IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

Meloni in Europa: o dell’arte di “risciacquare i panni in Arno”

Al di là della retorica, la Meloni e il suo partito hanno notevolmente mutato la loro postura sovranista riguardo all’UE. Il bilancio fin qui è tra continuità e discontinuità rispetto al governo Draghi. Nel frattempo, le alleanze nel Parlamento europeo profilano un ruolo cruciale degli esponenti di Fratelli d’Italia.

Lo slogan del presidente del Consiglio Meloni riguardo all’UE è fin troppo noto: “È finita la pacchia!” Il che sottende chiaramente un’idea muscolare dei rapporti tra governi degli Stati membri nelle procedure decisionali del Consiglio e dell’UE, più in generale. La logica è quella di un governo italiano pronto a combattere per difendere gli interessi nazionali in sede europea, in contrapposizione con i precedenti governi, ritenuti da sempre da Fratelli d’Italia troppo accondiscendenti verso i desiderata altrui. Un approccio in qualche modo portatore di un “nazionalismo pragmatico”, di cui è rivelatore la critica avanzata a più riprese dalla Meloni nei confronti delle sanzioni dell’UE contro la Russia di Putin per reagire all’occupazione della Crimea nel 2014. In più occasioni l’attuale presidente del Consiglio ebbe a lamentare il danno arrecato da tali sanzioni all’export italiano, criticando la posizione del governo italiano come quella di «servo sciocco degli interessi altrui».

Lo slogan meloniano sembra essere stato preso sul serio alla vigilia delle elezioni dalla Presidente della Commissione von der Leyen, che affermò che, se le cose in Italia dovessero andar male (vedi Polonia e Ungheria), noi [la Commissione] «abbiamo gli strumenti!».

Una sintetica genealogia delle posizioni del partito della Meloni aiuterà a capire il grado di retorica che può celarsi nello slogan elettorale sul “risveglio” dell’interesse nazionale di cui sopra.

Un confronto tra programmi elettorali di Fratelli d’Italia

Le radici della posizione “euroscettica” del partito della Presidente del Consiglio Meloni sono profonde e risalgono quantomeno alla ratifica del Trattato di Maastricht (legge 3 novembre 1992, n. 454). Nei dibattiti parlamentari di tale legge, furono proprio il Movimento sociale italiano assieme a Rifondazione comunista gli unici soggetti politici contrari a una ratifica con lo strumento legislativo “ordinario”, ravvivando la polemica sulla sovranità popolare e invocando l’esigenza costituzionale di indire un referendum consultivo sul nuovo Trattato europeo che così in profondità agiva sull’ordinamento giuridico italiano (Bartole, 307ss.). Proprio uno dei due partiti che aveva subito per decenni l’estromissione dall’“arco costituzionale” per effetto della conventio ad excludendum, si faceva paladino della sovranità popolare e del rispetto della rigidità costituzionale, esposta a surrettizie modificazioni per opera dell’intensificarsi dell’integrazione europea.

Da allora molta acqua è passata sotto i ponti, ma certo l’evoluzione della cultura politica nei confronti dell’integrazione europea ha visto divaricare sempre più le posizioni tra scettici ed euroscettici, con i picchi polemici raggiunti durante gli anni della crisi economica, fino al culmine della formazione del primo governo populista di Lega e M5S nella primavera del 2018. In quella sede, il Capo dello Stato, rifiutandosi di accettare la nomina a Ministro dell’economia dell’“euroscettico” Paolo Savona, esplicitò la nuova “conventio ad excludendum” contro movimenti, partiti e singole personalità sostenitrici dell’Italexit, anche nelle più blande forme dell’uscita dalla sola Moneta unica. Ebbene: sulla fuoriuscita dall’euro e il riacquisto della sovranità monetaria le posizioni di Fd’I. e della Meloni nel decennio passato sono inequivocabili, per non parlare delle proposte di revisione costituzionale in direzione “euroscettica” degli articoli 11 e 117.1 Cost., su cui basa l’attuale assetto dei rapporti tra ordinamento italiano e UE (Curti Galdino p. 32ss.)

Ebbene, seguendo questa linea, occorre rilevare come Fratelli d’Italia abbia sicuramente “risciacquato i panni in Arno” nella stesura del programma elettorale per le politiche del settembre 2022, come emerge dal confronto con i precedenti programmi elettorali di questo partito (Curti Galdino).

