“Siamo nella giungla e ci sono due grossi elefanti sempre più nervosi se si fanno la guerra sarà un grosso problema per il resto della giungla” (Emmanuel Macron) “il mondo sta affrontando una svolta epocale…nuove potenze sono emerse, inclusa una Cina economicamente forte e politicamente determinata” (Olaf Scholz).
Da parecchio tempo appare chiaro che l’Europa, che continua ad essere disunita, ha grandi difficoltà a restare dietro agli Stati Uniti e alla Cina sul piano tecnologico e che i tentativi di rimediare a tale gap appaiono deboli, in particolare sul piano finanziario, nonché tardivi. Il problema è tale da mettere in difficoltà le prospettive di crescita economica del continente. Con la guerra in Ucraina, si è aggiunta una questione altrettanto grave, quella del forte aumento dei prezzi dell’energia (oltre che della sua difficile reperibilità) che, in particolare in alcuni settori industriali, appare insostenibile, mentre Cina e Stati Uniti per il momento non ne risentono. Si aggiunge la forte crescita dell’inflazione, questione che questa volta l’Europa ha in comune con gli Stati Uniti, mentre in Cina le ultime rilevazioni registrano un aumento dei prezzi al consumo del 2,1%. Molti mal di testa pone anche al nostro continente la crescente rivalità tra Stati Uniti e Cina, con Biden in particolare che vuole impedire che il paese asiatico li raggiunga e li superi sul piano tecnologico, economico, militare, compito peraltro immane per gli Usa, rispetto al quale egli cerca in ogni caso di coinvolgere gli alleati con pressioni di ogni genere. Così i paesi europei sono divisi tra fedeltà politica e interessi economici.
L’inflation Reduction Plan: un colpo di grazia per l’Europa?
Più recentemente si è aggiunto ai problemi menzionati quello che potrebbe essere il colpo di grazia per l’industria del nostro continente. Qualche mese fa Joe Biden ha varato l’Inflation Reduction Plan, un progetto che stanzia 738 miliardi di dollari, di cui 391 miliardi di spese pubbliche nel campo dell’energia e del cambiamento climatico. Vengono previste in particolare delle sovvenzioni massicce per le energie rinnovabili, per il nucleare, per l’acquisto di veicoli elettrici, nonché per la decarbonizzazione dell’industria e delle abitazioni. Le industrie, però, riceveranno i sussidi, soltanto se si svolgeranno sul suolo americano (Escande, 2022). Questo protezionismo USA ironicamente sembra ripagare l’UE per il sostegno incondizionato mostrato sul tema dell’Ucraina, dimostrando, come scritto da S. Lauer, 2022, che sulla libertà dei commerci Biden è alla fine come Trump, meno gli insulti. Ma la reazione politica europea a tutto questo è apparsa molto lenta e sino ad oggi abbastanza sottotono. “Una guerra commerciale costosa non è nel nostro interesse” ha dichiarato la von der Leyen, rifiutando di denunciare gli Stati Uniti davanti all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), anche se le nuove norme di Biden stracciano molte delle regole dell’Organizzazione (Malingre, 2022). Ma la stessa von der Leyen ha invece attaccato davanti all’OMC la Cina (ogni pretesto in questo caso è buono) per una questioncina che tocca la sola Lituania.
Sembra a questo punto che la grande industria europea non abbia altra alternativa che spostare i nuovi investimenti negli Stati Uniti e/o anche in Cina, considerando che in quest’ultimo paese trova abbondanza di energia a basso costo, inflazione ridotta, un mercato enorme, una rete di fornitori imbattibile (già si leggono le prime indiscrezioni relative alla fuga verso tali lidi).