Il Presidente della Repubblica evoca poi il compito della comunità internazionale, chiamata non solo a ottenere il cessate il fuoco, ma anche alla «costruzione di un quadro internazionale rispettoso e condiviso che conduca alla pace».
Nella stessa logica dell’esaltazione del multilateralismo e della cooperazione internazionale, Mattarella stigmatizza il paradosso di una Russia che invoca, contro le sanzioni economiche, l’intervento dell’Organizzazione Mondiale del Commercio; ma stesso paradosso è quello del mancato riconoscimento della Corte Penale Internazionale da parte di «quei Paesi» che oggi ne invocano l’intervento (come non pensare, oltre alla stessa Ucraina, agli USA?).
L’azione delle Nazioni Unite va rinforzata.
Le parole chiave, tratte dal vocabolario apparentemente anacronistico della “guerra fredda”, sono «Distensione», «Ripudio della guerra», «Coesistenza pacifica», «Democrazia».
Infine: «Helsinki e non Jalta». Una nuova Conferenza di Helsinki, che diede vita nel 1975 all’OSCE. Nello spirito di Helsinki, puntare a una «nuova architettura delle relazioni internazionali», «senza posizioni pregiudizialmente privilegiate», posto che la sicurezza e la pace «non può essere affidata a rapporti bilaterali», «(t)anto più se questo avviene tra diseguali, tra Stati grandi e Stati più piccoli»; «(g)arantire la sicurezza e la pace è responsabilità dell’intera comunità internazionale. Questa, tutta intera, può e deve essere la garante di una nuova pace».
Il finale rimanda ai Padri fondatori (del Consiglio d’Europa, ma verosimilmente anche dell’UE), i quali hanno saputo edificare «questa comunità multilaterale, guardando al futuro».
Il rilancio del messianismo delle origini non è esente da velleitarismo. Ma l’interesse del discorso di Mattarella sta nella sua leggibilità double face: si rivolge alla Russia di Putin, ma in filigrana anche agli USA di Biden. Da notare che a essere citate sono le istituzioni multilaterali globali, in primis l’ONU, nonché l’OSCE, ma mai la NATO.