IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

La proposta. Una conferenza internazionale per una soluzione di pace

Se prevarrà un’asse occidente contrapposto a quello orientale, l’interesse europeo sarà schiacciato. Un mondo multipolare esige che sia data voce a quella politica e a quel diritto che, dopo la Seconda guerra mondiale, ci hanno indicato la via della Giustizia tra le Nazioni

Vorremmo anzitutto richiamare la comunità internazionale, l’Europa, l’Italia alle loro reali responsabilità, ai loro non delegabili doveri di fronte agli orrori della guerra. È urgente agire al fine di interrompere l’escalation della guerra, evitando di impantanarsi in essa, rifiutarsi di accettare la sua logica devastante. La domanda che dovrebbe tormentarci è come garantire ora – nella situazione data – la pace e la sicurezza futura nei rapporti tra le Nazioni. Non solo invocando una fragile tregua – che non può rappresentare di per sé una stabile soluzione, semmai un importante presupposto – bensì cercando le vie per «salvare [le attuali e] le future generazioni dal flagello della guerra»; per «riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole»; per «creare le condizioni in cui la giustizia ed il rispetto degli obblighi derivanti dai trattati e dalle altre fonti del diritto internazionale possano essere mantenuti»; per «promuovere il progresso sociale ed un più elevato tenore di vita in una più ampia libertà». Come è scritto nel preambolo della Carta della Nazioni Unite. La richiesta di promuovere una conferenza internazionale per garantire la pace e la sicurezza tra le Nazioni è una proposta ispirata a tali scopi. Una proposta mossa dalla volontà di interrompere l’escalation bellica che sembra ormai inarrestabile e dominare i comportamenti dei potenti del mondo. Opporsi alla follia della guerra che ormai si impone anche nel dibattito pubblico, occupando per intero le nostre menti che hanno difficoltà a pensare la pace.

Andare alle radici del male

Non vogliamo oggi riaprire la polemica sull’invio delle armi, prendiamo atto della decisione assunta quasi all’unanimità dal Parlamento e fatta propria dal Governo, ci limitiamo a constatare che questa non può essere la soluzione. Affidarsi esclusivamente ad essa vuol dire rinunciare a perseguire pacifici e stabili rapporti internazionali. Vuol dire rinunciare a pensare che ci sia una speranza oltre il campo di battaglia. La vittoria sul campo e l’uccisione del nemico come unico orizzonte del possibile. Sostenere dunque la guerra, armare gli aggrediti, inorridire di fronte alle stragi degli altri, ma senza altra speranza, senza intravedere neppure una via di fuga. In attesa della vittoria finale, ma temendo la sconfitta degli aggrediti. Non credo che questo scenario, che la guerra per procura, sia un orizzonte possibile. Non credo neppure sia umanamente sostenibile. Non possiamo scaricare sulle vittime della guerra la responsabilità della guerra, né ad essi soli affidare il nostro comune futuro di pace. Non vogliamo guardare da un’altra parte, bensì andare alle radici del male che ha prodotto la degenerazione e l’inumanità dello scontro armato.
Ecco perché per chi vuole affermare il valore del ripudio della guerra l’unica via possibile è quella di ridare la voce al diritto. A quel diritto che, dopo la tragedia della Seconda guerra mondiale, ci ha indicato la via che oggi stentiamo a riconoscere, offuscati come siamo dal bagliore delle armi, paralizzati di fronte all’orrore delle stragi, sopraffatti dai morti, incapaci di spiegare lo scempio e l’offesa alla dignità delle persone.

