IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

Le cose che tv e giornali non fanno capire

Sui media un flusso continuo di parole, immagini e invettive sta creando uno schieramento mai così spinto e insistito. Facendo perdere di vista la realtà.

Sono stanco nel senso che mi sento sfibrato, logorato dalle notizie, dalle immagini strazianti che ogni giorno, in ogni ora del giorno, ci vengono dai mezzi televisivi e, però, anche dai commenti che, anch’essi in ogni ora del giorno, su queste notizie e su queste immagini si imbastiscono. Da un lato, la pena, la sofferenza suscitate dalla morte e dalla distruzione che si sono impadronite dell’Ucraina e del suo popolo: una guerra “sacrilega” l’ha definita Papa Francesco, perché offende la sacralità dei corpi e delle vite e avvelena gli animi. Dall’altro, un profluvio di parole che giungono a sommergere la cruda eloquenza dei fatti. I vocabolari dei sinonimi impallidiscono rispetto alla competizione degli aggettivi con cui viene definito Putin: come se quel che avviene non bastasse a condannarlo. Le antitesi alle quali questa guerra viene riportata per mostrare che essa tocca anche noi si sprecano, tra democrazia e dittatura, tra diritti e violenza, tra ragione e sopraffazione, tra umanità e bestialità: come se la guerra non fosse sempre la stessa, come se tutte le guerre non fossero sempre tutte queste cose chiunque le abbia scatenate, come se i corpi e le vite non fossero sempre uguali a chiunque appartengano. Quasi a far capire che ci sono guerre “giuste”. Mentre la guerra è sempre “sacrilega”. Solo che per dire questo bisognerebbe averlo detto sempre e a gran voce, ovunque le guerre si svolgano e quale che sia la religione e il colore delle popolazioni che le subiscono: come da anni fa Papa Francesco ad ogni Angelus della domenica e in ogni occasione, ricordando le guerre dimenticate.

E insieme a questo sempre le stesse questioni: bisogna, o no, mandare le armi in Ucraina? cosa dobbiamo fare di più: aumentare le sanzioni per ridurre la Russia alla fame? istituire la no fly zone? inviare contingenti armati? Solleticando così le molte spinte, non solo ideali, ad espandere il conflitto di quanto è necessario a provocare la resa della Russia e la caduta violenta di Putin. Tutto questo appartiene alla logica dei mezzi di comunicazione che devono accendere conflitti e antagonismi per tenere legato il pubblico al video e incrementare la loro audience. Ma fa pensare che i mezzi mediatici con cui questa guerra si sta anche combattendo ricalchino lo stesso cliché, e che le parole, da pietre, sono ormai armi di questa guerra sempre più digitale. E fa pensare, in generale, che qualcosa di altro si possa muovere dietro un allineamento che non è insolito, ma non sembra sia stato mai così spinto e insistito dalla fine della seconda guerra mondiale. Tanto pesante da spingere a insolentire intellettuali del calibro di Luciano Canfora, Franco Cardini, Carlo Rovelli.

Per questo mi sono ingiunto di contingentare le dosi della comunicazione televisiva e di provare a costruirmi una sorta di mappa di principi. Con i quali orientarmi in questo bailamme di parole e invettive. Non è molto, né risponde alle molte domande che il momento propone, ma può essere utile a ché ciascuno, ragionandoci su, provi a farsi un proprio convincimento. Ho provato a riassumere il pensiero che mi sono venuto formando nei termini necessariamente approssimativi che seguono.

(i) Se si volge lo sguardo da quanto sta avvenendo a quello che è avvenuto prima, ci si accorge che il popolo ucraino è vittima due volte, della guerra guerreggiata di Putin e della guerra per procura di cui l’Occidente ha posto le premesse e che si è guardato dal disattivare;

(ii) quali e quante siano state le ragioni della Russia e di Putin, resta il fatto che hanno iniziato questa guerra e che questa guerra è comunque “sacrilega”;

(iii) nessuno può pretendere che per evitare la guerra gli ucraini non opponessero resistenza prima o si arrendano ora;

