IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

Le togliattiane lezioni sul Fascismo

L’introduzione di Piero Di Siena ad una riedizione del 2019 delle perspicue lezioni di Togliatti. Il fascismo come regime reazionario di massa, ma anche un’analisi delle contraddizioni del regime. Una lezione di metodo, utile anche oggi.

Siamo nel 1970. Ernesto Ragionieri, nel corso delle sue ricerche per l’edizione delle Opere complete di Togliatti di cui è il curatore, rintraccia negli archivi di Mosca il testo delle lezioni tenute nel 1935 alla vigilia del VII Congresso dell’Internazionale comunista, dedicate all’analisi degli “avversari” (fascisti, socialdemocratici, massimalisti e repubblicani, anarchici) e trascritte da uno degli allievi della scuola per i quadri italiani emigrati in Unione sovietica, allora diretta da Giuseppe Berti.
Ragionieri vede immediatamente come le lezioni dedicate al fascismo costituiscono un contributo rilevante nell’analisi di quel regime con elementi di grande novità rispetto al dibattito che fino al 1935 aveva caratterizzato la discussione nell’Internazionale nel tormentato passaggio dalla politica di “classe contro classe” e del “socialfascismo” a quella dell’unità d’azione con i socialisti e dei fronti popolari. Alcune delle lezioni di Mosca relative al fascismo sono pubblicate prima su “Critica marxista” e poi nella loro interezza nella veste qui riproposta, accompagnate dalla Prefazione di Ragionieri e in appendice dalla traduzione dal francese di un articolo di Togliatti apparso sull’organo dell’Internazionale nell’ottobre del 1934, in cui anticipa contenuti e categorie di analisi che saranno al centro delle lezioni di Mosca .
Di questa edizione, nel corso degli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso vi sono state diverse ristampe. E nel corso degli anni successivi le lezioni di Togliatti sono riproposte in versioni filologicamente aggiornate e in un contesto di un approfondimento storiografico che non poteva ignorare il mutamento di prospettiva che la fine del comunismo del Novecento comportava per la stessa ricerca storica sul movimento comunista e la sua elaborazione. Vanno segnalate in particolare l’antologia di scritti sul fascismo curata da Giuseppe Vacca , e l’edizione critica curata da Francesco M. Biscione del Corso sugli avversari, in cui vengono proposti i testi integrali di tutte le lezioni sottoposti a una nuova revisione filologica. L’antologia curata da Vacca è accompagnata da una lunga prefazione dedicata in gran parte ad esaminare le convergenze tra l’analisi gramsciana e quella togliattiana, sviluppatesi dopo l’arresto di Gramsci in totale autonomia l’una dall’altra. Essa ha altresì il merito di soffermarsi sul nesso nazionale-internazionale che caratterizza l’analisi di Togliatti del fascismo soprattutto dopo l’avvento del nazismo in Germania.
Il lavoro di Biscione ci consegna invece la prima edizione critica delle lezioni togliattiane nella loro interezza, attraverso una revisione accurata degli originali, accompagnata alla fine del volume da una postfazione che ricostruisce il contesto europeo tra le due guerre (quella che egli definisce “la guerra civile europea”) in cui l’analisi togliattiana del fascismo si colloca.