Nel programma della coalizione di centrodestra del 2022 (“Per l’Italia – Accordo quadro di programma per un Governo di centrodestra”), si conferma «la piena adesione al processo di integrazione europea, con la prospettiva di un’Unione europea più politica e meno burocratica», con richiesta di «revisione delle regole del Patto di stabilità e della governance economica…», nonché con l’invocazione dell’«esigenza di tener conto della tutela degli interessi nazionali nella discussione dei dossier legislativi europei, …, con particolare riferimento alla transizione ecologica», assieme con la richiesta di un «piano straordinario europeo per lo sviluppo del continente africano». Ciliegina sulla torta, la proposta della «difesa e promozione delle radici e identità storiche e culturali classiche e giudaico-cristiane dell’Europa». Per ciò che riguarda l’immigrazione, il programma richiama il Patto per la migrazione e l’asilo adottato dalla Commissione il 23 settembre 2020 (C/2020/6470) a supporto dell’esigenza di controllo delle frontiere, blocco degli sbarchi, lotta alla tratta degli esseri umani e creazione di hotspot gestiti dall’UE in territori extra-europei per valutare le richieste di asilo. A livello economico, oltre all’esigenza di rinegoziare il PNRR, il programma di coalizione menziona il «sostegno alle politiche di price-cap a livello europeo» nonché la «promozione di una Politica Agricola Comune» che, assieme a un piano strategico nazionale, possa soddisfare alle esigenze di «indipendenza e sostenibilità ambientale ed economica».

Più politicamente orientato il programma di Fratelli d’Italia, il cui capitolo sull’Europa è intitolato enfaticamente, ma non polemicamente, «Italia protagonista in Europa e nel mondo» e ove si rilancia lo slogan di «un’Europa delle Patrie, fondata sull’interesse dei popoli», assieme con la difesa delle «radici classiche e giudaico-cristiane dell’Europa e dei suoi valori fondamentali di libertà, democrazia, solidarietà, sussidiarietà e giustizia», nonché la promozione di «politiche di Difesa comune dell’UE e la costituzione di una colonna europea della NATO». Oltre alla già vista esigenza di revisione del Patto di stabilità, si sottolinea quella del contrasto alla concorrenza sleale dei paradisi fiscali europei, con l’obiettivo di restituire centralità al Mediterraneo nelle politiche italiane ed europee. Il riferimento alle politiche di contrasto dell’immigrazione illegale, nel riprendere quanto già contenuto nel programma di coalizione, aggiunge il riferimento alla «distribuzione equa solo degli aventi diritto nei 27 Paesi membri (c.d. blocco navale)», alla rinegoziazione degli accordi tra UE e Stati terzi per la gestione dei rimpatri, subordinando la cooperazione finanziaria (dell’Unione) alla disponibilità al rimpatrio degli Stati di provenienza, nonché il riferimento al contrasto «alle attività delle ONG che favoriscono l’immigrazione clandestina».

Si tratta di una sicura inversione di tendenza rispetto ai precedenti programmi elettorali di Fd’I. Nel programma per le europee del 2019 si stigmatizzava il «modello di Europa non è l’attuale entità sovranazionale governata da burocrati e tecnocrati non eletti da alcuno e che impone dall’alto le scelte ai popoli europei», con l’auspicio di transitare «ad una Confederazione europea di Stati nazionali liberi e sovrani, capaci di cooperare sulle grandi questioni», sottolineando «la supremazia della Costituzione e dell’ordinamento italiano sulle norme europee» (affermazione già esplicitata nel programma per le politiche del 2018). Spiccava, tra l’altro, la critica a un’UE prona agli interessi del grande capitale e il riferimento all’impoverimento degli italiani causato dall’euro, tanto da rendere necessaria «una radicale riforma della BCE». Altro elemento polemico – che spiega molto dei complicati rapporti Meloni-Macron – è la pesante critica al sistema del franco CFA, «con il quale Parigi sfrutta le sue ex colonie» e la proposta di una sua «sostituzione […] con l’euro CFA», necessaria per avviare un piano europeo di investimenti e sviluppo in Africa. Si invocava, inoltre, una modifica delle norme europee al fine di poter discriminare positivamente gli italiani nell’accesso al welfare anche rispetto ai cittadini «comunitari», nonché di poter espellere i cittadini dell’Unione privi di mezzi di sussistenza.

