Europa fermati!
Anche per scongiurare questo avvelenamento del clima sono importanti i richiami, le prese di posizione pressanti che invitano l’Europa ad agire affinché si aprano spiragli per la trattativa. Iniziative di questo genere sono state avviate da singole personalità e Istituzioni, come, tra gli altri, Alternative per il socialismo, Fondazione Basso e Fondazione CRS, che hanno promosso l’incontro tenutosi a Roma il 5 maggio, per chiedere, richiamando le parole pronunciate dal Presidente Mattarella al Consiglio d’Europa, al nostro paese e all’Europa di promuovere una conferenza internazionale sul modello di quella di Helsinki, al fine di giungere alla definizione di un nuovo trattato sulla sicurezza e la cooperazione in Europa e nel mondo.
Per quanto difficile possa apparire l’apertura di un dialogo che porti a un cessate il fuoco e, successivamente, a veri negoziati di pace, è necessario insistere, ponendo fine all’escalation in atto. Anzi, tanto più forti si fanno le voci di coloro che incitano a intensificare il conflitto, tanto maggiori devono essere le iniziative che puntano a mantenere aperti gli spazi della trattativa e a contrastare i guerrafondai. Anche da questo punto di vista è fondamentale l’iniziativa annunciata da Papa Francesco. Tuttavia non si può rinunciare a svolgere con rigore e onestà intellettuale l’analisi dei motivi che ci hanno condotto a questa situazione, anche per valutare realisticamente quanto effettivamente ci si possa aspettare dai soggetti in campo. Mi riferisco all’Europa, innanzitutto, che dovrebbe essere, sulla base dei propri interessi immediati e di lungo periodo, il principale attore di una iniziativa di pace. Se così, finora, non è, bisogna domandarsi molto seriamente che cosa ciò significhi.
Isidoro Mortellaro si chiedeva alla fine della sua analisi, ospitata nel numero precedente di questo sito, se l’Europa, o meglio l’UE, può “reggere ancora e in queste forme, nel carapace atlantico, uno scontro di queste dimensioni e pericolosità?” Il problema non è aumentare la spesa per gli eserciti, già molto alta in termini assoluti e relativi, ma definire quale Europa, con quali poteri e quali visioni del mondo. A cominciare dal cruciale tema degli armamenti nucleari, a proposito dei quali i paesi europei sono stati reticenti e conniventi, ad esempio, aggiungo io, nel momento in cui gli USA hanno ritirato la loro adesione al trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio (Inf), che pure era stato ottenuto nel 1987 anche grazie alla mobilitazione europea. Certo, negli anni scorsi si sono perse molte occasioni sul piano politico (mi riferisco alle “reticenze” sul trattato per la proibizione delle armi nucleari). Ma anche alcune importanti su quello costituzionale, come rilevava criticamente a suo tempo Danilo Zolo, che vedeva nel “ripudio della guerra come negazione radicale del diritto e dei diritti soggettivi” una delle più gravi lacune del Trattato di Nizza. Se, da una parte, continuava Zolo, la Carta afferma il diritto alla vita, alla dignità umana e alla tutela dell’ambiente, dall’altra “non riconosce ai cittadini il diritto di rifiutarsi di prendere parte ad attività belliche che non siano strettamente difensive”. E, soprattutto, “in tempi di globalizzazione e di sistematico uso della forza militare da parte delle grandi potenze, una Carta dei diritti dovrebbe estendere il riconoscimento del diritto alla vita dei non cittadini, vietando in particolare l’uso degli strumenti di distruzione di massa, incluse le armi nucleari, chimiche e batteriologiche.” Queste e altre carenze, assumono un valore sintomatico delle omissioni politiche e della loro origine. Se è vero, infatti, che le sole convenzioni giuridiche non possono da sole garantire la pace, soprattutto in un ordinamento globale nel quale non esiste più un equilibrio di forze, è vero però anche che esse possono contribuire in modo sostanziale all’evoluzione dei rapporti interstatali.