Analogie e differenze con l’oggi

Perché, dunque, dopo un così ampio e accurato lavoro storiografico che copre i decenni riproporre ora, dopo cinquanta anni, la prima edizione delle lezioni sul fascismo e la prefazione di Ernesto Ragionieri? Per la funzione che questa pubblicazione ebbe all’epoca in cui vide la luce, e per la lezione che si può trarre per l’oggi.
Quella edizione, infatti, si colloca nel pieno di un passaggio d’epoca nella storia del nostro Paese e in quella mondiale, simile per portata e profondità a quella che da un decennio, dopo la crisi del 2007, stiamo attraversando. Tra il 1968 e il 1970, infatti, per reazione all’onda dei movimenti che sconvolgono dalle fondamenta gli equilibri emersi nel secondo dopoguerra, si gettano le basi di quella rivoluzione neoconservatrice che segnerà i tratti del quarantennio successivo. Entrano in crisi sia i rapporti tra politica e società, tra lo Stato e le masse, che caratterizzano l’assetto delle democrazie occidentali, sia quelli che segnano le società nate dall’estensione del modello sovietico su scala mondiale dopo gli accordi di Yalta e la vittoria della rivoluzione guidata dal Partito comunista in Cina nel 1948.
In Italia in particolare l’analisi del fascismo e del regime che si costruì attorno alla sua presa del potere diventa la ricerca delle origini di quel rapporto tra Stato e masse organizzate che, sul terreno democratico, caratterizzerà poi i trenta anni successivi alla seconda guerra mondiale, in quella che Scoppola chiamerà la Repubblica dei partiti . In questa direzione erano, del resto, già orientati gli studi di Renzo De Felice e della sua scuola, spesso in aperta polemica con la storiografia sul fascismo che si ispirava alla Resistenza. La distinzione, infatti, tra fascismo come “movimento” e fascismo come “regime”, e la sottolineatura del “consenso” che aveva circondato il regime diventano i tratti peculiari di una nuova e aggiornata analisi.

Una lezione di metodo sul rapporto tra masse e politica

Tali studi sembrarono allora al complesso della storiografia orientata a sinistra sottovalutare il carattere dispotico del regime. Ma le polemiche anche accese da parte della sinistra dell’epoca non impedirono a Renzo De Felice di vedere come le lezioni togliattiane fossero una precoce ricostruzione del complesso rapporto organizzato tra fascismo e masse e dell’evoluzione delle stesse funzioni dello Stato nel passaggio dallo Stato liberale a quello totalitario, che, per acutezza e profondità, non aveva avuto eguali nell’analisi di altri contemporanei.
Tale giudizio di Renzo De Felice nasce dal fatto che la ricostruzione togliattiana del fenomeno fascista si misura con il tema del rapporto organico, sia pure in forma subalterna, tra masse organizzate e esercizio del potere politico.
Alla vigilia degli anni Settanta del secolo scorso tale rapporto tra politica e masse che, in una certa misura, la Repubblica aveva ereditato dal fascismo costituiva il terreno su cui si pensava si potesse operare un ulteriore avanzamento democratico della vita politica del Paese. Era questo l’intento della ricerca parallela e a tratti convergente di Berlinguer e Moro, tesa a un’evoluzione del sistema politico che desse piena cittadinanza al protagonismo di masse che si erano prepotentemente imposte sulla scena politica e sociale alla fine degli anni Sessanta. La ricostruzione di Togliatti dei caratteri del fascismo costituiva in quel contesto una potente lezione di metodo nella sua capacità di scavare nel rapporto tra masse e politica. E del resto non è un caso che, proprio in quegli anni, un protagonista di primo piano del passaggio dal fascismo al postfascismo come Giorgio Amendola, che inizia a piegare la sua riflessione in chiave storiografica in cui s’intrecciano autobiografia e bilancio storico, tende a sottolineare i caratteri di continuità che permangono tra il vecchio regime e gli assetti della Repubblica democratica

