quelle private, con il risultato di rendere la Cina sempre più capitalista.

Al contrario, sia da un punto di vista teorico che pratico, l’essenza di questo fenomeno consiste nell’emergere di varie forme di imprese non capitalistiche orientate al mercato, prima nelle campagne e poi nelle città. Queste imprese sono dotate per lo più di diritti di proprietà notevoli ma parziali, e non si comportano come tipiche imprese capitalistiche. Tra le più importanti si possono ricordare l’azienda contadina familiare, le imprese locali e di villaggio, e le moderne imprese industriali a partecipazione statale.

Una volta identificata correttamente la natura di queste imprese, risulta evidente che la cosiddetta privatizzazione di massa in agricoltura, nell’industria e nei servizi che sarebbe avvenuta in Cina è un mito. Il grosso del capitale industriale è tuttora sotto il controllo diretto o indiretto dello stato, e la maggior parte dei lavoratori cinesi non opera all’interno di rapporti di produzione capitalistici. Sotto la leadership di Xi Jinping, inoltre, si è manifestata in modo evidente una svolta nella direzione “lo stato avanza, il settore privato arretra”, con una intensificazione e rafforzamento del controllo diretto e indiretto dello stato nell’economia. Anche i grandi capitalisti privati sono stati costretti ad abbassare la cresta, e i loro diritti di proprietà sono stati indeboliti di fatto da vari fenomeni, tra cui il rafforzamento e diffusione delle cellule del partito all’interno delle imprese e i duri colpi giudiziari e extragiudiziari inflitti ad alcuni dei capitalisti più arroganti, come ad esempio Jack Ma.

Il carattere sostanzialmente socialistico della struttura dei diritti di proprietà, e più in generale dei meccanismi formali e informali di controllo e comando sul capitale, mostra    che lo Stato è sempre più saldamente al posto di comando, e i privati svolgono (volenti o nolenti) un giusto e utile ruolo di funzionari del capitale, ma di un capitale che è essenzialmente pubblico e strategicamente funzionale allo sviluppo economico del paese.

Il salto di qualità nel progresso tecnologico

 L’innovazione e il progresso tecnologico sono stati indicati da tempo dal PCC come il terreno decisivo che determinerà nel lungo periodo le sorti dello sviluppo socioeconomico del paese e l’esito della sua lotta esistenziale per la sopravvivenza nel quadro della guerra contro l’imperialismo – che da commerciale sta diventando sempre di più una vera e propria guerra fredda.

L’obiettivo generale della Cina è quello di ottenere un decisivo salto di qualità, riducendo drasticamente la dipendenza tecnologica dalle potenze straniere e sviluppando una capacità sistemica di generare innovazioni indigene al di là della frontiera della conoscenza mondiale.

La narrazione romantica e dolciastra che vede l’innovazione e il progresso tecnologico come prodotto esclusivo della genialità di pochi individui tipo Archimede Pitagorico è sempre stata funzionale alla ideologia e alla propaganda capitalista, liberale e libertaria. Sempre di più il potenziale innovativo di un paese dipende dalla sua capacità di costituire e sviluppare un ampio e forte sistema nazionale di innovazione, che sostenga le attività di R&S e di S&T e faciliti la traduzione dei progressi della conoscenza in avanzamenti importanti del progresso tecnico e della produttività, sia nei settori produttivi che in quelli improduttivi (i.e., nella sanità pubblica). Per questo, è necessario promuovere un’interrelazione fluida tra i vari settori e livelli di generazione e diffusione della conoscenza, attraverso una miscela pragmatica di meccanismi di pianificazione e di mercato.

