IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

La stravagante politica energetica ed ambientale del governo

La politica del Governo contribuisce a vanificare le misure contro il riscaldamento globale e accentua il ritardo del nostro paese in alcune tecnologie vitali. Siamo sempre più un paese esportatore di semilavorati prodotti da manodopera a basso costo, condannato al declino tecnologico

Nel testo esaminiamo alcuni aspetti della politica ambientale ed energetica dell’attuale governo, per quanto riguarda in particolare la reazione ai piani di Bruxelles di lotta al cambiamento climatico da una parte, e l’adesione al cosiddetto Piano Mattei per l’Africa dall’altra; i due temi mostrano qualche legame tra di loro.

L’auto e la scadenza del 2035

Dopo aver superato a Bruxelles tutti i passaggi necessari alla sua approvazione, la proposta di normativa dell’UE, che prevedeva lo stop alla produzione e vendita di veicoli alimentati da motori termici a partire dal 2035, è stata all’ultimo momento bloccata dalle richieste tedesche a favore dei carburanti sintetici (e-fuel) e da quelle italiane a favore dei biocarburanti. Questi ultimi derivano da produzioni o scarti agricoli, da grassi animali e vegetali esausti e così via; mentre i primi sono carburanti sintetici prodotti combinando chimicamente idrogeno ed anidride carbonica.

Già il precedente governo italiano aveva tentato di combattere in qualche modo il progetto UE. Tra le motivazioni a suo tempo addotte c’era la preoccupazione per il rischio della perdita di posti di lavoro nel nostro Paese, stimata da qualcuno in 70.000 unità (la vettura elettrica richiede molto meno lavoro per essere prodotta, mentre diverse nostre imprese di componentistica fanno fatica a riconvertirsi alla nuova tecnologia). Inoltre, si obiettava che il progetto di Bruxelles non considerasse la possibilità di utilizzare carburanti alternativi come quelli bio (tema che interessa in particolare l’Eni, come si vedrà meglio più avanti); un’ulteriore accusa era quella di favorire la Cina, attualmente principale protagonista del settore dell’auto elettrica. Si chiedeva in particolare il rinvio dell’entrata in vigore del progetto al 2040 e il permesso di utilizzare comunque i biocarburanti, con l’evidente sopravvivenza dei motori termici.

Ora il governo Meloni ha ripreso la battaglia insistendo in particolare sugli stessi biocarburanti, mentre i tedeschi hanno chiesto invece via libera a quelli sintetici. Bruxelles ha, alla fine, accettato le richieste tedesche, respingendo, almeno per il momento, quelle italiane; non sembra infatti del tutto escluso un ripensamento al riguardo.

Ricordiamo come, sul piano ambientale, il settore del trasporto su strada sia tra le principali cause di emissione di gas serra e di altri veleni.

La scadenza del 2035 non è poi certo affrettata, semmai essa è in ritardo rispetto alle necessità. In effetti è stato stimato che, con l’attuale andazzo delle cose, nel 2030 solo il 10% del parco circolante sarà costituito da auto elettriche, mentre circoleranno ancora nello stesso anno 1,5 miliardi di veicoli a energia fossile, 150 milioni in più di oggi, con le relative conseguenze sul piano ecologico (Comito, 2022).

Quella del governo italiano appare dunque una strategia di retroguardia, anzi per molti versi suicida. Intanto le stime su quello che succederebbe ai posti di lavoro con l’introduzione dell’elettrico sono molto varie e comunque se l’Europa dilazionasse la tempistica la situazione diventerebbe ancora più grave sul fronte dell’occupazione e su quello della sopravvivenza delle imprese, dal momento che Cina e Stati Uniti stanno andando avanti velocemente sulla questione, e le case produttrici di auto vi stanno investendo somme enormi; del resto Stellantis e i tedeschi, i clienti del 90% del fatturato della componentistica italiana, puntano tutto sull’elettrico, almeno nel nostro continente. Peraltro Stellantis sta varando un nuovo piano di investimenti e di assunzioni nel settore, ma centrati sulla Francia.

Come ha anche dichiarato Luca De Meo, AD del gruppo Renault (Mazzu, 2023), il motore termico è una tecnologia morta, con un percorso ormai irreversibile e tutti gli investimenti delle imprese andranno alla tecnologia elettrica e a quella all’idrogeno. Anche se ci fosse un ripensamento futuro di Bruxelles a favore delle posizioni italiane, non cambierebbe sostanzialmente niente. Il tema vero è, allora, se l’Europa sarà in grado di competere su tale fronte, cosa di cui si può dubitare. Parallelamente, il governo non sta facendo niente, invece, per aiutare le imprese a ristrutturarsi come necessario.