Non esiste una guerra giusta. Leggere la Costituzione

Tornare alle ragioni del diritto perché siamo convinti che non esista una giusta guerra. Semmai esiste un giusto diritto. Quello espresso nella nostra Costituzione, ma anche quello dell’ordinamento internazionale scritto a seguito della tragedia dell’olocausto e l’utilizzazione di due bombe atomiche “a fini di pace”.
Il primo invito è allora quello di interpretare con rigore il testo e lo spirito delle disposizioni della costituzione, evitando interpretazioni fantasiose o creative. Interpretazioni anche autorevolmente proposte, ma non per questo meno bizzarre ed inopportune.
L’articolo 11 non può essere equivocato: «L’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali», in ogni caso. Le limitazioni di sovranità che esso prevede sono espressamente finalizzate ad assicurare la pace e la giustizia tra le Nazioni e a promuovere le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo. Limitazioni per promuovere la pace, dunque, non per partecipare alle guerre, né proprie né altrui. L’invito della Costituzione è dunque quello di ricercare altre strade per assicurare la pace tra le Nazioni. Lo stiamo facendo?
È un interrogativo drammatico che attraversa la coscienza di molti. Lo ha espresso in termini limpidi Papa Francesco, parole che facciamo nostre: «Mentre si assiste ad un macabro regresso di umanità mi chiedo, insieme a tante persone angosciate, se si stia veramente ricercando la pace, se ci sia la volontà di evitare una continua escalation militare e verbale, se si stia facendo tutto il possibile perché le armi tacciano. Vi prego non ci si arrenda alla logica della violenza alla perversa spirale delle armi. Si imbocchi la via del dialogo e della pace».
Anche il “sacro” dovere di difesa della Patria è stato evocato a sproposito. L’articolo 52 della nostra Carta costituzionale si rivolge espressamente al “cittadino” italiano (“La difesa della patria è sacro dovere del cittadino”). Legittima la guerra di difesa esclusivamente per la salvaguardia dei propri confini. Peraltro, esso deve essere letto in combinato disposto con il complesso sistema di difesa che la nostra Costituzione ha delineato: una guerra che deve essere deliberata dal Parlamento nazionale, cui segue il conferimento dei “poteri necessari” al Governo ed una dichiarazione formale dello stato di guerra da parte del capo dello Stato, con l’eventuale proroga per legge della durata della Camere (ai sensi degli articoli 78, 87, 60). Ora, nessuna di queste condizioni è data, non si può dunque richiamare la Costituzione per legittimare il coinvolgimento nel conflitto armato russo-ucraino.

Lo Statuto dell’ONU

Più che riferirsi alle Carta per stravolgerne l’impianto pacifista, bisognerebbe richiamare lo Statuto dell’ONU, di quell’organizzazione internazionale, oggi impotente, ma che ha per finalità proprio quella di assicurale la pace tra le Nazioni. Basterebbe leggere – e poi voler rispettare – gli impegni assunti in sede ONU da “Noi, popoli delle Nazioni Unite”.
Una lettura che avrebbe potuto evitare – che dovrebbe evitare – tante inutili e spiacevoli polemiche tra voci critiche, molte delle quali accusate di essere diventati d’improvviso improbabili quinte colonne di Putin o pavidi pacifisti senza coraggio, a fronte degli intrepidi difensori della pace attraverso la guerra. Usciamo per favore da questa sterile e indegna contrapposizione.
È, infatti, la carta dell’ONU che ci dice: a) chi è il responsabile della guerra in base al diritto internazionale; b) a chi spetta di esercitare il legittimo diritto di resistenza all’aggressore; c) quali sono i compiti degli Stati non belligeranti.

a) La responsabilità della guerra è da attribuire alla Russia, in ogni caso. Nulla può giustificare l’aggressione dell’esercito russo, quali che siano state le ragioni politiche che sono alla base dell’intervento armato, i precedenti storici, gli errori o anche le provocazioni degli altri Paesi (del Paese aggredito, ma anche delle altre potenze straniere). È la Russia, infatti, che ha violato l’articolo 2, n. 4 che impone agli Stati di astenersi dall’uso della forza e operare contro l’integrità territoriale o l’indipendenza di qualsiasi altro Stato; in ogni caso, qualunque siano le ragioni poste a fondamento della controversia internazionale.
b) Legittima è la resistenza, anche armata, dell’Ucraina – dell’esercito, ma anche della popolazione – in base al principio di autotutela individuale o collettivo così come indicato all’articolo 51.
c) In terzo luogo, si delinea anche per tutti gli altri Stati un ruolo decisivo. Essi sono certamente coinvolti nella “controversia”, poiché nessun Paese può ritenersi estraneo di fronte al flagello della guerra, ma essi devono – ai sensi degli articoli 33 e 52 della Carta – anzitutto perseguire una soluzione mediante negoziati, accordi anche regionali o altri mezzi pacifici di loro scelta.

