È naturale, quindi, che di fronte a questo quadro si moltiplichino gli appelli affinché vengano ricercate le strade per avviare una de-escalation. Ed è altrettanto naturale che i cittadini dei paesi europei, preoccupati per quello che sta accadendo, si rivolgano ai loro rappresentanti nelle istituzioni nazionali ed europee. A chi altro dovrebbero indirizzare i loro appelli se non a loro? Perché se è vero che il negoziato si fa in due (ed è quindi necessaria anche la volontà russa di trattare) ai cittadini europei e italiani spetta il compito di fare in modo che almeno la loro parte sia risolutamente in campo.
Eppure uno schieramento molto ampio di forze politiche e la quasi totalità dei mezzi di informazione mainstream dimostrano una forte insofferenza ogni volta che nel dibattito pubblico emergono richieste di un ripensamento della linea ufficiale. Sia che si tratti del prevalere anche in questo caso del “rullo compressore del paradigma binario” (come lo ha definito Nadia Urbinati), sia che si tratti di un riflesso di intolleranza tutt’altro che estraneo alla tradizione liberale e neoliberale (con buona pace dei suoi corifei), sia che si tratti della cattiva coscienza di chi sa benissimo in cuor suo che il rifiuto di un diverso approccio non è affatto conseguente a un ineludibile stato di necessità, ma il prodotto di una precisa scelta politica, sia che si tratti, infine, della necessità di rintuzzare a ogni costo quella parte dell’opinione pubblica, già oggi maggioritaria, che non ha accettato fin dall’inizio l’impostazione che alla crisi hanno dato le autorità politiche occidentali, o un insieme di tutti queste spiegazioni, resta il fatto che la discussione pubblica continua a registrare una distorsione preoccupante, costituita dalla tendenza a delegittimare ogni posizione critica. Non si tratta peraltro di una novità. Già in precedenti situazioni, ad esempio in occasione dell’invasione americana dell’Iraq, coloro che si opponevano a quella guerra, illegale e feroce, venivano accusati di fare il gioco di dittatore sanguinario e pericoloso. La prosecuzione della guerra sta insomma creando condizioni che minacciano la salvaguardia della libertà di critica all’interno di uno Stato democratico. Anche per ciò che riguarda questo effetto tutt’altro che secondario del conflitto sulle società europee, dovremmo domandarci: è nel loro interesse più autentico assecondare la “devastazione delle menti” prodotta dal clima da guerra fredda?
