La missione dell’Europa: mai più guerra!
Come si sia arrivati a questo punto e perché l’Europa si dimostra ancora una volta priva di autonomia nell’elaborazione e nell’azione geopolitica?
In L’ambigua potenza dell’Europa, Biagio De Giovanni vedeva l’imperativo “mai più guerra” come paradigma fondativo delle istituzioni europee nate dopo la seconda guerra mondiale. Un obiettivo che non era solo una parola d’ordine politica, ma anche e soprattutto un elemento attraverso il quale passava la ridefinizione del principio stesso di sovranità degli stati nazionali su cui si basava in un certo senso il progetto europeo.
Da questo punto di vista possiamo dire che la fine del bipolarismo è stata la vera occasione perduta, che porta allo smarrimento della missione europea che vediamo nel nostro drammatico presente.
Se, infatti, all’indomani della fine del secondo conflitto mondiale, l’avvio e il consolidamento delle istituzioni europee è avvenuto nei limiti geografici, politici e culturali definiti dal bipolarismo, e l’Europa in quella fase si è sviluppata, necessariamente, all’interno di uno spazio dominato dall’egemonia americana e dal paradigma atlantico, il quadro è cambiato (o avrebbe dovuto cambiare) in modo sostanziale dopo la dissoluzione dell’URSS. Nel lungo periodo dominato dalla guerra fredda, l’esperimento europeo è rinchiuso nell’ambito ristretto dove è stato più facile trovare mediazioni e compensazioni. E dove, da un certo momento in poi, è stato possibile sviluppare politiche di dialogo e distensione nei confronti del blocco dei paesi dell’Europa dell’Est.
La globalizzazione e, soprattutto, la fine del bipolarismo hanno messo l’Europa di fronte a nuovi e inediti scenari e compiti, l’hanno “chiamata a contribuire alla costruzione di una nuova struttura del mondo”, prima di tutto divenendo protagonista del processo di unificazione dell’intero continente, che ne facesse il perno di un ordine internazionale tendenzialmente sempre più orientato alla coesistenza pacifica.
Ma questo progetto è naufragato, e la guerra in Ucraina è anche, forse soprattutto, la prova del fallimento di questo compito strategico, se davvero ciò che è in gioco sono di nuovo gli equilibri geopolitici tra due logiche imperiali sul continente europeo. A esserne sconvolti sono i pilastri stessi della costruzione europea, come dimostra la decisione tedesca di procede al riarmo, uscendo da quell’orizzonte comune entro il quale le sue ambizioni si erano potute finora esprimere e che costituiva una delle maggiori garanzie di un superamento delle paure e delle contrapposizioni novecentesche.
Le ragioni del fallimento, che fa oggi dell’Europa non una protagonista di questa fase convulsa e conflittuale della globalizzazione, ma un soggetto passivo, vanno ricercate nel permanere dell’ipoteca americana, anche dopo il crollo dell’URSS, oltre che nelle ambiguità, nei calcoli egoistici e nelle divisioni dei paesi europei. L’identità europea si è baloccata nel lungo periodo post-guerra fredda con l’illusione di poter agire sulla scena mondiale e su quella continentale come una forza civile, in grado di esercitare una funzione civilizzatrice attraverso il suo modello di benessere, di efficienza, di diritto, e perseguendo una sua consapevole depoliticizzazione. Intanto però la sua immagine ha continuato a sovrapporsi e a confondersi con quella della strategia politico militare degli Stati Uniti, i quali hanno agito come players spregiudicati nell’evoluzione delle società centro ed est Europee e nella loro collocazione internazionale, anche per condizionare l’Europa. Tanto da fare apparire l’Unione come una sorta di articolazione economico-diplomatica della Nato. Questo quadro andrebbe naturalmente completato con l’individuazione delle gravissime responsabilità della Russia nel concepire e praticare il revanscismo ideologico e militare che ha caratterizzato la sua politica estera, che non può essere completamente considerato come una conseguenza delle politiche occidentali.
Tutto ciò è avvenuto già all’indomani dell’Ottantanove, con la tragedia della dissoluzione della Federazione Jugoslava. La guerra in Kosovo, in particolare, è servita a ribadire una gerarchia di ruoli nella ridefinizione degli equilibri europei e a dare una cifra del modo con il quale gli stessi paesi europei, in particolare la Germania, intendessero atteggiarsi nel nuovo scenario. Le speranze che l’Europa diventasse protagonista dell’unificazione del continente e della sua trasformazione in una macroregione in grado di inserirsi attivamente nel nuovo mondo multiregionale (una sorta di correzione dell’uniformismo globalista), sono in gran parte tramontate proprio con la guerra della Nato in Kosovo.
In fondo la guerra in Ucraina finisce per essere la liquidazione dei timidi e contraddittori tentativi, condotti soprattutto dalla Germania, dalla Francia e dall’Italia, di intessere un rapporto non conflittuale con la Russia, senza però affrontare il nodo della strategia politica e della collocazione autonoma dell’Europa sulla scena mondiale.