Ma si tratta per lo stesso governo di una battaglia di retroguardia anche perché, essendo la partita sull’elettrico ormai definita, il campo di battaglia si sposta ormai sulla vettura digitale e su quella autonoma, temi sui quali di nuovo la Cina ed in parte gli Stati Uniti sono già molto avanti.

La produzione di biocarburanti è già molto scarsa (bisognerebbe varare da subito enormi investimenti) per gli usi odierni e, d’altra parte, essa compete con le coltivazioni alimentari; servono terreni immensi e tanta acqua, mentre si tratta sempre di tecnologie in qualche modo inquinanti. Intanto i carburanti sintetici (Normand, 2023) sono al momento ancora in fase di sviluppo e la tecnologia relativa sarà a punto fra molti anni; essi sono poi comunque grandi consumatori di energia, sperabilmente da fonti rinnovabili, che peraltro non si riesce a sapere dove trovare; inoltre il rendimento degli stessi carburanti è molto basso e i costi di produzione appaiono molto alti e addirittura superiori a quelli fossili.

Appare facile prevedere che, qualunque cosa accada, tali due tipi di carburanti non verranno mai utilizzati nel settore delle auto, se non forse in quantità molto marginali.

Gli edifici, gli allevamenti, il nucleare, la bicicletta

Non è solo la questione dei veicoli a preoccupare il nostro governo sul fronte di Bruxelles; qualsiasi provvedimento che cerchi di metterci in qualche modo al riparo dai guasti ambientali trova automaticamente una decisa opposizione di Meloni, Salvini e compagnia.

Si veda la questione degli edifici (Parlamento Europeo, 2023). Secondo alcune fonti, il settore edilizio è responsabile del 40% del consumo totale di energia e del 36% delle emissioni a effetto serra nell’UE.

Il Parlamento Europeo ha approvato una direttiva sulla neutralità climatica degli edifici, che prevede di arrivare a tale obiettivo entro il 2050, attraverso una serie di passaggi intermedi; si prevede, tra l’altro, che i nuovi edifici siano a emissioni zero a partire dal 2028, che siano vietati i sistemi di riscaldamento a combustibili fossili a partire dal 2035, e che gli edifici residenziali debbano raggiungere la classe di prestazione energetica ‘E’ entro il 2030 e la ‘D’ entro il 2033. Possono essere esclusi dalle regole ricordate in ogni paese gli edifici dal significativo valore storico o architettonico, i luoghi di culto, ma anche gli immobili di edilizia sociale.

Il governo italiano, per bocca in particolare del ministro dell’ambiente Gilberto Pichetto Frattin (nella sostanza un anti-ambientalista come il suo predecessore), si è dichiarato subito contrario alla norma; e questo per i tempi, a suo dire, troppo stretti previsti, per la mancata presa in considerazione dello specifico contesto italiano e perché si introdurrebbe una sorta di mega-patrimoniale sulla famiglie. Ogni pretesto appare buono.

Poi c’è il tema degli allevamenti. Ricordiamo che il settore, con particolare riferimento quello bovino, è un’altra delle grandi fonti dell’inquinamento ambientale. Così si stanno studiando nel mondo delle possibili soluzioni alternative: da una riduzione assoluta e drastica dei consumi, alla diminuzione della produzione e del consumo della carne bovina a favore di altre carni; dalla razionalizzazione della produzione, all’utilizzo di carni a base vegetale e di quelle prodotte in laboratorio, all’impiego maggiore di legumi, alghe e così via. La produzione di carne sintetica sta andando avanti nel mondo e qualche paese comincia ad autorizzarla. Ma ecco che il governo Meloni interviene prontamente per proibirne la produzione e la vendita, vantandosi persino di essere il primo al mondo a farlo, mentre altri governi, quali quelli olandese e irlandese, hanno avviato delle normative che ridimensionano gli allevamenti nei loro Paesi. Quella dell’Italia appare dunque una nuova battaglia sbagliata, con un supplemento di masochismo, vista la siccità che sta bruciando le campagne italiane. Che richiederebbe semmai di prepararsi per tempo (Zorloni, 2023).

Ricordiamo ancora l’accanimento con cui questo governo, come del resto quello precedente, ha sposato la causa del nucleare. E’ noto che per avviare una centrale nucleare servono nel nostro Paese almeno una quindicina di anni e che lo stesso nucleare, oltre ad essere molto più rischioso, è anche molto più costoso e molto più lento da installare dell’energia solare, di quella eolica e delle tecnologie di risparmio energetico. Ma ricordiamo ancora che l’Eni e più in generale l’industria energetica nazionale stanno tornando con testardaggine ad investire sul settore.

