È probabile che, anche dopo le elezioni del 23 febbraio 2025, la questione migrazione continui a rappresentare un “nodo gordiano” per la governabilità della Germania. Perché la coalizione che si profila tra CDU/CSU e SPD ha posizioni sensibilmente diverse su come regolare i flussi migratori – divergenze che si riscontrano anche rispetto alla postura internazionale, al green deal, al mantenimento del “freno all’indebitamento). Friedrich Merz, leader della CDU, ha per ora respinto le lusinghe dell’AfD, che si è detta disponibile a partecipare al nuovo governo. Nel nome del Brandmauer il muro di protezione (letteralmente, muro tagliafuoco) nei confronti dell’ultradestra.
L’effettiva tenuta del cordone sanitario è stata messa a dura prova dalla votazione congiunta tra CDU/CSU, AfD e astensione del BSW (il partito di Sahra Wagenknecht) sulla mozione “anti-migrazione” lo scorso 31 gennaio. Il voto successivo sulla legge, che incorporava il contenuto della mozione si è concluso, invece, con 349 voti contrari (compresi 12 parlamentari della CDU) e 338 a favore (tra cui Spd, Verdi e liberali del Fdp).
La legge “incriminata”
In verità, il contenuto propriamente normativo della proposta di legge CDU/CSU era “modesto”, ingigantito dall’avvicinarsi della tornata elettorale. La proposta in parola era soprattutto una reazione ai più recenti eventi di cronaca che hanno profondamente scosso l’opinione pubblica tedesca: dall’attentato ai mercatini di Natale a Magdeburgo nello scorso dicembre ai più recenti atti di “lupi solitari” (l’accoltellamento fatale di un bambino e un passante a Aschaffenburg, l’auto scagliata sulla folla a Monaco di Baviera alla vigilia della Conferenza sulla sicurezza). Tragici fatti di cronaca accumunati dal fatto che gli autori sono richiedenti asilo.
La proposta di legge ha una dizione suggestiva: legge per la limitazione del flusso (senza altra specificazione), Zustrombegrenzungsgesetz. Non una grande riforma di sistema del diritto di asilo. Quella è già avvenuta con la revisione costituzionale del 1993 che ha “inventato” la categoria del “paese sicuro” con il corollario della distinzione tra rifugiato e migrante economico, riforma che ha incentivato una competizione al ribasso tra gli Stati membri dell’Unione europea, volta a ridurre le forme di protezione accordate ai richiedenti asilo.
In primo luogo, la proposta in parola reintroduce nella legge sul diritto degli immigrati l’espressione “limitazione” (Begrenzung), espressione che era stata soppressa dalla precedente novella approvata nel 2023 dalla coalizione semaforo (Spd, Verdi, Fdp). Per i critici, la CDU ma soprattutto l’AfD, la novella aveva inviato un segnale che, come all’epoca del «Wir schaffen das» della ex Cancelliera Merkel, avrebbe suggerito ai migranti che la Germania era di nuovo disponibile ad accoglierli. Dalla Relazione di accompagnamento leggiamo che la CDU intende ribadire il principio secondo cui l’immigrazione deve essere non solo “gestita” ma attivamente “limitata”, in un periodo in cui «l’accoglienza di oltre 1,8 milioni di richiedenti asilo e rifugiati ucraini ha messo a dura prova le capacità di integrazione del Paese».
In secondo luogo, la proposta restringe il diritto al ricongiungimento familiare per una categoria specifica di migranti (neppure così numerosa): i titolari della protezione sussidiaria, coloro che, pur non essendo in grado di dimostrare la persecuzione o il rischio di essa, ai sensi della Convenzione di Ginevra, potrebbero, in caso di rimpatrio, subire un «grave danno» consistente nella condanna alla pena di morte, nella tortura, trattamenti inumani e degradanti.