Ancora più drastiche erano le posizioni espresse nel programma per le europee del 2014, in cui il partito della Meloni si impegnava a guidare «tutti i gruppi eurocritici per spingere la Commissione europea a procedere allo scioglimento concordato e controllato dell’Eurozona», proponendo come extrema ratio il «recesso unilaterale italiano dall’Eurozona», assieme con la sospensione unilaterale sia del Fiscal compact che del MES.

Nel discorso programmatico del Governo alle Camere del 25 ottobre 2022, il presidente del Consiglio ha usato toni sobri nei confronti dell’UE, rivendicando l’eredità di «San Benedetto, un italiano patrono principale dell’intera Europa», nonché stigmatizzando la concezione di un’UE «come un circolo elitario con soci di serie A e soci di serie B, o peggio come una società per azioni diretta da un consiglio di amministrazione con il solo compito di tenere i conti in ordine», ma impegnandosi a rispettare le regole europee vigenti e a offrire il contributo del governo italiano «per cambiare quelle che non hanno funzionato, a partire dal dibattito in corso sulla riforma del Patto di stabilità e crescita». Nessun riferimento espresso al «blocco navale» per il contrasto all’immigrazione clandestina, pur rievocando la riattivazione della missione navale Sophia dell’UE che, nella terza fase, prevista e mai attuata, contemplava proprio il blocco delle partenze dei barconi. Nessuna materializzazione dei timori espressi alla vigilia della formazione del governo Meloni della prospettazione di un fronte comune con Polonia e Ungheria (ancora Curti Galdino, p. 11).

La scelta dell’on. Giorgetti quale ministro dell’Economia è, a suo modo, l’elemento più indicativo di tutti del ripudio da parte del presidente Meloni delle precedenti posizioni contrarie alla moneta unica.

Per completare il quadro dei rapporti con l’UE si può guardare alla collocazione di Fd’I. nel Parlamento europeo. I suoi otto deputati eletti nel 2019 non siedono nel gruppo parlamentare Identità e Democrazia, in cui confluiscono la Lega per Salvini Premier e il Rassemblement National della Le Pen, bensì in quello dei Conservatori e Riformisti europei, di cui la Meloni divenne presidente nel settembre 2020, e che raggruppa, tra l’altro, i (numerosi) parlamentari europei del partito Diritto e Giustizia (Pis) polacco, nonché quelli spagnoli di Vox. Di questo stesso gruppo è stato vicepresidente (nel 2019) l’attuale Ministro per gli Affari Europei, l’on. Raffaele Fitto (che nel 2014 passò da Forza Italia a Fratelli d’Italia).

Lo scontro con la Francia di Macron e la politica migratoria

L’esordio in Europa del Governo Meloni è stato segnato dal dissidio con il Governo e il Presidente francese sulla gestione dei migranti salvati in acque maltesi e libiche da alcune navi di ONG non italiane, cui è stato temporaneamente impedito l’accesso ai porti italiani e cui ha fatto seguito la divulgazione della disponibilità francese ad accogliere la nave Ocean Viking nel porto di Marsiglia (con 234 profughi). Tale divulgazione, amplificata da dichiarazioni di membri del Governo italiano (Salvini) e da un comunicato stampa del Governo prima di aver verificato l’ufficialità della notizia, ha fortemente irritato il Presidente Macron, alle prese con gli attacchi dei partiti di estrema destra francesi, fino ad accusare l’Italia di aver violato gli impegni internazionali e rotto la fiducia della Francia, con tanto di minaccia di conseguenze se l’Italia avesse persistito nella politica dei porti chiusi (ancora Curti Galdino, p. 24ss.). A questa diatriba ha fatto seguito un lungo periodo di freddezza tra Italia e Francia, che oggi sembra invero archiviata dopo l’incontro tra Meloni e Macron a latere del Consiglio europeo di Bruxelles del 23 marzo scorso. Ma qui si arresta il “successo” del presidente del Consiglio italiano, posto che sulla gestione solidale della crisi dei migranti (aggravata dalla situazione della Tunisia), il Consiglio europeo non ha prodotto avanzamenti di sorta (un sostanziale nulla di fatto era stato anche il Consiglio “Affari esteri” del 14 novembre 2022 e la riedizione del Piano d’azione per il Mediterraneo centrale presentato dalla Commissione il 21 novembre 2022 sulla falsariga del piano del 2018).

