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cultura politica e costituzionale

IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

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IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

Lo strano caso dei rifugiati sudafricani

La scelta d’intervenire a favore di una minoranza bianca è parte della narrativa MAGA della razza sotto assedio e della sostituzione etnica. Ma è anche un piano d’attacco volto a indebolire la reputazione e quindi il ruolo del Sudafrica come leader continentale e membro cruciale dei BRICS.

Il presidente Donald Trump è buono, aiuta gli immigrati e non li espelle in catene. Rispetta il diritto internazionale e dà asilo a coloro che cercano rifugio, ai perseguitati e ai dannati. In linea con il messaggio pastorale di Leone XIV, costruisce ponti e non muri; apre larghe le braccia americane a coloro che fuggono la persecuzione. I rifugiati, i poveri, i perseguitati hanno un posto dove riparare. Sì, purché essi siano bianchi ovvero chiari di carnagione.

L’asilo ai rifugiati afrikaner

Gli Stati Uniti hanno deciso di offrire lo status di rifugiato e quindi asilo politico ai sudafricani, ma solo bianchi e di lingua afrikaner, ovvero i discendenti dei coloni olandesi e francesi. La decisione è stata presa con un ordine esecutivo firmato dal presidente Trump nel febbraio 2025 e diretto agli afrikaner vittime o a rischio di “discriminazione razziale patrocinata dal governo” sudafricano. L’ordine fa riferimento alle politiche di riforma agraria che prevedono l’espropriazione di terreni anche senza compenso. Per gli USA, i bianchi sudafricani corrono un serio rischio di persecuzione etnica e questo ha giustificato il processo accelerato rispetto alle normali procedure, che solitamente richiedono anni.

Il primo gruppo di rifugiati afrikaner, composto da 49 persone, è arrivato da Johannesburg all’aeroporto di Dulles, in Virginia, il 12 maggio 2025, su un volo charter pagato dal governo americano. Dalle foto sembrano una Famiglia Addams allargata accolta da una cerimonia altrettanto macabra, ma ufficiale, alla quale hanno partecipato alti funzionari del Dipartimento di Stato e della Homeland Security, tra cui il vicesegretario Christopher Landau. Tammy Bruce, portavoce del Dipartimento di Stato, ha rilasciato una dichiarazione in cui definiva l’operazione un “enorme successo”, affermando che gli Stati Uniti stavano inviando un “messaggio chiaro” di sostegno alle vittime di discriminazione razziale, in linea con la politica estera “America First”.

L’obiettivo è di reinsediare fino a mille afrikaner entro la fine dell’anno. La scelta del Texas come destinazione finale non è casuale. Dentro questo stato, tradizionalmente conservatore, esiste già una frangia di agricoltori che sostengono la narrativa delle persecuzioni contro i contadini bianchi sudafricani. In passato avevano già aiutato alcune comunità afrikaner. Il fondamentalismo cristiano fa da collante.

Le motivazioni ideologiche e geopolitiche

Le motivazioni alla base del piano statunitense affondano nello spacco tra ideologica e geopolitica. Nel primo caso, il suprematismo bianco non è nuovo a bizzarrie argomentative; dopotutto è lo stesso potere che ha inventato le forme più bieche di schiavitù e il colonialismo. Non bisogna essere troppo arguti per capire che si vogliono cavalcare temi identitari al fine di consolidare il sostegno della base conservatrice e, naturalmente, bianca. La scelta d’intervenire a favore di una minoranza bianca, per di più in un paese africano, è parte della narrativa MAGA della razza sotto assedio e della sostituzione etnica. Naturalmente, non si possono biasimare i poveri – nel senso vero del termine – afrikaner per la loro povertà. È la stessa condizione sociale che ha portato i loro avi a lasciare l’Europa per colonizzare l’Africa, ma è ironico come il “Pan-bianchismo” arrivi a fare il verso al Pan-africanismo, l’ideologia del riscatto dei neri sfruttati nei secoli. Chissà che dietro al messaggio MAGA non si celi invece un progetto socialista di rivendicazione sociale!

Vi è poi l’altro aspetto della questione: la politica internazionale. Il ministro degli Esteri sudafricano ha parlato di “neocolonialismo narrativo”, per cui gli Stati Uniti impongono una visione della realtà sudafricana per scopi geopolitici. Quali? È chiaro che si è in presenza di un piano d’attacco volto a indebolire la reputazione e quindi il ruolo del Sudafrica come leader continentale e membro cruciale dei BRICS. Il Sudafrica è da sempre critico verso le politiche di dominio e le guerre occidentali. Sul piano geopolitico, dunque, la vicenda può essere letta come un tentativo USA di mettere pressione su un governo che dà fastidio ed è in antagonismo con l’Occidente. La posizione del governo sudafricano è neutralista a proposito della guerra in Ucraina e il paese ha legami strettissimi con Russia, Cina, Brasile, Iran ecc. Il Sudafrica è stato anche il paese che ha portato Israele di fronte alla Corte internazionale di Giustizia, vincendo il primo round di quella che sarà una lunga disputa legale sul genocidio. La schiena dritta del Sudafrica e la sua visione di politica internazionale antimperialista e anticoloniale sono un ostacolo per chi vorrebbe controllare il mondo o semmai l’Africa.