Ma si sta arrivando anche al grottesco, con Salvini che ha annunciato una revisione del codice della strada (Zanchini, 2023), tra l’altro per ridurre gli spazi per chi usa la bicicletta, mentre ha già tagliato 93 milioni di euro già stanziati per il settore nella legge di bilancio.

Certo, con queste prese di posizione il governo tende ad ingraziarsi alcune imprese ed alcuni ceti e categorie sensibili a tali discorsi, dall’Eni agli allevatori e alle altre imprese; ma ci sembra che ci sia anche dell’altro: esse rivelano un personale politico totalmente irresponsabile, del tutto indifferente ai destini del paese e dell’umanità e plausibilmente anche largamente ignorante della materia, considerazioni queste ultime comunque forse “impolitiche”.

E’ opportuno infine ricordare che le strategie dell’UE in materia di ambiente sono lontane dall’essere pienamente condivisibili; sottolineiamo, tra l’altro, la spinta di Bruxelles a favore dell’energia nucleare e le ambiguità sull’utilizzo del gas, nonché la citata approvazione dei carburanti sintetici e la finestra in qualche modo semiaperta sui biocarburanti.

Il cosiddetto “Piano Mattei”

L’AD del gruppo Eni, Claudio Descalzi, agli inizi del 2023 ha reso pubblico un piano per creare un asse energetico tra l’Europa e l’Africa (si veda in Wilson, 2023). In particolare egli ha affermato che una stretta collaborazione con l’Africa offrirebbe molti vantaggi dal momento che quel continente è ricco di risorse energetiche poco sfruttate, mentre l’Europa è affamata di energia.

L’azienda opera in Africa sin dal 1954 e vi ha investito parecchio nel tempo, mentre le imprese degli altri Paesi occidentali si sono a suo tempo concentrate su altre regioni del globo. Di recente poi il gruppo ha firmato accordi sul gas tra l’altro con l’Algeria, l’Egitto, la repubblica del Congo e il Mozambico.

Descalzi pensa che i Paesi africani troverebbero una loro importante convenienza da tali progetti dal momento che anche gran parte delle risorse estratte resterebbero nei loro Paesi. Egli insiste anche sulla coltivazione in loco delle piante necessarie alla produzione di biocarburanti nelle sue raffinerie in Italia. L’Eni avanza in particolare la proposta della produzione di piante nelle terre marginali. Inoltre l’Africa, aggiunge Descalzi, potrebbe essere aiutata a sviluppare il suo grande potenziale per la produzione di energia solare.

La Meloni ha fatto sua la proposta parlando di Piano Mattei per l’Africa (Sciorilli, Borrelli, 2023), che dovrebbe per il capo del Governo servire a massimizzare il potenziale di crescita del continente, riguadagnando anche il ruolo strategico dell’Italia nel Mediterraneo e facilitando l’indipendenza energetica del nostro Paese.

Sul ribaltamento di potere tra l’Eni e la politica e più in generale sul ruolo dell’Eni nella politica italiana vale la pena leggere una lettera al quotidiano “Domani” dell’ex-ministro socialista Rino Formica (Formica, 2023). Il quale ricorda come «…della intrusione condizionante da parte dell’Eni ho conosciuto i deleteri effetti con cui la disinvoltura dell’ente petrolifero ha danneggiato il prestigio e l’autorevolezza dello Stato repubblicano… Negli ultimi trenta anni il decomporsi del sistema politico ha favorito le aspirazioni del potentato economico Eni… Quando il potere economico si appropria delle funzioni dei poteri costituzionali la democrazia patisce e può morire…».

Bisogna anche tener presente che l’AD dell’Eni, secondo le indiscrezioni in circolazione, dovrebbe essere riconfermato nel suo ruolo dal nuovo governo, anche se le sue politiche sono ancora concentrate sul petrolio e sul gas. Nel contempo l’AD di Enel, che ha collocato la società all’avanguardia nel mondo per la spinta impressa al rinnovamento energetico, sarà probabilmente sostituito. Così vanno le cose da noi.

