Una potenza tecnologica di prim’ordine
In questo contesto, è stata riconosciuta la centralità strategica del progresso tecnico e dell’innovazione, ed è stato lanciato un immane e consapevole sforzo per la loro “endogenizzazione”, con l’obiettivo ultimo di superare la dipendenza conoscitiva dai paesi “imperialisti”. Le politiche per rendere la Cina una potenza tecnologica di prim’ordine e un brodo di coltura per l’innovazione endogena passano attraverso il rafforzamento quantitativo e qualitativo delle attività di ricerca e sviluppo (R&S). Alcune grandi aziende private di alta tecnologia, molte delle quali si sono sviluppate autonomamente secondo il classico modello schumpeteriano, hanno un ruolo molto importante. Non si dimentichi peraltro che in Cina le grandi aziende private sono comunque indirettamente (e anche direttamente, attraverso le cellule del partito) controllate e regolate dallo stato. Parafrasando la famosa frase di Mao sul fucile, è lo Stato che comanda strategicamente il settore privato e non viceversa come nei paesi capitalistici. E quando i nuovi tycoon alzano troppo la testa e “pisciano fuori dal vaso” vengono bastonati, come è successo a Jack Ma e a molti altri (ad alcuni dei quali è andata molto peggio).
I motori principali di questa ampia struttura in rapida evoluzione sono le imprese, le università e i centri di ricerca pubblici e semi-pubblici. La conclusione principale è che il Sistema Nazionale d’Innovazione (SNI) della Cina è molto più avanzato del complesso della economia nazionale, ha già raggiunto un grado di sviluppo comparabile con quello dei paesi capitalisti più ricchi ed è di gran lunga il più dinamico ed efficace tra quelli delle grandi economie mondiali.
La narrazione occidentale dell’omologazione
Mentre i grandi capitalisti transnazionali ottenevano enormi profitti, grazie all’entrata della RPC nel sistema di commercio mondiale, gli americani e le potenze regionali a loro fedeli, EU in testa, avevano raccontato a lungo una narrazione secondo la quale grazie al mercato, alla globalizzazione e al sorgere di una classe capitalista locale destinata a conquistare l’egemonia (per non parlare dei vari feticci ideologici come internet, i diritti umani, etc.) ben presto la Cina si sarebbe omologata al modello occidentale, trasformandosi in un normale paese capitalista governato da una democrazia borghese. Solo Dio sa se questa forma di wishful thinking fosse sincera, o se questi signori la propinassero al mondo in modo strumentale. È comunque un fatto che per qualche decennio la Cina è stata lasciata in pace (privilegio di cui invece non poté mai godere l’URSS) e ha potuto sfruttare abbastanza pienamente i vantaggi derivanti dalla integrazione nei flussi commerciali, tecnologici e di conoscenza mondiali, che rimanevano sostanzialmente regolati dalle norme dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, nella quale la Cina era entrata nel 2001 (dopo lunghi negoziati in cui era stata costretta ad accettare condizioni tutt’altro che di favore).