La crisi diplomatica con il Sudafrica

Nel mezzo della vicenda vi è anche la crisi diplomatica. Nel marzo 2025, un mese dopo l’ordine esecutivo e due mesi prima l’arrivo dei rifugiati, gli Stati Uniti hanno dichiarato persona non grata l’ambasciatore sudafricano Ebrahim Rasool. Il motivo? Un discorso di Rasool in cui analizzava come le politiche di Washington fossero guidate dalla paura del declino demografico dei bianchi americani – la famosa teoria della sostituzione etnica. Il segretario di Stato Marco Rubio ha bollato le osservazioni come “ingerenza inaccettabile”, definendo pubblicamente Rasool un “politico razzista che odia l’America”.

L’espulsione è stata fulminea: 72 ore per lasciare il paese, un trattamento solitamente riservato alle spie o per minacce alla sicurezza. Il Sudafrica ha denunciato il fatto come ritorsione politica, sottolineando come quelle analisi fossero comuni nel dibattito pubblico americano. La mossa sembra quindi legata alla questione dei “rifugiati afrikaner”, che a sua volta è legata a considerazioni geopolitiche e ideologiche.

L’episodio ha avuto ripercussioni globali. L’Unione Africana (UA) ha condannato la decisione americana nei confronti dell’ambasciatore sudafricano come sproporzionata e lesiva della libertà di espressione. Da allora, in segno di protesta, il Sudafrica ha lasciato vacante il posto di ambasciatore negli USA avvicinandosi ulteriormente ai BRICS. Infatti, se Washington vede nell’ambasciatore sudafricano un diplomatico sleale, Pretoria – probabilmente anche l’UA – vede nell’espulsione il tentativo di zittire una voce del Sud Globale. Siamo nel terreno del diritto di critica dei paesi ex-colonizzati del mondo nei confronti dell’Occidente.

La strumentalizzazione della storia coloniale

Anche se non avrebbe dovuto farlo, il presidente sudafricano, Cyril Ramaphosa – uomo discutibile, arricchitosi con la politica – ha ribadito che gli afrikaner non fuggono da persecuzioni, ma scelgono volontariamente di lasciare il paese perché contrari alle riforme costituzionali, inclusa la riforma fondiaria. I bianchi, nonostante costituiscano circa il 7 percento della popolazione, controllano ancora quasi l’80 percento delle terre in mano privata. Essi detengono inoltre un patrimonio medio di venti volte superiore a quello dei neri sudafricani. Qualcosa va fatta.

Il Sudafrica ha annunciato che non ostacolerà le partenze dei mille afrikaner – chi-se-ne-frega! – ma continuerà ad attestare pubblicamente la legittimità e la legalità del suo operato. Allo stesso tempo proseguirà a contestare la decisione sullo status di rifugiato agli afrikaner come priva di fondamento giuridico o morale.

La critica del Sudafrica riguarda anche la “strumentalizzazione della storia coloniale”. Gli afrikaner sono stati gli schiavisti dal Seicento all’Ottocento. Nel Novecento hanno imposto il sistema di segregazione razziale conosciuto come apartheid in lingua afrikaner. Ciò nonostante, i governi liberi del post-apartheid hanno optato per la riconciliazione e non hanno né punito e né espulso nessuno dei responsabili della segregazione razziale – a differenza di altri contesti, per esempio la Libia che ha cacciato i discendenti dei coloni fascisti. Le riforme agrarie sono un tentativo legittimo di correggere secoli di ingiustizie, come previsto dalla stessa Costituzione sudafricana, promulgata con Nelson Mandela al potere ed entrata in vigore nel 1997. Nel secondo capitolo, “Bill of Rights”, si affronta anche la questione della redistribuzione della terra. L’articolo 25 che è dedicato alla proprietà fondiaria, stabilendo che la terra può essere espropriata per fini pubblici o di interesse sociale dietro compenso. Perciò le accuse di confisca “indiscriminata” delle terre sembrano pretestuose. Gli espropri infatti seguono rigorosi processi legali. Il principio è semplice, ma gli oppositori al governo di unità nazionale guidato dall’African National Congress (ANC) non lo vogliono accettare. È vero, vi è la questione controversa dell’esproprio senza compenso, ma il procedimento è difficilissimo da applicare e segue rigorosissime regole di logica giuridica.

Il Sudafrica, inoltre, è un paese con immensi problemi interni. È agli ultimi posti mondiali per diseguaglianza economica. Le riforme agrarie del governo, seppur controverse per alcuni, sono state approvate attraverso processi democratici e inclusivi. Allora, in realtà, lo scontro sulla proprietà fondiaria riflette crescenti divisioni sociali, che ormai esistono anche a livello globale, per cui temi come la giustizia sociale, il colonialismo e i diritti delle minoranze o delle maggioranze storicamente oppresse sono diventati terreni di battaglia politica. Soprattutto, è chiara la volontà della destra americana di trasformare tutti i conflitti sociali tra capitale e lavoro, tra Nord e Sud globali, in conflitti razziali o culturali.

