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cultura politica e costituzionale

IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

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IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

La nuova bolla finanziaria del riarmo

Polizze, conti deposito, cartolarizzazioni, riduzioni fiscali. Il riarmo europeo finanzia ben poco l'Ue, anche perché oltre la metà si traduce in acquisti di armi prodotte negli Usa. La nuova economia violenterà il Welfare e coltiverà odi nazionalistici destinati a distruggere il senso di convivenza collettiva.

Nell’orizzonte di ReArm Europe, lo strumento concepito dalla Commissione von der Leyen per “difendere” il Vecchio Continente, compare, esplicito, l’invito a creare un mercato unico dei capitali e a favorire strategie di finanziarizzazione verso il settore delle armi, anche attraverso la Banca Europea degli Investimenti, così da facilitare la piena declinazione del capitalismo in termini bellici.

L’impennata dei titoli azionari delle armi

Il Piano, in tal senso, è l’indicazione per i grandi fondi Usa, BlackRock Vanguard e State Street, per quelli europei, da Amundi, per la grandi banche di comprare i titoli dell’industria delle armi – peraltro ben specificata dal documento “difesa aerea e missilistica, sistemi di artiglieria, missili e munizioni, droni e sistemi anti-drone” , una definizione solo parzialmente corretta dal Libro Bianco per la difesa – mettendo in secondo piano le altre forme di investimento, con la conseguenza di generare una vera e propria, colossale bolla speculativa. Così le manifestazioni pro Europa hanno ottenuto un risultato immediato, costituito dall’impennata dei titoli azionari delle principali imprese di armi europee in grado di registrare record e di riorganizzarsi rapidamente. Non è un caso che la Borsa tedesca sia stata trascinata da Rheinmetall, quella italiana da Leonardo, quella francese da Thales e quella inglese da Bae Systems. Se prendiamo l’elenco delle principali società di armamenti europee, vediamo che da inizio anno fino a metà marzo 2025 il titolo di Airbus Group è cresciuto del 12,6%, quello di Bae Systems del 41%, quello di Dassault del 45,5%, quello di Kongsberg del 27%, quello di Leonardo del 73,3%, quello di RheinMetall del 92,2%, quello di Rolls-Royce del 41%, quello di Saab del 58% e quello di Thales del 76%. Rheinmetall e Leonardo hanno annunciato una joint venture e la loro forte crescita azionaria porta con sé quella delle banche come Unicredit che hanno legami stretti con quel tipo di industrie. A rinfocolare simili aspettative si aggiunge a ReArm Europe, ribattezzato Readiness 2030, la decisione della Commissione di indirizzare i fondi di vari programmi europei alla corsa agli armamenti mettendo insieme subito una dote di 144 miliardi di euro.

Anche la BCE contribuisce al Rearm Europe

A ciò possono contribuire le politiche della Bce che si è dichiaratamente espressa a favore del Piano di riarmo, con riduzione dei tassi al 2,65% e soprattutto con la chiara indicazione che il Pil, ora stimato per il 2025 a meno dell’1%, possa crescere solo con la riconversione armata. Nella stessa logica, la Bce ha anche ridotto i tassi di interesse portando il tasso sui depositi al 2,5%: Christine Lagarde ha deciso così che bisogna finanziare il ReArm Europe inducendo le banche a comprare i titoli delle società che producono armi e rendendo decisamente meno costoso il debito utilizzato allo stesso scopo. Alla bolla delle Big Tech, terremotata da Trump, l’Europa di Draghi, von der Leyen, Lagarde ha deciso di rispondere con la bolla delle società di armi, in primis di quelle europee e poi anche di quelle Usa, naturalmente con la regia delle Big Three, che siedono al governo del Vecchio Continente insieme al sopra citato aulico triumvirato e che hanno in Merz un uomo di fiducia e in Macron e Starmer due accondiscendenti sostenitori. Si tratta di un sistema che assegna alla finanza la prerogativa di generare ricchezza per i ricchi, costruendo bolle per le quali la politica elabora la giustificazione teorica – la formula politica di Gaetano Mosca – indicata nel dovere morale di combattere per la libertà dei popoli, naturalmente evitando in tutti i modi di farlo e rendendo invece enormi le aspettative belliche, con le conseguenti necessità. Fino a quando, drammaticamente, le aspettative non si tradurranno in guerra vera.