L’analisi differenziata come faro

Il fatto che, per usare la formula di Enrico Berlinguer, si pensò che ci si trovasse nel pieno di “una nuova tappa della rivoluzione democratica e antifascista” capace di produrre un ulteriore avanzamento democratico del rapporto tra Stato e masse organizzate indusse a privilegiare nell’analisi delle lezioni togliattiane l’elemento di ricostruzione organica dei caratteri del regime fascista, in altri termini della sua coerenza interna. E’ questa attenzione al rapporto organico tra masse e Stato, figlia dei problemi relativi all’evoluzione del sistema politico democratico, che d’altra parte si sarebbe rivelata drammatica e tormentata con la strategia della tensione e il delitto Moro, che può costituire la spiegazione di un fatto singolare che caratterizza l’intera riflessione storiografica sull’analisi del fascismo avanzata da Togliatti nelle lezioni di Mosca.
Nella sua introduzione Ernesto Ragionieri per indicare la novità dell’analisi togliattiana del fascismo afferma che essa contribuisce a ricostruire l’originalità di tale movimento politico in quanto artefice di un inedito “regime reazionario di massa”, categoria che egli affianca a quella di “analisi differenziata”, che costituisce in verità il tratto caratteristico dell’analisi dei processi politici e sociali da parte di Togliatti in tutto l’arco della sua attività intellettuale e politica.
Nel corso dei decenni a seguire, l’intero dibattito storiografico sulle Lezioni è ruotato attorno a questa categoria di “regime reazionario di massa” in quanto tratto distintivo e peculiare dell’analisi togliattiana del fascismo. Ed essa è stata, in assoluto, la lente interpretativa attraverso cui sono stati ricostruiti i caratteri peculiari del giudizio di Togliatti sul fascismo.
Ora, tuttavia, come è noto, questo termine (“regime reazionario di massa”) che tanta fortuna ha avuto nel dibattito storiografico successivo, introdotto da Ragionieri nella Prefazione a questa prima edizione del 1970, non compare mai nelle lezioni. E benché si possa convenire con Giuseppe Vacca che sebbene “Togliatti non usò quella espressione, nella sua analisi vi è il concetto che le corrisponde” , la lettura delle lezioni in termini sistemici (a cui fa riferimento la categoria di “regime reazionario di massa) è anche frutto dello spirito del tempo in cui le lezioni furono pubblicate. Mi riferisco al bisogno di fare un bilancio, a partire dall’analisi delle loro origini, dei caratteri dei regimi politici fondati sull’inclusione delle masse nello Stato nel momento storico, con la fine dei Trenta anni gloriosi, in cui si pensò che essi fossero suscettibili di un ulteriore sviluppo democratico, mentre invece, come oggi si vede con chiarezza, si avviò il loro irreversibile declino.

L’assillo dell’unità d’azione tra le forze antifasciste

Ora, se si mette tra parentesi la lettura delle lezioni attraverso la categoria del “regime reazionario di massa”, che tanta fortuna ha avuto nel dibattito storiografico di decenni, e invece le si esamina prevalentemente alla luce dell’altra categoria suggerita da Ragionieri nella sua prefazione, quella cioè dell’”analisi differenziata” , vediamo più agevolmente che l’assillo politico che attraversa le Lezioni sul fascismo non è tanto quello di aggiornarne l’analisi in termini sistemici, ma quanto quello di coglierne l’evoluzione diseguale e soprattutto di analizzare le contraddizioni interne che si aprono nelle formazioni create dal regime per organizzare in forma subalterna agli interessi delle classi dominanti le masse che a partire dal dopoguerra avevano fatto irruzione sulla scena politica. Dai sindacati al dopolavoro, di cui si sottolinea la novità e l’originalità quale istituto di organizzazione del tempo libero , la ricostruzione togliattiana del carattere di massa del fascismo si sofferma soprattutto nell’indagine dei suoi tratti contraddittori e conflittuali, nell’individuazione dei varchi che si aprono per l’azione da compiere all’interno delle organizzazioni di massa del regime ai fini di una loro scomposizione.
E’ indicativo, ad esempio, che Togliatti insista molto sul fatto che il fascismo non nasce come un movimento che aspira all’instaurazione di un regime totalitario, e che lo diventa in maniera compiuta solo all’indomani della crisi del ’29 e quindi addirittura all’indomani delle stesse leggi eccezionali seguite alla crisi Matteotti . E sottolinea come la sottovalutazione dei varchi che questo lasciava aperti per l’iniziativa dei comunisti fosse stata un grave errore cui rimediare.
Del resto nonostante il 1935 l’assetto corporativo dello Stato fascista fosse stato compiutamente disegnato l’attenzione di Togliatti a questa innegabile novità risulta alquanto marginale. Non che gli sfugga l’inedito rapporto tra masse e Stato che col fascismo si realizza – che analizza soprattutto ricostruendo l’evoluzione del ruolo e delle funzioni del Partito fascista, che nel cuore degli anni Trenta diventa il principale organo dello Stato -, ma il suo assillo resta quello di lavorare all’interno delle contraddizioni che questo processo politico produce.
E’ del tutto evidente poi che le lezioni rispondono ad un altro problema politico, che riguarda gli equilibri interni dell’Internazionale comunista e il faticoso passaggio dalla politica in cui la socialdemocrazia resta, nella sostanza, il nemico principale a quella dei fronti popolari e dell’unità antifascista che, all’indomani delle lezioni, sarebbe stata sancita dal VII Congresso dell’Internazionale .
Se si leggono le lezioni dedicate al fascismo in relazione a quelle dedicate ad un altro “avversario”, la socialdemocrazia , appare evidente come da parte di Togliatti vi sia la preoccupazione di trovare i fili di continuità, che avrebbero dovuto costituire la condizione per un ruolo egemonico dei comunisti nella svolta politica in atto, tra le due fasi della politica dell’Internazionale. Essi sono costituiti proprio dallo sviluppo di un’azione di massa dentro le organizzazioni fasciste (che in una certa fase esponenti di punta sovietici nell’Internazionale, in nome delle resistenze e delle riserve di Stalin rispetto alla nuova svolta che avverrà poi al VII Congresso, invocata soprattutto dai comunisti francesi, contrappongono alla politica di unità con i socialisti ) vista come complemento organico alla politica di unità d’azione tra le forze antifasciste.

