IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

La grande corsa al centro

Il patto atlantico sostituisce il patto costituzionale e come nuova base valoriale determina generalizzati movimenti trasformistici. Si va delineando un partito unico delle élite.

La guerra ha cambiato profondamente il quadro politico. Con quali effetti di sistema è ancora arduo prevederlo. Intanto, è evidente il nuovo ruolo di Draghi. Il suo mandato non è più quello della destinazione dei fondi per la ripartenza. I viaggi continui per il mondo segnalano un attivismo frenetico in campi non strettamente economico-finanziari. La dimensione internazionale ha assorbito le preoccupazioni dell’esecutivo, diventando anzi il terreno principale della sua missione.

Un centro di nuovo conio

La grande corsa verso il centro con scissioni e nuove offerte elettorali in gestazione non è estranea alla curvatura diversa che la guerra ha impresso all’agire politico. Secondo Angelo Panebianco la risposta dei partiti alla guerra muta la qualità e legittimità dei leader in campo. “A differenza dei suoi (confusi) partner del centrodestra, Giorgia Meloni ha conferito al suo partito caratura e piglio di forza di governo con la decisa scelta atlantista in difesa dell’Ucraina. Adesso Fdl (al pari del Pd) è un partito che ha acquistato un forte credito presso i nostri alleati occidentali. Chi pensa che in politica queste cose contino poco è afflitto da provincialismo”.
Il sistema politico vede, dunque, secondo il Corriere due forze parimenti legittime non in ragione della loro aderenza ai principi costituzionali o ai canoni della liberaldemocrazia (Meloni che parla dei rifugiati come degli alfieri “di una sostituzione etnica” farebbe trenare i polsi di un liberale normale) ma per via della comune aderenza alla nuova base della costituzione materiale: la fedeltà atlantista. Il patto atlantico sostituisce il patto costituzionale e come nuova base valoriale della Repubblica determina i generali movimenti trasformistici nell’arena politica.
Sono in corso le manovre per la preparazione non di un semplice grande centro dai confini identitari sbiaditi, ma di uno specifico assetto centripeto occupato con il partito unico delle élite ritenute responsabili “e di governo” perché chiaramente atlantiste nella loro fede e nella loro collocazione nelle grandi crisi internazionali.
È quindi un centro di nuovo conio, e pieno di sostanza quello che si cerca di delineare con l’attivismo degli aspiranti leader. un centro persino denso di ideologia: non dichiara forse l’ex ‘capo politico’ del movimento grillino, simpatizzante dei gilet gialli e dell’abbandono dell’euro, ora promosso da chi conta a vero esemplare di statista, di essere “dalla parte giusta della storia”?

Trasformismo con l’elmetto

Questo trasformismo che dilaga non indica una semplice disgregazione delle organizzazioni da tempo residuali in una ondata di irreversibile atomizzazione politica. E’ un trasformismo con l’elmetto che definisce un partito unico delle élite responsabili autorizzato a stilare liste di proscrizione, a combattere l’analisi critica. Sta maturando una egemonia politico-culturale trasversale che, nell’affollamento centrista, spinge con forza a una convergenza atlantista di spezzoni di ceto politico-economico-mediatico-intellettuale. La guerra ha cambiato le forze in campo e anche una rudimentale sociologia del potere sarebbe in grado di svelare la composizione effettiva del partito unico delle élite atlantiste che spezzano ogni autonomia politico-strategica della vecchia Europa e battono i tamburi di guerra in sintonia con il comandante in capo dell’impero smarrito.

Il disperato tentativo di non morire

Quanto più il programma economico del governo arranca, strattonato dalla spiacevole realtà dell’inflazione fuori controllo, e il piano di ripresa e resilienza mostra segni di cedimento, dinanzi a vecchie e nuove emergenze strutturali, tanto più con determinazione l’esecutivo “senza formula politica” si orienta nella dimensione internazionale. L’impossibile rilancio modernizzatore del capitalismo italiano suggerisce di trovare altre sponde per aggrapparsi a qualcosa nel disperato tentativo di non perire.
Il Pd appare sempre più un soggetto moderato che rappresenta l’establishment. Al rafforzamento di questo suo profilo è sollecitato, oltre che dal dominio del meta partito democristiano che controlla i punti nevralgici, anche dallo sfaldamento incontenibile dei grillini e dalla convergenza centripeta che, nei territori e nelle rappresentanze elettive, si profila come effetto del celere sostituirsi della bonaccia trasformista alla sopita rivolta populista. Un rassemblement delle élite più responsabili, in grado di consolidare i contatti internazionali ed arginare le spinte sovraniste in ripiegamento, può confidare nel soccorso della evidente contrazione della partecipazione elettorale. In tal senso, non risulterebbe difficile allestire una competitiva coalizione tecno-populista rivolta ai ceti più garantiti e in grado di eliminare, nelle urne che rimangono aperte di fatto solo per i cittadini privilegiati, la spiacevole voce dissonante dei portatori del disagio sociale.
L’affollamento dell’area di centro mostra le risorse infinite del trasformismo, capace di stemperare ogni cosa, di assorbire magicamente nei riti del potere i nemici più eterogenei (proprio il M5S, dalla originaria ripulsa di ogni compromesso e alleanza, è transitato all’accettazione di ogni formula politica: dopo l’accordo tra la rete e la ruspa, tra l’immateriale cyberspazio e il materiale territorio un tempo solo padano, sono state siglate intese con i “rossi” e, addirittura, con i tecnici). Questa attrazione centripeta nasconde un problema irrisolto: l’infinità di sigle e di micro-aggregazioni nulla dice sul radicamento effettivo nella società dei tanti leader che cercano di puntellare il consenso al metapartito della super-élite al potere.

Una competizione interna al perimetro della società dei garantiti

La strategia di un trasformismo rivolto ai ceti abbienti, da sedurre con le creative offerte elettorali necessarie per sostenere il partito unico della classe dirigente, confida che la riduzione della complessità sociale sia in qualche modo garantita dalla benedetta sfiducia, dal rifiuto della politica che induce all’astensione cronicizzata dei poveri. Si sta definendo, in tal modo, una nuova polarità: il gioco competitivo è sperimentato nel perimetro della società dei garantiti, mentre invece il sentimento della sfiducia abita nei ceti popolari indotti all’apatia, alle strategie di uscita dallo spazio pubblico. Gli effetti sociali dell’economia di guerra potrebbero sconvolgere le vie della passivizzazione e indurre (questa è la speranza non solo di Conte) all’ennesima contrapposizione dentro-fuori, alto-basso.

Sinistra assente

A sinistra di un Pd fortemente atlantista, che guida il fronte intransigente di chi incita alla prova del sangue fino all’ultima traccia della resistenza e si mantiene lontano dalla questione sociale, non crescono processi di ricostruzione di una robusta soggettività. Proprio dalla frattura che da mesi i sondaggi segnalano, tra una costante propensione pacifista dei cittadini, che sollecitano la politica del negoziato e l’interruzione dell’invio di armi e delle sanzioni, e una sordità del governo, che si appresta ad ammettere con formule semanticamente ambigue la condizione di cobelligeranza, potrebbero scaturire le condizioni per una nuova offerta politica. È possibile che neppure il rumore delle bombe e i costi insostenibili dell’economia di guerra offrano l’occasione alle forze della sinistra per dare organizzazione politica alla frattura che si è aperta nella società italiana?

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