Meritarsi il Nobel!
Sul Nobel per la pace assegnato a personalità politiche e istituzioni sembra gravare una sorta di maledizione: dopo aver ricevuto il prestigioso premio, infatti, quelle stesse personalità e istituzioni finiscono per assumere posizioni politiche e prendere iniziative belliche che vanno in direzione radicalmente contraria alla difesa della pace.
I casi che si possono citare sono numerosi e illustri. Si può iniziare, ad esempio, dall’unico italiano insignito del premio Nobel per la pace: Ernesto Teodoro Moneta, che nel 1907 ricevette il premio Nobel, insieme al giurista francese Louis Renault, per la sua attività nel movimento pacifista. Poco dopo, però, Moneta dichiarò legittima la conquista italiana della Tripolitania, in quanto impresa civilizzatrice. Per chiarire meglio il suo pensiero, scrisse che “le imprese, anche armate, a scopo di civilizzazione, non possono essere giudicate alla stessa stregua delle guerre tra nazioni già completamente civili (…) Noi lo abbiamo detto e più volte ripetuto, distinguiamo tra la pace con i popoli civili e pace con genti barbare e semi-barbare. Se la verità della Pace è in marcia e nessuna forza può arrestarla, un’altra verità è altrettanto incontestabile ed è la fatale sottomissione dei popoli ancor barbari ai popoli civili.” Moneta, ça va sans dire, sostenne anche la partecipazione dell’Italia alla prima guerra mondiale, attaccando duramente i neutralisti e prevedendo, grazie alla sconfitta degli Imperi centrali, un futuro di libertà, democrazia e (naturalmente) pace per l’Europa!
In tempi a noi più vicini, si possono citare altri casi interessanti.
Il primo è quello del premio Nobel al Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, assegnatogli a pochi mesi dal suo insediamento alla Casa Bianca. Naturalmente, di lì a poco il Presidente Obama ordinò numerosi interventi militari delle forze armate americane in varie parti del mondo, a cominciare dalla Libia e dalla Siria. Le conseguenze di queste azioni sono troppo note per doverne dare una descrizione dettagliata.
Altrettanto istruttivo è il caso di Abiy Ahmed, primo ministro etiopico e vincitore del premio Nobel per la pace nell’ottobre del 2019. Alcune indagini giornalistiche hanno addirittura sostenuto, che l’accordo di “pace” con l’Eritrea (a motivo del quale Abiy Ahmed ha ricevuto il Nobel) era in realtà funzionale alla preparazione della guerra contro i comuni nemici del Tigray. Comunque, la guerra è ancora in corso e sta provocando lutti, distruzioni, violazioni dei diritti umani, fame, nella totale indifferenza della “comunità internazionale”.
Quest’anno ricorre il decimo anniversario del conferimento del premio Nobel all’Unione Europea e la ricorrenza coincide con l’attivazione bellica dell’Europa e lo scenario che abbiamo cercato di descrivere. Si tratta di un mutamento di posizione, riconosciuto e rivendicato dalle autorità europee, che cambia radicalmente l’immagine e la postura internazionale dell’Unione. E, forse, fa dell’Europa l’ennesimo esempio di quella maledizione dei Nobel della pace di cui abbiamo parlato sopra.
Quella che l’Europa sta combattendo, per ora con la fornitura delle armi e le retorica bellicista, è una guerra non sua, che contraddice in modo drammatico il suo interesse strategico e che esprime il fallimento di un’occasione storica offerta dalla fine del bipolarismo. Ma forse si è ancora in tempo per avviare un’iniziativa di ampio respiro sul modello della conferenza di Helsinki. Purché l’Europa sappia attivarsi in tempo e meritarsi davvero il Nobel per la pace.