Populismi e sovranismi. La forma di una crisi organica?

Ora rileggere le lezioni togliattiane sul fascismo nell’ottica della categoria dell’”analisi differenziata” può costituire una potente lezione di metodo rispetto ai problemi che oggi si presentano di fronte a una sinistra ridotta ai minimi termini, come del resto lo era quella travolta dai movimenti reazionari di massa tra le due guerre mondiali. Adesso come allora siamo di fronte a tendenze inedite che indicano un prevalere a livello di opinioni pubbliche di orientamenti reazionari, catalogati con una certa approssimazione come “populismi” o “sovranismi” in ascesa. Essi sono il frutto del fatto che, soprattutto a partire dalla crisi del 2007-2008, il processo di globalizzazione dell’economia è apparso nella sua vera natura, non tanto di unificazione dell’economia mondiale, ma di feroce competizione fra Stati a dimensione continentale per il primato nella nuova divisione internazionale del lavoro, dove a partire dalla Cina sono emersi nuovi soggetti che hanno segnato la fine irreversibile del primato dell’Occidente negli equilibri e negli assetti del mondo.
Siamo per paesi come l’Italia nel pieno di una crisi organica che, per le interdipendenze sempre più strette con il sistema mondo, non può avere una soluzione solo sul piano nazionale e che sottopone i diversi sistemi politici a passaggi traumatici e a esiti inediti. Per una sinistra, sia pure messa ai margini e ridotta al lumicino, come del resto lo erano i comunisti italiani nel pieno del regime fascista, il metodo dell’analisi differenziata capace di cogliere e di intervenire nelle contraddizioni dell’avversario nel suo rapporto con vasti strati del popolo è una lezione valida soprattutto per l’oggi.
Certamente un tale approccio analitico e le modalità dell’agire politico che ne derivavano non si trasformavano in Togliatti in una riduzione della politica rivoluzionaria a tattica senza prospettive, a scelte di manovra politica prive di un progetto, perché alle spalle vi era il ruolo dell’Urss e l’indicazione di marcia che la vittoria del socialismo, sia pure in un solo paese, indicava all’intero movimento. In genere si considera il “legame di ferro” che Togliatti ha permanentemente avuto con l’esperienza sovietica in tutte le sue fasi come una pura scelta dettata da una sorta di realismo politico, da una presa d’atto dei rapporti di forza da cui non si sarebbe potuto prescindere, del tutto estraneo al fatto che egli fosse con Mao, benché in tutt’altra direzione, il più grande innovatore del comunismo del Novecento. Ma, a mio parere, non è così. Quel legame stava a dimostrare l’attualità di un processo di transizione in atto verso un diverso assetto economico e sociale che costituiva la prospettiva irrinunciabile per l’agire politico di una forza di sinistra.
È l’assenza di punti di riferimento strategici e di una funzione di portata storica, di una visione alternativa dell’assetto del mondo, che espone ciò che resta della sinistra oggi al rischio dell’irrilevanza. Ma ciò può rendere anche più stringente la ricerca di quella nuova e inedita prospettiva rivoluzionaria (nel senso di un rovesciamento radicale del rapporto tra “governanti” e “governati”) che lo stato delle cose richiede. [Piero Di Siena, Introduzione a P. Togliatti, Lezioni su fascismo, Editori Riuniti, 2019]

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