Lo slogan del presidente del Consiglio Meloni riguardo all’UE è fin troppo noto: “È finita la pacchia!” Il che sottende chiaramente un’idea muscolare dei rapporti tra governi degli Stati membri nelle procedure decisionali del Consiglio e dell’UE, più in generale. La logica è quella di un governo italiano pronto a combattere per difendere gli interessi nazionali in sede europea, in contrapposizione con i precedenti governi, ritenuti da sempre da Fratelli d’Italia troppo accondiscendenti verso i desiderata altrui. Un approccio in qualche modo portatore di un “nazionalismo pragmatico”, di cui è rivelatore la critica avanzata a più riprese dalla Meloni nei confronti delle sanzioni dell’UE contro la Russia di Putin per reagire all’occupazione della Crimea nel 2014. In più occasioni l’attuale presidente del Consiglio ebbe a lamentare il danno arrecato da tali sanzioni all’export italiano, criticando la posizione del governo italiano come quella di «servo sciocco degli interessi altrui».
Lo slogan meloniano sembra essere stato preso sul serio alla vigilia delle elezioni dalla Presidente della Commissione von der Leyen, che affermò che, se le cose in Italia dovessero andar male (vedi Polonia e Ungheria), noi [la Commissione] «abbiamo gli strumenti!».
Una sintetica genealogia delle posizioni del partito della Meloni aiuterà a capire il grado di retorica che può celarsi nello slogan elettorale sul “risveglio” dell’interesse nazionale di cui sopra.
Un confronto tra programmi elettorali di Fratelli d’Italia
Le radici della posizione “euroscettica” del partito della Presidente del Consiglio Meloni sono profonde e risalgono quantomeno alla ratifica del Trattato di Maastricht (legge 3 novembre 1992, n. 454). Nei dibattiti parlamentari di tale legge, furono proprio il Movimento sociale italiano assieme a Rifondazione comunista gli unici soggetti politici contrari a una ratifica con lo strumento legislativo “ordinario”, ravvivando la polemica sulla sovranità popolare e invocando l’esigenza costituzionale di indire un referendum consultivo sul nuovo Trattato europeo che così in profondità agiva sull’ordinamento giuridico italiano (Bartole, 307ss.). Proprio uno dei due partiti che aveva subito per decenni l’estromissione dall’“arco costituzionale” per effetto della conventio ad excludendum, si faceva paladino della sovranità popolare e del rispetto della rigidità costituzionale, esposta a surrettizie modificazioni per opera dell’intensificarsi dell’integrazione europea.