(iv) è del tutto comprensibile che gli ucraini chiedano aiuto militare, senza curarsi di quel che potrebbe accadere agli altri, al resto del mondo che sta a guardare la loro guerra;

(v) non si può negare loro un aiuto anche militare sulla base dell’argomento paternalistico che ogni aiuto di tal fatta finisce per prolungare la loro sofferenza e la distruzione delle loro vite e del loro paese, poiché ciascun popolo è arbitro del proprio destino e nessun altro popolo, e neanche il resto del mondo, può decidere cosa ne debba fare;

(vi) è invece più che cinico sollecitare gli ucraini alla resistenza in vista delle visioni ideali e geopolitiche dell’Occidente e degli interessi che per lo più sottendono, poiché far la guerra per procura è – se possibile – vieppiù immorale e “sacrilego”;

(vii) la misura di ogni aiuto militare soggiace ad un limite, che non è assolutamente opportunistico ma genuinamente etico e si dà verso l’umanità, il quale limite impone di astenersi dal fare tutto quanto possa coinvolgerla in una guerra totale, poiché la guerra totale è semplicemente un “sacrilegio” totale;

(viii) chi, insieme, ha a cuore le sorti del popolo ucraino e si fa carico della responsabilità verso l’umanità deve adoperarsi senza sosta e senza limiti e, soprattutto, senza riserve e tornaconti geopolitici non solo perché si sviluppi la trattativa diplomatica, ma soprattutto perché la guerra ceda il passo ad una pace definitiva;

(ix) posta la necessità di un cessate il fuoco il più ravvicinato possibile, non si può sperare che un accordo dia luogo ad una pace definitiva se non coinvolge, oltre all’Ucraina e alla Russia, anche l’Occidente e non sia da questo garantito insieme alla stessa Russia, poiché chi ha avuto ruoli in questa storia terribile non può continuare ad agire per interposta persona e lasciarsi le mani libere (come avvenne ai tempi di Gorbaciov con le conseguenze terribili di questo inizio 2022);

(x) la soluzione del conflitto spetta innanzitutto al popolo ucraino perché è su di esso che, alla fine, graveranno le sue conseguenze territoriali ed umane;

(xi) l’Occidente, però, ha doveri propedeutici e di merito;

(xi) in via propedeutica, deve cominciare ad astenersi da ogni eccesso verbale e da ogni misura ritorsiva che rischino di oltrepassare il punto di non ritorno; e deve dismettere il calcolo delle proprie convenienze e il perseguimento degli obbiettivi geopolitici che in questo conflitto erano insiti e si sono comunque riversati;

(xii) nel merito, se non deve imporre all’Ucraina un accordo che questa non condivida, al tempo stesso non deve prestare passiva acquiescenza alle sue pur comprensibili intransigenze, dosando la propria solidarietà politica secondo una misura che, infine, coniughi, insieme e davvero, la condivisione dei torti subiti dal popolo ucraino, gli argomenti della Russia, la responsabilità verso l’umanità e il valore universale della pace;

Non ci vuol molto a capire che il modo in cui stanno andando le cose e, ancor di più, il modo in cui se ne parla sono distanti da questo quadro. Per questo, questa mappa di principi può sembrare, specie nei passaggi finali, molto ingenua se non addirittura utopica: soprattutto perché sembra sottovalutare gli interessi materiali che si muovono sotto l’etichetta della geopolitica. Essa, però, può servire a due cose. La prima è che, ragionandoci su, può aiutare ciascuno a costruirsi una propria misura di massima per farsi un giudizio autonomo su come si muovono gli attori di questa tragedia, discernendo il senso delle sollecitazioni che vengono da mass-media spesso  -a dir poco – militanti. La seconda è che, sempre ragionandoci su, può aiutare ciascuno a maturare un proprio sguardo che riesca a vedere oltre l’orizzonte del chi vince e chi perde.

L’utopia, talvolta, può essere realistica. Specie quando – come in questo caso – mostra che ragionare nei termini di chi vince e chi perde significa solo star dentro la logica della guerra, a misura che la vittoria di oggi prepara sempre la guerra di domani, chiude un fronte solo per aprirne un altro.

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