In parziale sostituzione delle coperture pubbliche, per finanziare il piano ReArm Europe, Enrico Letta ha proposto di creare – naturalmente ad opera dei grandi fondi – un “prodotto finanziario accessibile al risparmio retail e “fiscalmente incentivato”. Una ipotesi non troppo dissimile è stata espressa dal ministro Giorgetti, incontrando il favore di vari governi europei: in altre parole i titoli delle società che producono armi, in particolare quelle europee, dovrebbero essere le destinatarie dei risparmiatori, anche di quelli piccoli, che beneficeranno di sgravi fiscali e di rendimenti sicuri. Naturalmente gli sgravi fiscali peseranno sui conti pubblici e magari penalizzeranno quegli stessi risparmiatori sul versante della copertura sanitaria e pensionistica, per le quali dunque dovranno nuovamente ricorrere a polizze private, magari di nuovo premiate fiscalmente, in una continua erosione del gettito tributario. Per rendere questi titoli armati più attrattivi, l’Unione Europa ha deciso di rispondere ai pesanti dazi Usa sull’alluminio e sull’acciaio, già attivi con un’aliquota del 25%, non subito, come hanno fatto i cinesi, ma da aprile, mostrando così la debolezza della propria replica destinata a scoraggiare impieghi del risparmio diversi dagli armamenti. In altre parole, la debolezza della difesa degli altri settori produttivi facilita la “monocultura” delle armi, che si struttura prima di tutto in termini finanziari. Si scrive riarmo, ma si legge privatizzazione finanziarizzata. L’Europa è in guerra, vuole un’economia di guerra che distruggerà il sistema produttivo, violenterà i sistemi di Welfare e coltiverà odi nazionalistici capaci di distruggere il senso di convivenza collettiva. Lo scontro finanziario in atto, alla luce di ciò, si inserisce in uno scenario bellico di natura decisamente più generale.

Mobilitare i risparmi dei cittadini europei

La Commissione europea non a caso ha discusso un vero e proprio Piano per “mobilitare” i 10 mila miliardi di euro che si trovano sui conti correnti degli europei. Si tratta di misure che incentivano la totale, libera circolazione di tali risorse in direzione di qualsiasi titolo azionario o obbligazionario presente in Europa, nella logica di un unico mercato dei capitali. A ciò si aggiungono l’iscrizione dei risparmiatori a piattaforme di investimento, una possibile, ulteriore cartolarizzazione dei crediti bancari, la creazione di conti deposito, un allentamento dei requisiti di prudenziali delle banche e delle assicurazioni e una più complessiva defiscalizzazione.

Naturalmente, sottolinea la Commissione, tutta questa facilitazione nella mobilitazione del risparmio, dovrà essere indirizzata a finanziare il riarmo per la “difesa dell’Europa”, quindi le società che producono armi. La parola guerra è diventata ormai lo strumento attraverso cui accelerare, in tempi record, la finanziarizzazione. Polizze, conti deposito, cartolarizzazioni, riduzioni fiscali: tutto deve chiamare alle armi il risparmio diffuso e incanalarlo verso la nuova bolla con cui alimentare la “riconversione” bellica. Guarda caso in poche settimane la lenta Commissione europea ha annunciato un Piano da 800 miliardi di euro di maggior spesa dei singoli Stati in armi, ha rotto il tabù del Patto di stabilità per le armi, ha messo in moto la Banca europea degli investimenti per finanziare le armi, ha prodotto un documento, fatto votare al Parlamento europeo, di supremazia europea, ha consentito la destinazione dei fondi di coesione al riarmo e, dulcis in fundo, sta chiamando alle armi il risparmio degli europei. In parallelo la Bce ha ridotto il tasso sui depositi al 2,5%. Non mi sembra che ci sia stata mai una mobilitazione analoga per la sanità pubblica, per la lotta alle disuguaglianze o per l’istruzione. In estrema sintesi, l’Europa pare aver trovato la propria vocazione.

