Il terzo sarebbe una uscita dal cosiddetto “doom loop”, il circolo vizioso per cui le banche nazionali sono chiamate ad acquistare titoli nazionali, esponendosi a perdite pesanti in conto capitale nel caso di un “downgrading” del loro paese.
Il quarto sarebbe una internalizzazione della disciplina fiscale, dai mercati verso istituzioni europee, Commissione in primis.
Il quinto sarebbe la possibilità di rifinanziare anche il debito che la Commissione ha acceso con i mercati per il finanziamento del piano Next Generation EU, giacché in assenza di questa possibilità, il ripagamento de prestiti per il PNRR potrebbe pesare notevolmente sulle finanze dei pasi beneficiari.
La EDA è in sé un organismo tecnico, che risolve con efficienza il problema del filtraggio del rischio di liquidità, alla base delle crisi degli spread, passate, e potenzialmente future.
È anche un progetto politico? Sì. La EDA è il massimo di “federalismo” e di collaborazione che ci si può permettere a trattati vigenti. Sarebbe un grande passo avanti rispetto al MES nell’obiettivo della stabilizzazione finanziaria. Potrebbe essere un primo passo verso soluzioni più francamente comunitarie.