In terzo luogo, forse il vero cuore della proposta, si rafforzano consistentemente i poteri della Polizia federale di frontiera, allo scopo di rendere più rapida ed efficiente la procedura di espulsione e di respingimento dei migranti e richiedenti asilo, senza troppe “sottili” distinzioni. Nihil sub sole novum, si sarebbe tentati di dire, se è vero che l’obiettivo dell’espulsione degli ultimi degli ultimi della terra è diventato il mantra delle classi dirigenti dagli Stati Uniti di “Re” Donald Trump all’Unione europea.
L’accusa. La CDU ha infranto il Brandmauer
Chi ha ascoltato l’appassionato e a tratti infuocato dibattito al Bundestag ha constatato che il contenuto normativo della legge era sullo sfondo. Da una parte, l’accusa impersonata da Spd, Verdi (i due partiti che potrebbero fare parte della coalizione del governo Merz) e Linke. Si imputa alla CDU di aver infranto il cordone sanitario (la conventio ad excludendum) nei confronti del partito di estrema destra AfD. Sostiene l’accusa che la CDU scommetterebbe sulla possibilità di una “normalizzazione” dell’AfD, un partito anti-europeista che vorrebbe ripristinare il marco come moneta nazionale. Un partito che ha sdoganato la parola d’ordine feroce della Remigration (re-migrazione). Slogan che lascia consapevolmente in ombra il vero intento: rimpatriare in maniera sommaria i migranti che si trovano in condizione di ingresso e/o soggiorno illegali, o anche la deportazione di coloro che, pur avendo acquisito la cittadinanza, non hanno il sangue puro germanico.
È altamente significativo che, a seguito alla votazione congiunta di CDU/CSU e AfD sulla mozione parlamentare, Angela Merkel sia intervenuta per sanzionare negativamente la strategia di Merz. L’intervento ha avuto un impatto decisivo nella successiva votazione sulla legge, poiché, come già anticipato, 12 componenti della CDU hanno deciso di astenersi dal voto, contribuendo alla bocciatura della “Zustrombegrenzungsgesetz”.
La difesa. È il lassismo ad aver alimentato AfD
Sostiene, al contrario, Friedrich Merz che non vi è mai stata alcuna intenzione di scardinare il “Brandmauer”. Ma che la cattiva gestione del fenomeno migrazione, di cui sarebbero responsabili i protagonisti del fallimentare governo “semaforo” tra Spd, Verdi e Fdp, ha alimentato nel paese il risentimento verso una classe politica inadeguata, gonfiando le vele del consenso a favore della AfD.
Per uno dei tanti paradossi di questa vicenda, anche Sahra Wagenknecht ha difeso la legge. Sostiene Sahra che è sbagliato etichettare l’intero partito AfD e il suo vasto elettorato come filo nazisti. Al contrario, secondo Sahra, il silenzio della sinistra progressista nei confronti delle legittime istanze di sicurezza e protezione dei lavoratori emarginati dalla globalizzazione ha spinto questi ultimi nelle braccia dell’AfD.
Da questo punto di vista, si distingue la posizione più equilibrata della Linke. La denuncia dei guasti sociali di un certo cosmopolitismo astratto rivelatosi funzionale alle esigenze della grande industria, non dovrebbe rovesciarsi in una “vendetta” sui migranti, colpevoli esclusivamente del desiderio di una vita migliore. Altrimenti si verrebbe meno alla grande lezione dell’universalismo, inteso non come moralismo astratto dei diritti umani, ma come riconoscimento “situato” della pari dignità di ogni essere umano.
Il verdetto. Il tramonto del globalismo neoliberale
Uno sguardo di lunga durata suggerisce che l’immigrazione è la cartina di tornasole migliore per comprendere i dilemmi che assillano le classi dirigenti liberal-progressiste in Germania e in Europa.
Per lungo tempo – diciamo fino agli anni Novanta – i partiti liberal-progressisti hanno adottato nei confronti dell’immigrazione un approccio all’ insegna del cosmopolitico compassionevole. Mentre l’asilo politico-costituzionale, ormai un flebile ricordo del passato, mirava ad emancipare il migrante dalla sua condizione di “nuda vita” per favorirne l’integrazione civica (l’arendtiano diritto ad avere diritti), lo status di rifugiato, al centro del diritto dell’UE, “guarda” al migrante come vittima traumatizzata da soccorrere, la cui libertà può essere limitata anche “per il suo stesso interesse”.