Nella sostanziale inerzia dell’UE sulle politiche migratorie, il governo Meloni si esibisce nel consueto gioco dell’ostacolare il più possibile le operazioni di salvataggio in mare delle ONG (vedi il c.d. “Codice di condotta per le Ong”, d.l. n. 1/2023, che, in pratica, punta a impedire soccorsi plurimi e il trasbordo dei migranti da una nave all’altra), con la variante delle punture di spillo ai governi locali di centro-sinistra con giurisdizione sui porti di sbarco indicati dal Governo (vedi il caso di Ancona nel gennaio scorso, cui ha dovuto far rotta dopo giorni di navigazione la Ocean Viking). Non molto, se si pensa che la quota di migranti che giunge in Italia via mare grazie al contributo delle ONG è stata solo del 10% nel 2022. La sciagura del naufragio di Cutro del febbraio scorso, con 88 morti di cui 25 bambini, non solo non ha determinato un’inversione di rotta, ma ha prodotto il “decreto Cutro”, d.l. n. 20/2023, che, oltre all’inusitato aggravio di pena per gli scafisti, strumentalizza l’urgenza per sopprimere la c.d. protezione umanitaria, reintrodotta dal “decreto Lamorgese” (d.l. n. 130/2020) dopo l’eliminazione del “decreto Salvini” (d.l. n. 113/2018).

Tra continuità e discontinuità dei governi italiani in Europa

Altri dossier europei hanno visto agire la Meloni in linea di continuità col precedente governo Draghi: sicuramente il sostegno militare e logistico all’Ucraina e l’inasprimento delle sanzioni alla Russia; altrettanto dicasi per l’accordo sul price cap sull’import del gas, salutato da Meloni come una memorabile vittoria italiana (contro cui ha votato l’Ungheria di Orbán).

Più incerto il giudizio sulla (dis)continuità in tema di diritti civili, ove si registra il netto rifiuto italiano alla proposta di un regolamento UE di un certificato europeo di filiazione che mira a riconoscere in tutti gli Stati membri la doppia genitorialità anche per le coppie omosessuali: oltre all’opposizione italiana in Europa, sul piano interno il Governo ha bloccato con una circolare di marzo la prassi delle trascrizioni dei certificati di nascita dei figli di coppie omosessuali che alcuni sindaci, su tutti quello di Milano, avevano intrapreso. Ma esattamente un anno prima (marzo 2022), anche il governo Draghi aveva stoppato analoga iniziativa del sindaco di Torino.

Il vero elemento di discontinuità appare il rifiuto dell’attuale presidente del Consiglio di ratificare il nuovo trattato sul MES (Losurdo), definito dalla stessa Meloni un atto di «alto tradimento» nel 2020. La posizione della Meloni sembra contrastare quella del suo stesso ministro dell’economia Giorgetti, che a novembre 2022 aveva evocato proprio la continuità con Draghi per patrocinare la ratifica. La resistenza al pressing europeo e, soprattutto, di Francia e Germania, sembra voler sfruttare la carta del MES nelle negoziazioni più complessive sulla riforma del Patto di stabilità (Salmoni) e dell’unione bancaria, ove l’Italia subisce da tempo i veti altrui sull’inattuato terzo pilastro sulla garanzia europea dei depositi.

Ma la partita nell’UE non si gioca senza alleanze, che non sono solo quelle tra governi bensì anche tra partiti: all’orizzonte si profila un’alleanza tra il maggior gruppo del Parlamento europeo, il PPE, e quello dei Conservatori e Riformisti di cui già si è detto e di cui fu presidente la stessa Meloni. Sarebbe la fine dello storico connubio Popolari-Socialisti nel Parlamento europeo. Ma le elezioni europee si terranno solo nel maggio 2024 e prima si avrà modo di testare l’andamento politico in Stati chiave per l’Italia, come la Spagna (ove sarà cruciale il risultato dell’estrema destra di Vox) e la Grecia (in cui si vota a breve), nonché la Polonia del PiS (in cui si voterà in autunno). Nel frattempo, però, un segnale importante è stato già lanciato nell’elezione della presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, eletta per 275 voti contro 274, col sostegno di PPE, Verdi e Renew Europe, ma anche con i voti determinanti dei parlamentari europei di Fratelli d’Italia (del gruppo dei Conservatori e Riformisti).

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