Ora si vorrebbero testare sui governi e sulle opinioni pubbliche di Polonia e Ungheria i nuovi dispositivi di condizionalità economica che il Recovery Fund e la “generosità” con esso manifestata ha reso disponibili in capo alla Commissione. “Tornate a credere nella Rule of Law – e nell’indipendenza della magistratura che ne incarnerebbe il nucleo centrale – e riavrete salva la borsa!”
V’è in tutto questo il rischio di una riedizione della fase manageriale con cui furono gestite le procedure di adesione, con tanto di check-list di indicatori di sana e robusta costituzione liberal-democratica e di valutazioni necessariamente formalistiche e/o esteriori.
Resta, cioè, il vizio di fondo di un uso strumentale dei valori che si vorrebbe vedere saldamente posti a fondamento degli ordinamenti costituzionali degli Stati membri: se l’incorporazione della Rule of Law fu la carota con cui si promise ai cittadini degli ex regimi comunisti il rapido raggiungimento degli standard economici e sociali occidentali, la sua restaurazione è oggi condizione per non perdere i fondi europei, specie quelli più generosi del c.d. Recovery Fund. Il che non rende un buon servizio all’autentica anima della Rule of Law: il porre argini all’arbitrio del potere, sia pubblico che privato (Krygier). La sola prospettazione in termini di condizionalità economica insinua il dubbio che possa trattarsi di qualcosa di barattabile, privo di valore in sé. Non sembra, del resto, che il deteriorarsi della Rule of Law in quei Paesi abbia visto il blocco degli investimenti esteri e dello stabilimento di imprese nate e cresciute negli Stati dell’Europa occidentale, anzi!
La BMW decise, nel 2020, di sbloccare il proprio progetto di realizzare un nuovo grande impianto automobilistico in Ungheria immediatamente dopo l’approvazione della legge ungherese che impone ai lavoratori dipendenti l’onere di accettare, con un contratto aziendale individuale, un lavoro sottopagato senza possibilità di cambiarlo per un periodo minimo di due anni, pena l’obbligo di versare all’azienda l’equivalente del salario complessivo pattuito per tale periodo, con l’evidente obiettivo di vincolare il lavoratore al posto di lavoro e bloccarne la mobilità (Fubini). Una legislazione, questa, che si inserisce nel precedente filone volto a estremizzare il modello tedesco delle famigerate riforme Hartz IV del 2004, inducendo gli inoccupati ad accettare lavori sottopagati mediante la drastica riduzione degli assegni di disoccupazione (Artner).