Sul piano economico – lo dicono tutti – le conseguenze sono, o saranno, abbastanza disastrose. L’approvvigionamento energetico dell’Italia dipende per oltre il 40% dalle forniture di gas russo. Ed è solo propaganda sostenere che alla sua mancanza si potrà ovviare attraverso l’importazione dall’Algeria e dalla Nigeria, se solo si pensa che l’Algeria dovrà far fronte alla accresciuta domanda della Spagna (con la quale è da sempre impegnata) e che l’utilizzazione del gas nigeriano (poco) richiede un gasdotto che non c’è e per costruire il quale (sempre che convenga) sono necessari un bel po’ di anni. E lo stesso è a dire del gas liquido statunitense per il quale ci vorrebbero impianti che in atto non esistono in misura sufficiente e per costruire i quali sono necessari anche in questo caso molti anni.
Quanto all’export, quello italiano verso la Russia non è molto grande ma è pur sempre significativo. Il punto reale, però, è che la inevitabile rottura del mercato internazionale procurerà, in generale, conseguenze piuttosto pesanti. Se solo si pensa che essa genererà, comunque, una contrazione dell’export occidentale ed accrescerà la concorrenza sui mercati accessibili. E nell’aspra contesa dei prossimi anni sull’Italia peseranno i deficit finanziari e di competitività che da decenni si trascina.
Tutto questo, ad esser seri, non si apprezzerà in termini di minor raffreddamento dei condizionatori degli italiani, bensì in termini di riduzione del PIL nazionale, di disoccupazione e cassa integrazione, di caduta dei redditi e di estensione delle diseguaglianze. Chi non lo dice nasconde e, perciò, inganna.
Le conseguenze geopolitiche
Sul piano geopolitico il quadro – se si può – è anche peggiore. La vittima principale – a parte l’Ucraina ed il suo popolo – di questo conflitto è l’aspirazione ad un ordine multipolare, ad un governo multilaterale del mondo. La cui eclisse ha ricadute pesantissime sulla pace e sull’economia.
La buona riuscita della strategia offensiva degli USA dipende dalla “umiliazione” (che in sé sarebbe anche meritata) della Russia. Ma questo può avere solo due esiti: o l’allineamento della Russia all’Occidente, che condurrebbe all’accerchiamento della Cina (che confina con la Siberia russa per oltre 6.000 km.) ovvero l’allineamento della Russia alla Cina con la costituzione di un blocco orientale che sommerebbe le enormi risorse naturali e la avanzata tecnologia militar-spaziale della prima al gigantismo economico e all’efficienza della seconda. Ma la polarizzazione del mondo, cui in un caso o nell’altro inevitabilmente si giungerebbe, sarà densa di conseguenze negative per la pace e per l’economia. Per la pace, perché è evidente già ora che il vero obiettivo degli USA non è la Russia ma la Cina e la sua economia, sicché si tornerà ad un equilibrio da guerra fredda su scala questa volta più larga (andando da sé che la Cina ha quasi un miliardo e mezzo di abitanti cui provvedere e non si può permettere di rinunciare allo sviluppo che li ha riscattati da fame e arretratezza). E per l’economia, perché ne seguirà, in un modo o nell’altro, la lacerazione del mercato internazionale, come lo si è conosciuto da qualche decennio in qua, ma rispetto a sviluppi delle produzioni che sono ormai impareggiabili a quelli di qualche decennio fa (e cosa generi la crescita delle produzioni in un mercato che si riduce lo può intuire chiunque).
Dunque, una crisi. Ma come sempre accade le conseguenze delle crisi si ripartiscono in modo diseguale e colpiscono le situazioni più deboli. E l’Italia si ritrova nelle condizioni di maggior debolezza, perché è troppo grande per arrabattarsi e troppo piccola (e fragile, anche per il suo debito pubblico) per farvi fronte. Visto che questa polarizzazione ne comporterà lo schiacciamento sulle politiche statunitensi e la conseguente impossibilità di aiutarsi con “aperture” verso i paesi del blocco contrapposto (come faceva un tempo: e l’esempio della Libia è eloquente).
D’altronde, di tutto questo, e cioè della politica USA e dei suoi effetti sulla politica estera dell’Italia e sulla sua economia, i prodromi si sono già visti: basti pensare alla rinuncia coatta alla “via della seta” e all’ostruzionismo imposto verso il 5G cinese e Huawei.
Mentre difficilmente l’Europa potrà dar protezione da questo scenario, poiché la stessa Unione, e non a caso, ne è vittima: la polarizzazione del mondo la coinvolge direttamente, le toglie ogni reale autonomia politica, la schiaccia sugli USA e ne compromette gli interessi commerciali e lo sviluppo futuro della sua economia. Dopo la Cina è proprio l’Europa come si era venuta costituendo dai tempi della Merkel a costituire il bersaglio di questa politica statunitense: questa guerra è stata dichiarata con la Brexit e si è sviluppata fino alle minacce tariffarie di Trump.
E tutto questo, ancora una volta, si computa in termini di riduzione del PIL nazionale, di disoccupazione e cassa integrazione, di caduta dei redditi e di estensione delle diseguaglianze. Ed anche in questo caso, chi non lo dice nasconde e, perciò, sfugge al vero.