La strategia di innovazione cinese è peculiare per almeno tre aspetti cruciali:

i) La PRC è molto grande

ii) e dispone ancora di molti strumenti di intervento propri di una economia di comando – pur nel quadro di una pianificazione compatibile con il mercato

iii) che consente ai policymakers di agire in una prospettiva di lungo periodo, e quindi di canalizzare verso obbiettivi che si materializzeranno solo nel medio e lungo termine risorse proporzionalmente superiori a quelle che potrebbe mobilitare un paese capitalista (sia esso liberaldemocratico o autoritario). Il primo aspetto è naturalmente di carattere prettamente geografico e demografico. Gli altri due, invece, sono prodotto della natura sostanzialmente socialistica della RPC. Grazie a queste tre caratteristiche la Cina, unica tra i paesi del Sud globale, ha potuto rapidamente costruire un imponente sistema nazionale di innovazione che:

i) è al primo posto a livello mondiale per il livello assoluto di molti indicatori (ad esempio, il numero di addetti alla R&S, il numero di brevetti);

ii) si colloca al secondo posto secondo il criterio olistico di valutazione del suo potenziale innovativo complessivo, ma ha già superato gli USA in alcuni settori chiave;

iii) nel corso del tempo riesce a canalizzare verso la ricerca risorse sempre più grandi sia in senso assoluto che relativo (come mostra ad esempio il rapporto R&D/PIL), a ritmi che non possono essere sostenuti dalle potenze capitalistiche più avanzate.

Il sistema nazionale di innovazione   cinese ha fatto passi da gigante sia nella dimensione quantitativa che in quella qualitativa molto più velocemente dell’economia nel suo complesso, rendendo la RPC l’unico straordinario outlier di questo tipo tra tutti i Paesi del mondo e raggiungendo  dimensioni assolute uniche e  una  qualità  ed efficacia complessive  vicine a quelle dei Paesi capitalistici più avanzati, mentre la Cina nel suo insieme ha ancora un  grado medio di sviluppo economico (indicato imperfettamente dal PIL pro capite) pari a quello di un Paese in via di sviluppo di medio livello.

La componente principale del sistema nazionale di innovazione cinese è ancora costituita da organizzazioni completamente pubbliche e non orientate al mercato. Praticamente tutta la ricerca di base e gran parte della ricerca applicata sono svolte da università e centri di ricerca pubblici. Anche le grandi imprese di Stato e a partecipazione statale stanno impegnandosi sempre più in attività di ricerca strategiche, al fine di realizzare scoperte decisive in settori scientifici chiave.

Il sistema nazionale di innovazione cinese si sta sviluppando lungo un percorso duplice ma non necessariamente contraddittorio:

i) le imprese private e miste più commerciali si concentrano su attività di sviluppo incrementale che promettono di immediati benefici di mercato, e generano la maggior parte della spesa in R&S nel suo complesso e delle innovazioni nazionali brevettate.

ii) i livelli gerarchici di più alto livello – università e centri di ricerca pubblici, conglomerati giganti gestiti dalle grandi imprese e pubbliche e parapubbliche, alcune grandi imprese private high-tech dotate de facto di sovranità limitata,  la cui traiettoria innovativa  deve essere necessariamente coerente con gli obiettivi strategici nazionali – privilegiano l’obbiettivo strategico di rafforzare la capacità nazionale di autentica innovazione indigena, e quindi si dedicano soprattutto alla ricerca di base e applicata.

 La stella polare dello sviluppo socioeconomico e umano

La maggiore differenza tra capitalismo e socialismo, pari o superiore in importanza a quella nei rapporti e diritti di proprietà sui mezzi di produzione, riguarda il comando sul mercato e la destinazione del surplus.

In teoria, nel socialismo pienamente sviluppato vengono eliminate le rendite, i redditi non da lavoro. E di conseguenza viene eliminata anche la quota di surplus che alimenta i consumi di lusso, e quindi le classi in senso marxiano, e la distribuzione del reddito è conforme al principio a ognuno secondo il suo lavoro.  La quota corrispondente del surplus viene destinata a investimenti orientati allo sviluppo scientifico, tecnologico ed economico e/o al rafforzamento dello stato sociale.

Cina, Vietnam e Laos hanno compiuto un passo indietro rispetto al precedente modello di socialismo di tipo sovietico, trasformando economie centralmente pianificate quasi pienamente socialiste ma molto arretrate e inefficienti in economie miste in cui un certo spazio è lasciato ad attività governate da rapporti sociali di tipo capitalistico. In compenso, hanno fatto due passi avanti, dando vita a economie dinamiche ed efficienti organizzate secondo principi basici coerenti con il livello di sviluppo delle forze produttive e della cultura dei loro popoli, e compatibili con le caratteristiche essenziali delle leggi di movimento della economia mondiale contemporanea. Esse, e soprattutto la Cina, rappresentano gli esempi attualmente più avanzati di un modello potenzialmente universale strutturalmente superiore al capitalismo.