Il fattore Elon

Pare che la narrazione degli “afrikaner come rifugiati” in America abbia a che fare con Elon Musk, che è di origini sudafricane ed è (ancora) membro dell’amministrazione Trump [vedi AP]. Pur condannando da sempre il regime dell’apartheid, egli ha ribadito che il Sudafrica post-apartheid è un paese pericoloso per i bianchi soprattutto afrikaner [vedi PBS]. La sua influenza sembra manifestarsi su più livelli. Come consigliere della Casa Bianca, Musk ha spinto per includere la questione afrikaner nell’agenda politica di Trump, presentandola come un’ingiustizia razziale da correggere. Più difficile è dimostrare come attraverso i suoi social media, con decine di milioni di follower, egli abbia amplificato storie di presunti attacchi a farmer bianchi, spesso condividendo contenuti di dubbia provenienza. Le accuse al governo sudafricano di perseguitare i bianchi sembrano ampiamente smentite dai dati ufficiali e da organismi indipendenti; tuttavia, tali affermazioni hanno trovato ampia risonanza nei circoli conservatori americani. Il clima di allarme scaturitone ha giustificato l’urgenza del piano anche dentro l’opinione pubblica, naturalmente di destra. Il governo sudafricano ha definito Musk un “traditore” – visto che era cittadino sudafricano – perché diffonde disinformazione. Qualcuno parla anche di coinvolgimenti personali nella questione [vedi Newsweek].

Siamo di fronte a un paradosso: un miliardario si proclama paladino dei diritti delle minoranze scegliendone una tra le più privilegiate del mondo. Oltre le questioni personali, la vicenda rappresenta l’epitome di come un’élite possa strumentalizzare la storia e così distorcere il presente, minando gli sforzi di riconciliazione portati avanti dai movimenti di liberazione nazionale dei paesi ex-colonizzati.

Considerazioni finali

Primo, il rischio di riaccendere tensioni razziali in Sudafrica è sempre presente. La retorica dei “bianchi perseguitati” può effettivamente essere sfruttata da gruppi estremisti per dividere il paese. La storia insegna di che cosa sono capaci certe frange di afrikaner. Inoltre, lo sforzo di creare una rainbow nation (la nazione arcobaleno) basata su principii di riconciliazione e di multiculturalismo è a rischio di trasformarsi in un episodio passeggero, che ha messo in luce le profonde cicatrici lasciate dal passato senza averle risolte. Da un lato, vi è il governo sudafricano che insiste su come la riforma agraria, inclusa la clausola di espropriazione senza compenso in casi eccezionali, sia frutto di un processo legale e costituzionale e non di una persecuzione etnica. Dall’altro lato, vi è il processo accelerato per l’approvazione dello status di rifugiato agli afrikaner sudafricani negli USA. Ciascuno decida in base alla propria scala di valori quale delle misure sia più plausibile.

Secondo, il Sudafrica insegna come sia importante continuare a credere nella giustizia. Coerente nel suo sostegno ai principi del diritto internazionale, ha presentato un dossier al Consiglio per i diritti umani dell’ONU (UNHRC) in cui ha dimostrato come nessuno dei presunti rifugiati avesse mai sporto denunce per persecuzione presso le autorità locali. Il diritto internazionale – applicato da molti paesi – prevede che si debba cercare protezione prima nel proprio paese e solo in assenza di possibilità oggettive di avere protezione o in presenza di una ricusazione di protezione si può legittimamente richiedere asilo altrove e i paesi che hanno leggi sull’asilo politico posso ricevere i rifugiati. Sembra questo non essere il caso degli afrikaner. Allora il vero rischio è un altro, ovvero la normalizzazione del doppio standard. Si tenga presente che l’amministrazione americana ha bloccato i programmi per rifugiati da paesi come Siria o Yemen. Lo status di rifugiato viene quindi concesso non in base a effettive minacce alla vita o alla libertà delle persone, ma in base all’allineamento politico con l’agenda dell’amministrazione di turno o ancora peggio in base al colore della pelle o all’etnia.

Infine, vi sono gli afrikaner, forse alcuni di loro ancora stizziti per la perdita dei privilegi che l’appartenenza alla “razza superiore” garantiva loro in secoli di schiavismo e colonialismo. Il caos mentale in cui si trovano li porta a volere fuggire dal paese delle disuguaglianze per andare nel paese delle disuguaglianze, dal paese delle armi e della violenza per andare nel paese delle armi e della violenza. Non importa. Essi emigrano negli USA che, come il Sudafrica, sono nati dal colonialismo che ha reso i bianchi padroni. Lì forse possono continuare a sentirsi tali.

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