IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

Maastricht. Dalla fine della storia all’economia di guerra

L’ordine costituzionale di Maastricht, edificato nell’orizzonte della “fine della storia” e del trionfo della globalizzazione neoliberale, appare oggi disarmato di fronte alla strisciante de-globalizzazione e all’emergere di una nuova forma di economia di guerra.

La “razionalità” dei mercati”

E non meno illusoria si è rivelata la convinzione che la moneta unica, affiancata dal governo semi-automatico delle regole (e dei numeri), l’avrebbe protetta per sempre dai “poteri selvaggi” dei mercati finanziari, specie dopo l’apertura del “vaso di Pandora” della libera circolazione dei capitali, seguita al collasso dell’ordine di Bretton Woods (1971): quell’ordine che nei trent’anni successivi alla Seconda guerra mondiale, i fatidici “Trenta gloriosi”, aveva consentito un equilibrio virtuoso tra costruzione del mercato comune sul piano sovranazionale e difesa di robusti e inclusivi Stati sociali sul piano nazionale.
I padri fondatori dell’ordine di Maastricht erano persuasi che la creazione dell’Unione monetaria avrebbe generato “spontaneamente” l’unione fiscale, sebbene al prezzo del condizionamento radicale dei diritti sociali al super-valore della stabilità monetaria e finanziaria. Ci s’illudeva di poter capovolgere la dinamica che si era svolta negli Stati Uniti due secoli prima. Qui era stata la preliminare creazione di un’unione fiscale, con la messa in comune dei debiti degli Stati (il “momento hamiltoniano”), a favorire, in una seconda tappa, la creazione del dollaro.
La convergenza delle economie nazionali non doveva dipendere da meccanismi di solidarietà di bilancio tra gli Stati membri, ma dalla sorveglianza dei mercati che, usufruendo dell’illimitata mobilità dei capitali, potevano “punire” i governi nazionali che non si conformavano alla ricetta neoliberale incentrata su “finanze pubbliche sane” e riforme strutturali.
La globalizzazione economica degli ultimi tre decenni si è rivelata, però, il tempo di vere “guerre” finanziarie e valutarie spesso combattute virtualmente dai terminali delle borse di tutto il mondo.
Lo stato “debitore” è chiamato a trovare un equilibrio tra le sue due constituencies. Il popolo dei cittadini-lavoratori, in cambio della lealtà civica nei confronti dei propri rappresentanti istituzionali, chiede il mantenimento dei livelli acquisiti delle protezioni sociali. Mentre il popolo del mercato (composto di grandi investitori ma anche tanti piccoli risparmiatori), interessato alla solvibilità del debito, chiede l’adozione di misure di austerità e, per compensarne gli effetti naturalmente recessivi, le appropriate riforme strutturali.
La risposta dell’Unione europea alla crisi dei debiti sovrani ha assecondato assai più la constituency dei mercati finanziari. L’Unione ha implementato, fuori dalla cornice dei trattati, una politica fiscale sempre più centralizzata fondata su regole quantitative, semi-automatiche, esterne al processo democratico che hanno ulteriormente prosciugato i margini di autonomia delle politiche di bilancio nazionali. Senza che la compressione dell’autonomia di bilancio degli Stati membri sia stata compensata da un rafforzamento dell’autonomia fiscale dell’Unione europea, in quanto tale, nei confronti dei mercati finanziari.

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