Ma forse vale la pena entrare ancora meglio nella definizione “tecnica” di cosa ci sia dietro il riarmo. Si chiamano Etf, sono prodotti finanziari che replicano un indice e sono, in larga misura, creati dai grandi fondi. Negli ultimi mesi stanno avendo un gran successo gli Etf che hanno ad oggetto indici direttamente legati all’industria delle armi. Il meccanismo è semplice: il grande fondo – ad esempio BlackRock – costruisce un Etf che lega ad un indice creato dallo stesso fondo e, ora, la gran moda è quella di creare indici con i titoli delle principali società produttrici di armi, da quelle americane a quelle europee che, si prevede, beneficeranno del mega Piano von der Leyen contro ogni invasione. Proprio questo tipo di Etf sta raccogliendo in misura crescente il risparmio degli europei a cui vengono venduti dai loro gestori che hanno comprato gli stessi Etf dai grandi fondi. Sono molto diffusi quelli relativi a Lockheed Martin, BAE Systems, Northrop Grumman e Leonardo. Il “mercato” dei derivati e degli Etf costruiti sui titoli delle industrie belliche è decisamente coltivato da grandi fondi, da hedge fund, e da banche d’investimento, che utilizzano questi strumenti, in maniera paradossale, per coprire i rischi o speculare su fluttuazioni economiche globali. In tal senso, il tema della “tracciabilità” dell’impiego del risparmio gestito diventa sempre più cruciale, ma, al tempo stesso, sempre più difficile. La complessità dell’ingegneria finanziaria, in particolare proprio con Etf e con strumenti derivati, tende a rendere quasi illeggibile la destinazione degli impieghi finanziari, con l’evidente possibilità di una vera e propria trasmigrazione di massa di un risparmio dai tratti assai diffusi verso settori pericolosissimi. I grandi fondi, infatti, rastrellano decine di migliaia di miliardi di dollari che provengono, in modo sempre più marcato, anche da fasce di popolazione con redditi bassi, a cui servono polizze previdenziali e sanitarie per supplire alla ritirata del Welfare. In una simile ottica l’opacità finanziaria diventa davvero un’insidia colossale, destinata a generare un fiume di liquidità in direzioni che certo alimentano i grandi conflitti globali. In una direzione analoga si muove l’ampio utilizzo della ricordata finanza derivata per “coprire” gli investitori dal rischio della volatilità; un impiego tanto più adoperato quanto più le guerre si moltiplicano e la loro proliferazione le rende un terreno molto favorevole alle speculazioni.

Debito comune o riarmo su base nazionale?

Il clima di guerra ha reso “necessario” il finanziamento del riarmo e su questa necessità sono stati costruiti strumenti che attraggono il risparmio collettivo rendendo tutti quanti finanziatori, più o meno consapevoli, della corsa agli armamenti. Peraltro, è bene chiarire, che si tratta di armamenti non certamente solo europei perché i principali clienti dei colossi delle armi del Vecchio Continente sono decisamente al di fuori dell’Europa, dai paesi arabi, a Israele a varie altre destinazioni molto lontane dai confini dell’Unione. In sintesi. il riarmo europeo arma la finanza e ben poco l’Unione europea, anche perché dei 457 miliardi di euro già spesi, ogni anno, dall’Unione più la Gran Bretagna oltre la metà si traduce in acquisti di armi prodotte negli Stati Uniti; un dato che rende difficile la già ricordata clausola di salvaguardia del 65% di acquisti europei. In una simile prospettiva, il governo Meloni ha avanzato l’ipotesi di sgravi fiscali per le aziende che decidessero di convertirsi in produttrici di armi; in pratica il riarmo non lo pagheremo solo con maggiori interessi sul debito pubblico ma anche con i maggiori oneri a carico del contribuente per coprire l’ennesimo favore a Stellantis. L’Europa è sotto assedio, bisognerà pure che gli italiani facciano i sacrifici necessari perché Elkann non si intristisca e perché i grandi beneficiari della bolla non si impoveriscano troppo. Da questo punto di vista, le nuove tensioni finanziarie stanno facendo emergere anche una distinzione fra chi, come Mario Draghi, è convinto che il riarmo abbia bisogno di debito comune europeo e chi, come von der Leyen e Merz, pensa che il finanziamento debba passare dai debiti nazionali e dal ricorso ai grandi fondi americani ed europei: una distinzione non certamente di poco conto e che riflette le attuali criticità in seno al capitalismo finanziario.

Donald Trump, del resto, ha annunciato che Boeing con una commessa da 20 miliardi di dollari, destinati a diventare 50, costruirà il più potente jet di sempre che prenderà il nome di F-47 in onore del quarantasettesimo presidente degli Stati Uniti. Si tratta di una mossa che Trump ha voluto presentare come affermazione del primato militare Usa e che è rivolta al contempo a rassicurare la grande finanza a stelle e strisce circa la benevolenza del presidente: non a caso i principali azionisti di Boeing sono Vanguard, Black Rock, State Street e Capital Research Global Investors con oltre il 30%. È chiaro che Trump teme l’effetto, prima di tutto finanziario, di ReArm Europe nel distrarre capitali americani verso l’Europa e vuole rassicurare i grandi fondi, spaventati dalle sue prime mosse.

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