IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

L’intervista. Con gli occhi della CGIL, parla Massimo Bussandri

Non siamo mai stati tifosi del reddito di cittadinanza, ma è innegabile che durante l'emergenza ha impedito lo scivolamento di tante famiglie nell’indigenza. I costi dell’attuale crisi energetica siano pagati dalle imprese che hanno fatto extra profitti.

Sulla precarietà, invece?

Siamo anche in questo caso tra i Paesi europei con il più alto tasso di precarietà. Credo che il precariato sia ormai non solo una condizione lavorativa, ma una condizione sociale a 360 gradi. Non esiste più un modello universale di precarietà. Oggi esistono, a differenza del passato, tanti tipi di precarietà, siamo nella società delle mille precarietà difficili anche da contestualizzare: c’è quella in qualche modo “storica”, di ingresso nel mondo del lavoro; c’è quella diventata purtroppo strutturale anche nel pubblico impiego e nella manifattura, con il proliferare di contratti a termine e somministrazioni anche per la copertura di funzioni produttive stabili; e poi c’è quella addirittura permanente, la “stabile precarietà” (se non fosse un ossimoro) del terziario e della logistica arretrati, quella dei mille lavoretti a chiamata e delle tante “partite iva” usate e abusate. Come accennato, si fa fatica ad intercettare e rappresentare questi lavoratori, in particolare quelli ascrivibili all’ultima tipologia. Questa precarietà dilagante non consente alle nuove generazioni, che in buona parte la subiscono, di mettere in campo progetti di vita maturi e consapevoli ed è ormai questione che va affrontata anche in sede di contrattazione sociale territoriale, oltre che rafforzando i tratti inclusivi della contrattazione “classica” di categoria.

Ritengo, caro Salvatore, che al punto in cui siamo giunti non basti l’azione contrattuale, ma occorra agire anche la leva legislativa. Va rivista profondamente la legislazione sul lavoro. A partire dal nostro Congresso andrà proposto al Paese e alle forze politiche un bilancio sociale della legislazione del lavoro elaborata negli ultimi due decenni e culminata nel Jobs Act. Come si è tradotta sulla pelle viva dei lavoratori? Ha prodotto redistribuzione delle garanzie, come era nelle previsioni, oppure un allargamento macroscopico dell’area della precarietà e del lavoro povero? Ancora, ha aumentato la base occupazionale oppure il lavoro si è indebolito ulteriormente, divenendo più ricattabile e povero? La tesi nostra confermata dai fatti è che la moneta cattiva scaccia sempre la buona e mai il contrario.

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