Questa politica della compassione era finalizzata sì a promuovere la libera circolazione delle persone – e in particolare dei lavoratori, intesi come fattori di produzione, ma solo nella misura strettamente funzionale alla divisione internazionale del lavoro. Quelle stesse classi dirigenti, però, hanno ignorato le comprensibili istanze difensive dei lavoratori nazionali preoccupati dagli effetti di dumping sociale derivanti dall’immigrazione incontrollata, istanze che, lasciate prive di rappresentanza, hanno assunto progressivamente toni nazionalistici e sciovinistici.
Il paradigma securitario
Quando questi strati sociali “dimenticati” hanno cominciato ad organizzarsi politicamente ed entrare nei Parlamenti, le élites liberal-progressiste, invece di cercare una conciliazione tra le ragioni della sicurezza collettiva e le ragioni umanitarie inscritte nelle Costituzioni e nella Carte dei diritti, hanno privilegiato il paradigma securitario, inseguendo la destra estrema sul suo terreno elettivo. Dagli anni duemila in poi, l’Unione europea e gli Stati membri si sono rese protagoniste di politiche di radicale restrizione del fenomeno migratorio: principio del paese sicuro, normalizzazione della detenzione amministrativa, esternalizzazione della protezione in paesi terzi, fino alla sostanziale cancellazione del diritto di asilo costituzionale.
Il migrante più che come un soggetto di diritti è trattato come un oggetto di un procedimento altamente formalizzato che ha la finalità di individuare rapidamente se ci si trovi di fronte ad un migrante economico, da avviare alla procedura di espulsione, oppure ad un potenziale richiedente protezione, da ammettere condizionatamente sul territorio europeo: è il principio del paese sicuro. In secondo luogo, una volta definita la potenziale qualifica di richiedente, si stabilisce in forza di criteri che prescindono dalla sua volontà lo Stato membro competente per esaminare la domanda di protezione (con la possibilità di un trasferimento coattivo da uno Stato membro all’altro): è il principio di Dublino, oggi comunitarizzato. Nelle more di questi accertamenti, lo straniero potrà essere assoggettato alla misura della detenzione amministrativa sulla base di requisiti di natura vaga e rimessi in ultima analisi alla valutazione discrezionale delle autorità amministrative competenti, con garanzie giurisdizionali evanescenti.
L’amministrativizzazione delle libertà del non cittadino ha raggiunto il culmine negli ultimi anni con una distorsione del concetto di sicurezza: dall’idea che uno stato bene organizzato debba garantire una sicurezza dei diritti per tutti (e soprattutto per le persone vulnerabili), all’idea per cui esisterebbe un diritto soggettivo individuale alla sicurezza; un diritto di dubbio fondamento costituzionale che la parte più forte della società potrebbe rivendicare contro la parte più fragile della stessa per salvaguardare lo status quo (Ruotolo, 2011).
L’esasperazione della ragione securitaria ha ispirato negli ultimi anni la pratica dell’esternalizzazione della gestione dei migranti presso paesi terzi (Turchia, Libia e oggi Albania), in forza di accordi internazionali sottratti artatamente alla giurisdizione delle corti europee al prezzo di flagranti violazioni dei diritti umani.
Cosa ci riserva il futuro?
È probabile che il paradigma securitario si confermi come un’asse centrale del futuro governo di Friedrich Merz. Egli si troverà di fronte a un dilemma: o adattare la linea politica anti-migrazione ricercando un laborioso compromesso con la Spd (e potenzialmente anche con i Verdi), oppure persistere su quella linea politica, finendo per inerzia a dialogare con la AfD e incrinando irreversibilmente il Brandmauer. In sostanza, i dati suggeriscono che lo scenario tedesco si avvicina a quello austriaco, dove le divisioni tra i partiti dell’“arco costituzionale” hanno aperto le porte all’ascesa al governo del FPÖ (sebbene questa risulti almeno per il momento “fallita”).