Guerra (in)fame all’ennesima potenza
L’infamia ancora più grande la stanno commettendo oggi i contendenti dell’attuale guerra Russia Ucraina o Nato-Russia o Russia Nato (come preferite) Tutti coloro che vivono lontani dai campi di grano cantati da Fabrizio De André. Tutti coloro che dai loro salotti fanno la dieta e brandiscono “l’argomento” della fame – la crisi alimentare globale – come l’ennesimo ‘argomento’ di propaganda. La più insopportabile e insostenibile di tutte le propagande, la propaganda di guerra.
Della morte per fame, delle sue cause remote e prossime, non sanno nulla, non vogliono sapere nulla. Chiamano santi e eroi tutti coloro che danno da mangiare ai poveri, ai profughi, agli sfollati ma appena questi santi ed eroi osano chiedere perché quasi due terzi della popolazione mondiale non ha cibo sufficiente non esitano, come ai ‘bei tempi’ del secolo breve, a insinuare il dubbio che questi santi ed eroi siano dei redivivi e pericolosi comunisti (se non putinisti).
Una modesta proposta
Avanzo una piccola, modesta, proposta per restituire la dignità a tutti coloro che sono morti e muoiono in vita per fame. Non la rivolgo al “vento che ti sputa in faccia la neve”, ma alla più grande organizzazione umanitaria globale affinché la raccolga e la faccia propria. Chiedo all’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di assistenza alimentare (il World Food Programme) di farsi promotrice in ogni città del mondo della costruzione di un luogo, di un monumento, dedicato alla memoria dell’affamato ignoto. Con questo atto, dimostrerebbe quantomeno di voler cominciare a meritare quel Premio Nobel per la pace che le è stato “inaspettatamente” assegnato nel 2020.
Onorare l’affamato ignoto è un atto simbolico, non ancora quel cambio di passo che è necessario affinché si smetta in troppe parti del pianeta di morire in vita. Nella motivazione del Nobel si legge che esso è stato assegnato al World Food Programme “per i suoi sforzi nel combattere la fame, per i suoi contributi nel migliorare le condizioni della pace in aree di conflitto e per la sua azione nel prevenire l’uso della fame come arma per promuovere guerre e conflitti”.
Questo programma è ancora in larghissima misura da attuare ed esige che tutte le agenzie dell’Onu impegnate su questo fronte si interroghino autocriticamente sui limiti di un intervento troppo spesso permeato da una filosofia da istituzione burocraticamente e tecnocraticamente dedita ad assicurare la sopravvivenza della vita biologica, piuttosto che una vita dignitosa. Che poi è l’altra faccia della comoda accettazione di chi non vuol vedere i privilegi alle origini di guerre e fame, i guasti prodotti dal modello neo-liberale del “libero commercio” e dalle prassi coercitive delle multinazionali dell’agroalimentare che con i semi brevettati contribuiscono al degrado ambientale, alla desertificazione, ai disastri naturali. Quella geopolitica e geo economia dell’ingiustizia che determina chi può comprare cibo in eccesso e chi non può comprare nemmeno quello minimo per sfamarsi e va incontro alle più diverse malattie.