Il vaso di coccio dell’Italia
In tutto questo l’Italia è particolarmente esposta a una crisi economica, sociale e finanziaria di prima grandezza. Da Paese esportatore essa perderà dalla frattura con la Russia – un mercato non così irrilevante come si dice – e dalla crisi dell’economia europea e globale; da Paese importatore di energia e beni intermedi essa soffrirà del calo del potere d’acquisto delle famiglie e dell’aumento dei costi di produzione. Inflazione, impoverimento e aumento della disoccupazione sono la prospettiva. Ma è sul debito pubblico che la crisi si riverbererà attraverso l’aumento dei tassi di interesse già in corso non solo impedendo politiche di sostegno a famiglie ed imprese, ma addirittura facendoci tornare ai famigerati anni 2011-2012 in cui ai tagli di bilancio si accompagnava il crollo del PIL. Ma ora sarà peggio.
Avendo in particolare in mente la precaria situazione italiana, ancor più delle altre banche centrali la BCE è combattuta fra l’aumento dei tassi di interesse in chiave antinflazionistica e il pericolo che questo aggravi la recessione e, nella fattispecie europea, il collasso delle finanze pubbliche italiane. Peraltro, l’aumento dei tassi è inefficace rispetto all’origine dell’inflazione che è tutta dovuta a fattori esterni (aumento prezzi dell’energia, grano, e degli approvvigionamenti industriali). Si aumentano i tassi per stroncare in anticipo eventuali richieste di adeguamenti salariali nominali all’inflazione (i cosiddetti “second round effects”) sì da impedire una spirale prezzi-salari. Una prospettiva orribile quella di accrescere ancor di più la disoccupazione per controllare i salari invece di perseguire una solidarietà sociale che redistribuisca i costi della crisi fra le classi. Ma del resto l’UE ha agito nei recenti decenni nella direzione di demolire invece che di rafforzare le strutture della solidarietà politico-sociale perseguendo l’ordoliberismo (ipocritamente definito economia sociale di mercato) invece che il modello social-democratico. La perversità della situazione attuale la si vede anche nel fatto che, essendo di origine esterna, l’inflazione non contribuisce a decrescere il rapporto debito/PIL. In termini semplici, l’inflazione in genere avvantaggia i debitori a danno dei creditori, ma se essa viene dall’estero (aumento dei costi delle importazioni) tutto il Paese perde. A fronte di un collasso delle finanze pubbliche italiane, e approfittando dell’emergenza bellica, l’Europa avrà finalmente l’occasione per farla finita con l’instabilità strutturale che la debolezza italiana introduce nella moneta unica. La soluzione sarà un nuovo “whatever it takes” che, attenzione, questa volta non sarà un sortilegio salvifico per cui gli spread magicamente calano come ci apparve all’epoca di Draghi presidente della BCE, ma richiederà un po’ di arsenico e dunque la partecipazione dei temuti MES e Troika (Commissione europea, BCE, IMF) contemplata qualora la BCE intervenisse a specifico sostegno dei titoli di Stato italiani. Questo significa ristrutturazione del debito pubblico italiano a danno dei risparmiatori e consegna delle chiavi della politica economica italiana alla Troika. La fine rapida del conflitto e il ristabilimento di una convivenza pacifica europea e globale è dunque per il nostro Paese questione cruciale. Il governo non può e non deve allinearsi alla prospettiva bellicista degli Stati Uniti, pur essendo fermo nel garantire l’indipendenza e neutralità dell’Ucraina nell’ambito di un compromesso con la Russia, magari ispirato all’inapplicato Trattato di Minsk.