Un esempio virtuoso. La Conferenza di Helsinki del 1975

Ecco il punto. Su cui invitiamo a meditare e a prendere iniziative adeguate alla drammaticità dei fatti, al lume della ragione, senza farsi travolgere dal pur comprensibile tragico pathos emotivo che ci confonde ed offende.
È necessario ora prendere iniziative adeguate a far cessare la guerra e garantire la pace. È questo il compito e la responsabilità che spettano alla comunità internazionale.
Una precisa strada è stata indicata ed ora essa è stata rilanciata con decisione il Presidente Mattarella quando ha sollecitato ad individuare «una sede internazionale che rinnovi radici alla pace, che restituisca dignità a un quadro di sicurezza e di cooperazione, sull’esempio della Conferenza di Helsinki che portò, nel 1975, a un Atto finale foriero di sviluppi positivi». Alle istituzioni politiche nazionali e internazionali chiediamo di prendere sul serio queste parole per porre fine alla guerra e garantire la pace e la sicurezza tra le Nazioni. Alla società civile, alle forze intellettuali, alle donne agli uomini non arresi alla guerra chiediamo di manifestare e incalzare i potenti del mondo perché si fermino e si siedano attorno ad un tavolo per costruire la pace. Se non ora, quando?

Far tornare la politica, l’arte del possibile

È utile, da ultimo, fornire una risposta preventiva agli scettici, vestiti da realisti. Ci siamo sentiti obiettare che la Russia non parteciperebbe ad una tale iniziativa. Ma sino a quando? Quella sollevata è una previsione arresa alla guerra che omette di considerare alcuni profili.
Anzitutto dimentica che la politica è l’arte del possibile. D’altronde, non sono granché più “realiste” le ipotesi prospettate da chi guarda agli attuali rapporti di forza e rimane in attesa di un confronto tra Biden (e suoi alleati) e Putin; né ha senso la via che affida all’autocrate Erdogan la mediazione per giungere alla pace. Se è vero che Putin non appare attualmente disponibile a definire serie trattative con gli ucraini ovvero con i soli “nemici occidentali”, sarebbe per lui ben più difficile rifiutarsi di sedersi ad un tavolo dove partecipano gran parte dei paesi (non solo le potenze occidentali, ma i paesi emergenti, la Cina, l’India, il continente dimenticato: l’Africa). Più del consenso della Russia, dunque, si dovrebbe, inizialmente almeno, ricercare la disponibilità di quei Paesi che all’Assemblea dell’ONU hanno espresso un voto contro il proseguimento della guerra: una gran bella base di partenza 141 Stati. Non disperdiamo questo capitale e convinciamo dell’opportunità anche i 35 Stati che si sono astenuti (tra cui alcuni dei Paesi più densamente popolati), mostrando anch’essi, una insofferenza alle tensioni internazionali collegate alla guerra in corso. Vedremo che alla fine anche i 5 Stati favorevoli al proseguimento della guerra (oltre la Russia, solo la Bielorussia, la Corea del Nord, la Siria e l’Eritrea) non potranno sottrarsi al dialogo per la pace duratura.
D’altronde, la storia, ci conferma e ci impone la via della pace e quella dei trattati: non è data alcuna fine di una guerra senza accordo tra le parti. Senza un accordo generale avremo solo una serie di tregue, in attesa dei prossimi conflitti, dopo la Crimea e l’Ucraina. Con il riarmo dell’Europa, l’innalzamento delle spese militari e l’entrata nell’alleanza atlantica dei paesi tradizionalmente neutrali come la Finlandia e la Svezia non saremo più sicuri, ma solo più armati e bellicosi. Si tratta di interrompere questa corsa verso il baratro.
Inoltre, lasciare che la pace sia definita tra i belligeranti (l’aggressore e l’aggredito), può portare solo ad una resa, più o meno onorevole, dell’aggredito. Il punto è che non solo la guerra, ma anche la pace non è solo “affar loro”.
Un ultimo argomento riguarda i nostri interessi e il ruolo internazionale dei Paesi europei. Credo che si debba fermare l’effetto di definizione dei nuovi blocchi che la guerra sta facendo maturare. Un’asse occidente contrapposto a quello orientale si sta profilando: ne saremmo schiacciati. L’Europa non avrebbe futuro. Sarebbe inoltre un esito instabile e non risolutivo. Meglio prendere atto della fine del mondo diviso in potenze. Meglio immaginare un mondo multipolare e senza sfere d’influenza presidiate.
Insomma, per porre fine al conflitto e garantire un futuro di pace e sicurezza tra le Nazioni, per non lasciare soli le vittime della guerra, non ci si può affidare alla forza delle armi. Bisogna invece rimettere in moto la politica, rimettere in gioco le logiche di potenza, ridare voce al diritto, assicurare la giustizia tra le Nazioni. Perché, non c’è pace senza giustizia.

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