IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

L’ipocrisia della legalità internazionale

La guerra in Ucraina sta esasperando l’ipocrisia della legalità internazionale manifestatasi al termine della guerra fredda con la caduta dell’URSS. L'Europa è diventato lo spazio periferico dove è .possibile fare caccia grossa?

La retorica dell’universalismo giuridico ha esteso la dicotomia interno/esterno al «grande spazio» delimitato dalla «linea dell’emisfero occidentale» [Schmitt, 368 ss.]. La giuridificazione della guerra, la sua criminalizzazione, principale effetto della universalizzazione del diritto che deve regolarla, ha eliminato la distinzione categoriale tra interno ed esterno. Esiste un unico spazio politico liscio in cui vige un’unica legge; esiste un solo unico interno in cui i più forti possono e devono esercitare attività di polizia internazionale qualora quell’unica legge sia violata o vi sia il pericolo che possa venire violata. In questo unico interno ci possono essere solo criminali, non nemici.

È noto che il nomos dello jus publicum europaeum era stato costruito proprio per delimitare uno spazio dentro il quale gli Stati europei nei loro conflitti si consideravano tutti reciprocamente iusti hostes, perché era uno spazio delimitato, regolato, razionale, dove anche i conflitti erano soggetti al rispetto di regole, perché all’interno di quello spazio non poteva più esserci la guerra “giusta” che aveva legittimato le peggiori nefandezze nelle epoche precedenti durante le guerre di religione. Ma ovviamente all’esterno di quello spazio tornava a essere legittima la guerra giusta. Lì fuori erano gli spazi di cui appropriarsi, su cui tracciare nuove linee. Era dunque uno spazio agonale, perché delimitava un campo di lotta, un agone extraeuropeo nel quale potevano essere confinate le lotte per la spartizione del mondo. Oltre le linee di amicizia finiva l’Europa e cominciava il “nuovo mondo”. Qui cessava il diritto europeo e qui aveva fine dunque anche la regolazione della guerra operata dal diritto internazionale, così che la lotta per la conquista territoriale diventava sfrenata.

L’imperialismo della globalizzazione

Ciò che conta per il tempo presente è che questo nomos entra in crisi con l’avanzata della linea dell’emisfero occidentale, dove qui l’Occidente viene a identificarsi con gli Stati Uniti. La linea dell’emisfero occidentale si è progressivamente spostata fino a sbattere contro la Russia: in 30 anni si è spostata di circa 1500 Km, da Berlino a Tallin. L’attività occidentale di basing con cui gli Americani hanno popolato l’Europa e le steppe dell’Asia centrale di basi militari non è nient’altro che appropriazione di spazi (politici, economici, tecnologici, marittimi, culturali). Quella che abbiamo chiamato globalizzazione si è rivelata la forma più completa dell’imperialismo, «quella che consiste nel tentativo di una determinata società di universalizzare la propria particolarità, istituendola tacitamente a modello universale» [Bourdieu, 67]. É invece sempre più apertamente contestata dai grandi Paesi non occidentali emergenti la tradizionale pretesa dell’Occidente di parlare a nome dell’intera comunità internazionale, dettando i criteri di valutazione politica, economica e culturale che valgono poi a decidere le appartenenze ai «grandi spazi». Con il crollo dell’Unione Sovietica si è preteso costruire una morale globale senza politica, senza spazi: ci sarebbe un unico “dentro” e chi non ci sta è un criminale. Gli epiteti con cui è stato additato il nemico rivelano la sua totale insensatezza, la sua radicale disumanità: non è un nemico, un justus hostis, contro cui si fa una guerra, ma è un criminale che deve essere portato davanti ai tribunali internazionali che applicano un diritto globale che non ha più una legittimazione statale, ma che è a presidio dell’intera umanità.

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