La ragione fondamentale che spiega il successo di Cina, Vietnam e Laos nel riformare radicalmente il precedente modello di socialismo di tipo sovietico, trasformandosi in economie socialiste di mercato (o se si vuole, più prudentemente, in economie miste orientate al socialismo, nelle quali il modo di produzione socialista può credibilmente essere considerato dominante) sono quindi in ultima analisi di carattere teorico. I dirigenti di questi paesi, spinti da esigenze pratiche, hanno intuito prima di altri le caratteristiche essenziali delle economie moderne, pur non formulando inizialmente un quadro teorico compiuto, e ne hanno tenuto conto nel formulare politiche economiche estremamente efficaci per accelerare lo sviluppo delle rispettive economie nazionali. Inoltre, malgrado le grandi contraddizioni implicite in questo nuovo approccio, lo hanno fatto mantenendo e anzi rafforzando nei fatti l’orientamento socialista di tale sviluppo.

In una prospettiva storica di medio periodo, è evidente che queste grandi conquiste sono state rese possibili dalle specificità storiche, geografiche e istituzionali dei tre paesi asiatici, e in particolare dalla eccezionale forza e lungimiranza dei rispettivi partiti comunisti. Tuttavia, da un punto di vista più ampio e generale, queste specificità devono essere relativizzate, e viste come fattori abilitanti che hanno consentito una corretta interpretazione pragmatica della natura fondamentale delle economie contemporanee, e che in una ottica di lungo periodo vanno viste come date, universali e al limite (se il termine non fosse una bestemmia per i marxisti) astoriche.

In una ottica multidisciplinare, nello sforzo di comprendere in modo più completo possibile lo straordinario  fenomeno storico del socialismo di mercato asiatico, è moto importante dare la giusta importanza – oltre a molti altri – a fattori come l’appartenenza a gruppi etnici non caucasici, le lotte anticoloniali, una alimentazione fondata soprattutto sul  riso coltivato con tecniche labour intensive, e  tradizioni culturali impregnate di buddismo e confucianesimo e prive della tara del monoteismo, evitando così di cadere nel determinismo e nell’economicismo.

Tuttavia, questi fattori non sono in linea di principio condizioni assolutamente necessarie per avanzare verso lo sviluppo di moderne economie socialiste di mercato. In una prospettiva ancora più ampia, nemmeno l’appartenenza al Sud globale e la vigenza di sistemi politici e istituzionali lontani dal quelli delle cosiddette democrazie liberali lo sono.  L’economia socialista di mercato è già parte del presente nel primo quarto del secolo XXI. Nell’ipotesi moderatamente probabile che sia possibile evitare catastrofi ecologiche o nucleari, costituisce anche la stella polare di ogni concepibile sviluppo socioeconomico e umano per il resto del secolo e oltre.

 Testi di riferimento

Gabriele A. 2021, Enterprise reforms and innovation as key drivers of Socialism with Chinese characteristics” , World Review of Political Economy.

Gabriele A. 2020, Enterprises, Industry and Innovation in the People’s Republic of China – Questioning Socialism from Deng to the Trade and Tech War, Springer.

Gabriele A. e Jabbour E., 2022, Socialist Economic Development In The XXth Century – Challenges One Century After The Bolshevik Revolution, Giappichelli and Routledge.

Gabriele A. e Jabbour E., 2021, A China e o socialismo de nosso tempo – A “Nova Economia do Projetamento” como estágio avançado do socialismo de mercado, Boitempo.

Hansen A., Bekkevold J.I., Nordhaug K. (eds.), 2020, The Socialist Market Economy in Asia – Development in China, Vietnam and Laos.

Naughton B.J., 2018, The Chinese Economy- Adaptation and Growth (Second Edition).

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