Smarrimenti e incertezze
Sprofondiamo ormai da tempo. A precipizio, sia pure con attriti assai urticanti. Ancora impossibile valutare profondità e ampiezza della voragine aperta dell’89 e dai suoi vari post, con le loro scansioni del nostro ingresso nel Terzo Millennio. Né va meglio con l’esame puntuale di cause e antecedenti. Anche quando scevri da ogni malaccorta e sia pure inevitabile nostalgia per il «bel tempo andato»: «quando partiti e sindacati erano vivi …, un tempo ci si muoveva nelle sicure geografie di destra e sinistra. …. ecc ecc».
Arranchiamo a comprendere soprattutto se e come riusciremo a tradurre in soggettività politica, più o meno organizzata, l’immensa socialità profusa a piene mani nell’inesausta artificializzazione del mondo che ci circonda. L’abbiamo dissolto nei bit di una comunicazione infinita e negli atomi di un post-umano in perpetua interrogazione dell’ignoto. Ma lungi dal librarci nella libertà sconfinata promessa dal neoliberismo, corriamo verso una catastrofe ambientale, quando non finiamo prigionieri di inedite e mortificanti tribalizzazioni. Sono il frutto di una socialità eccitata da una individualizzazione senza freni, che puntualmente ci condanna al ruolo di apprendisti stregoni, vittime predestinate delle proprie macchinazioni. Quando la giostra si acqueta, puntuali e forzute si fanno avanti formule antiche, coriacee, con la loro offerta di ancoraggi sicuri alla mobilità e all’insicurezza picare e zingaresche delle reti: familismo, nazionalismo, sovranismo tutte dotate di solidi scettri, con autorità riconosciute, paternità onnipotenti.
Arranchiamo ancor più dal 24 febbraio, presi dal vortice di una «terza guerra mondiale». Al pari delle altre due, iniziata come «guerra civile europea». Come tale concepita e annunciata da Putin: una «operazione militare speciale» in un pezzo di mondo, l’Ucraina, che «è una parte inalienabile della nostra storia, cultura e spazio spirituale … i nostri compagni, le persone a noi più care – non solo colleghi, amici e persone che hanno servito insieme, ma anche parenti, persone legate dal sangue, dai legami familiari». Il tutto promettendo, a chi volesse opporsi, «conseguenze che non avete mai visto nella storia». E per non lasciar dubbi: «Siamo pronti per qualsiasi scenario. Tutte le decisioni necessarie al riguardo sono state prese, spero di essere ascoltato».
L’«impensabile» – l’«unthinkable» di Herman Khan, lo stratega della Rand Corporation immortalato come «Stranamore» da Stanley Kubrik – è tra noi. È divenuto incubo quotidiano, titolo di testa d’ogni giornale o annuncio televisivo. Radicato in uno scenario altro da quelli che hanno contornato le due catastrofi del XX secolo. Ora ci muoviamo in una geografia terremotata dall’innovazione radicale annunciata nel 1990 dall’allora segretario di Stato americano, James A. Baker III: «gli USA sono e resteranno una potenza europea». L’impegno, l’hanno mantenuto: nella Bosnia e nel Kosovo, sulla spinta innanzitutto delle divisioni e dell’ignavia europee. Su quelle onde hanno poi consolidato il loro ruolo di colonna portante dell’ordine continentale, saldi alla guida di una Nato divenuta faro e calamita nella disgregazione complessiva dell’Est europeo. Come dimenticare la discussione e lo scandalo suscitati nel 2003 dalle due contrapposte etichette apposte da Donald Rumsfeld alla Old Europe – Francia e Germania, soprattutto, dubbiose sulla proclamata «guerra al terrorismo» e sull’avveniente avventura irachena – e alla New Europe: l’ampio stuolo di paesi, nuovi membri o candidati, ansiosi di contribuire all’allargamento della Nato?
È al cuore di questa Europa che Putin mira quando scatena il maglio dell’aggressione all’Ucraina. Nel mirino l’accerchiamento calamitoso esercitato dall’Occidente, ad un tornante della storia in cui s’affollano liste e pressioni dei nuovi attori globali. Le parole impiegate negli annunci di guerra sono chiare: «Mentre la NATO si espande a est la situazione per il nostro Paese peggiora sempre di più, diventando pericolosa … Questa presenza a est sta nutrendo nei territori storicamente affini alla Russia un sentimento di ostilità verso la nostra Patria. Si tratta di territori posti sotto il pieno controllo esterno fortemente plasmato dalle forze della NATO. Questa situazione porta la Russia di fronte un bivio: vita o morte? Da questa decisione dipende il nostro futuro, come Stato e come persone … C’è in gioco la sovranità della Russia. La linea rossa, citata diverse volte, è stata superata. Loro l’hanno superata». Il tutto condito da ricostruzioni circa la capacità ucraina di padroneggiare l’energia nucleare, appresa in età sovietica, e di poterla ora riattivare con l’aiuto atlantico: «Se l’Ucraina ha un’arma di distruzione di massa, la situazione nel mondo cambierà drasticamente, soprattutto per noi» (così l’annuncio in tv dell’attacco all’Ucraina il 24 febbraio).
Lo scenario disegnato a teatro della decisione fatale è ultimativo e senza scappatoie. Vale la pena allora di provare a fermarsi un istante per comprendere meglio i timori che lo sommuovono e i disegni che se ne dipartono. Almeno per provare a non perdere orientamento e speranza.