La compassione e la pietà di Piero ci commuovono. Tutti coltiviamo buoni sentimenti quando ascoltiamo al teatro o nel nostro salotto buona musica e parole toccanti. Ma c’è veramente meno umanità nel “soldato con una divisa di un altro colore” che non ricambia a Piero la cortesia? No, niente affatto. Piero e il soldato con la divisa di un altro colore sono entrambi di fronte a scelte tragiche. Non possiamo, non dobbiamo, rimuovere questa primordiale e cruciale sfida politico-esistenziale. Quando siamo di fronte a questo livello essenziale dell’evento guerra, anche la risposta del pacifismo assoluto e integrale è, al pari delle risposte apprestate da tutte le teorie della guerra giusta, elusiva. Dobbiamo scrivere in tutte le costituzioni del mondo, nella Carta delle Nazioni Unite, che la guerra va bandita per sempre dalla faccia della terra, ma non abbiamo alcun titolo morale per tacciare di disumanità nessun soldato – russo o ucraino che siano – che per mettere in salvo la propria vita sacrifica quella di un altro soldato.
Sostiene Luigi Alfieri- ed io concordo – di sentire odore di banalità quando il pacifismo pensa di cancellare con un tratto di penna l’orrore della morte prodotta in guerra. Così la consapevolezza morale dell’orrore viene ridotta a semplicismo moralistico, a qualunquismo sentimentalistico: siamo tutti cattivi, violenti, portatori di “aggressività”, manipolati e ingannati dal potere. No, così non si capisce più niente. Così non riusciamo a vedere quello che di drammaticamente grande c’è nella guerra. La capacità del più inerme perché più consapevole tra tutti gli esseri viventi di trasformare l’oggetto onnipresente e ossessivo del suo continuo terrore, la morte, nel più potente e seduttivo oggetto di desiderio. E quest’illusione, poetica e metafisica, rende più di ogni altra la misura abissale della condizione umana, mostrando che l’uomo, con la guerra, può essere all’altezza della propria tragedia. Ancor oggi quando sentiamo i “resistenti” ucraini, quelli autentici, gridare a sé stessi “libertà o morte”. E, guardando i loro volti, non dubitiamo di questo orizzonte che anima il loro eroismo. Come non dubitavamo ieri di tutte le guerre fatte in epoca moderna in nome di quello stesso grido. Da quelle anticoloniali a quelle di liberazione dal nazismo.