Che dire del piano Eni? Intanto esso serve gli interessi dell’azienda, che cerca di coinvolgere, politicamente e finanziariamente, il governo nella partita. Il piano, peraltro in linea con lo stesso governo, insiste sulle energie fossili, sul gas in particolare; si prevede in effetti entro il 2030 un aumento della produzione di gas fossile, la cui quota salirà al 60% del business totale del gruppo; più in generale, nei prossimi quattro anni gli investimenti nelle fonti fossili costituiranno ancora il 75% del totale (Abbate, Tricarico, 2023).Tutto questo quando sarebbe necessario, per la salvezza del pianeta, tagliare al massimo gli impegni nel settore. Nel pacchetto viene comunque inserita un’improbabile e generica partita sulle rinnovabili.

Per altro verso, si tratta di un progetto neocoloniale, con noi occidentali che pretendiamo di fare i piani e continuare a gestire le cose; approccio che i Paesi africani faranno sempre più fatica a digerire, puntando sempre più a governare in prima persona la partita energetica, come quelle di altri settori; comunque la proposta viene avanzata in un momento in cui più in generale i Paesi di tale continente tendono a ridimensionare la presenza europea sul loro territorio. Il progetto rientra poi, comunque, nelle strategie Usa volte a contrastare, vanamente a nostro parere, l’ascesa di Pechino e di Mosca in Africa.  Infine esso serve bene al nostro governo, che, ancora più di quelli che lo hanno proceduto, punta quasi tutto sulle parole, fingendo di avere un piano per risolvere la partita dell’emigrazione.

Da ricordare infine che mentre Mattei lottava a suo tempo contro il monopolio delle Sette sorelle anglosassoni e finanziava, tra l’altro, la lotta per l’indipendenza algerina, questo progetto rientra invece nei disegni angloamericani di oggi, di cui potrebbe costituire comunque appena un’appendice.

Conclusioni

La politica ambientale ed energetica dell’attuale governo presenta un curioso miscuglio di continuità con quelli precedenti, da una parte, in particolare con quello Draghi, anche per il sostegno assoluto agli interessi dell’Eni – una costante della politica italiana -; mentre dall’altra sembra marcare una accentuazione senza limiti di una strategia, già prima abbozzata, di contenimento su tutti i fronti della spinta ambientalista.

A seguire i dettami di tale politica daremmo un rilevante contributo, ancorché per fortuna non decisivo, all’affossamento delle speranze di sopravvivenza del nostro pianeta e comunque accentueremmo ulteriormente il ritardo del nostro Paese in alcune tecnologie vitali. A questo punto la linea del governo sui rapporti economici con l’estero sembra caratterizzarsi sempre più, di fatto, per una parte consistente almeno, come quella di agevolare la fornitura all’estero di semilavorati prodotti con manodopera al più basso costo possibile, mentre il Paese tende a sprofondare sempre più nel declino tecnologico.

Per quanto riguarda in specifico il cosiddetto piano Mattei, nelle capitali occidentali ne è stata presa diligentemente nota, ma non sembra che esso abbia suscitato grandi entusiasmi in giro. Certo l’Eni qualcosa farà su quella linea, ma pensiamo che, alla fine, nessuno noterà la differenza.

Tutto questo ci sembra poi che accada nella sostanziale indifferenza-acquiescenza dell’opinione pubblica italiana nei riguardi della nostra crescente marginalizzazione economica.

 

Testi citati nell’articolo

-Abbate S., Tricarico A., Eni aumenterà la produzione di gas fossile entro il 2023, www.ilfattoquotidiano.it, 11 marzo 2023

-Comito V., Auto ed emissioni nocive: una storia estiva, www.sbilanciamoci.info, 6 luglio 2022

-Formica R., La debolezza dei partiti ha consentito all’Eni di prendersi lo stato, Domani, 29 marzo 2023

-Mazzu R., Renault, il Ceo De Meo: il motore termico è una tecnologia morta, www.auto.everyeye.it, 26 marzo 2023

-Normand J-M., Les carburants de synthesè, une technologie controversée, Le Monde, 1 aprile 2023

-Parlamento Europeo, Risparmio energetico: l’azione dell’UE per ridurre il consumo energetico, www.europarl.europa.eu, 16 marzo 2023

-Sciorilli Borrelli S., Italyrenews “Mattei plan” to developenergyties to Europe, www.ft.com, 11 gennaio 2023

-Wilson T., Eni calls for southenergyaxixbetween Europe and Africa, www.ft.com, 6 gennaio 2023

-Zanchini E., La crociata di Salvini contro le bici e le piste ciclabili, www.editorialedomani.it, 26 marzo 2023

-Zorloni L., Con il divieto alla carne sintetica l’Italia ai dà un’altra zappa sui piedi, www.wired.it, 29 marzo 2023

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