IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

Non solo (de)globalizzazione (II)

Ci siamo ripetutamente occupati delle conseguenze della guerra. Queste ulteriori considerazioni integrano il quadro. Non solo (de)globalizzazione, ma anche deindustrializzazione in Europa e riorientamento, protagonisti l’Arabia Saudita e i paesi del Golfo, dei flussi energetici.

L’Oecd (Oecd, 2022) ha pubblicato a fine settembre 2022 delle stime sulle conseguenze della guerra relativamente all’andamento delle principali variabili economiche a livello mondiale ed esse non appaiono certo ottimistiche. Per l’organizzazione ginevrina, a causa della guerra, l’economia mondiale sta rallentando più di quanto anticipato prima del febbraio 2022. Rispetto alle previsioni della stessa Oecd del dicembre 2021 si stima una contrazione nelle previsioni pari a 2.800 miliardi di dollari, mentre un fattore chiave che rallenta il pil globale appare costituito dalla stretta delle politiche monetarie portata avanti dalle banche centrali). Nel frattempo l’inflazione è diventata più diffusa (anche se per l’OCSE essa dovrebbe rallentare un poco, ma restare comunque ad alti livelli, in particolare in Europa), mentre per evitare la mancanza di energia legata alla riduzione delle forniture della Russia all’Europa, i cui effetti erano stati sottovalutati, appaiono necessari contemporaneamente una riduzione della domanda ed una rilevante diversificazione delle fonti.

L’andamento generale dell’economia

Per quanto riguarda il pil, l’ultima previsione dell’Oecd valuta che a livello mondiale crescerà nel 2023 del 2,2% (nel 2022 dovremmo terminare con il 3,0%), contro una stima di giugno che parlava del 2,8% e che era già a sua volta in ritirata rispetto a previsioni ancora anteriori. Affinché le cose non si mettano troppo male, in particolare per i paesi più poveri, si pensa che sia invece necessario un tasso di aumento annuo dello stesso pil di almeno il 4,0%. L’Oecd valuta comunque che ci troviamo ormai di fronte ad un periodo esteso di sviluppo limitato.
Complessivamente per i paesi del G20 dovremmo essere nel 2023 sempre al 2,2%, in Cina al 4,7%, negli Stati Uniti allo 0,5%, mentre per quanto riguarda i paesi dell’euro si oscilla tra una stima ottimistica del + 0,25% ed una più pessimistica dell’-1,0% (dipende in gran parte da come si svilupperà la crisi energetica, che colpirà molto meno in ogni caso Stati Uniti e Cina). Per l’Italia dovremmo essere allo 0,4%, mentre per la Russia al -4,5% (per la Banca Mondiale la stima per il 2023 è invece del -3,6%).
Per quanto riguarda l’inflazione, per i paesi del G-20 il 2022 si dovrebbe chiudere all’8,2%, mentre per il 2023 si stima un valore del 6,5%. In Cina il valore si dovrebbe collocare ad un livello molto più basso.

La minaccia di deindustrializzazione in Europa

E’ noto come negli ultimi decenni molti settori industriali, un tempo floridi sul continente europeo, abbiano preso con il tempo in gran parte la strada dell’esilio, indirizzandosi soprattutto verso l’Asia, ma in alcuni casi anche verso gli Stati Uniti, paese peraltro anch’esso soggetto allo stesso fenomeno di delocalizzazione. Esemplare il caso di un settore molto avanzato, quello dell’industria dei semiconduttori, emigrato in gran parte dall’Occidente verso l’Asia. Mentre, un settore invece tradizionale, quale il tessile-abbigliamento, ha preso già molto tempo fa la stessa strada. Anche una parte importante dell’industria chimica si è nel frattempo spostata in Asia e negli Stati Uniti. Così, ad esempio, la tedesca Basf, mentre ha oggi rilevanti difficoltà in patria, ha appena avviato un nuovo grande impianto in Cina, con un investimento di 10 miliardi di euro. Con lo scoppio del Covid si è poi scoperto che i principi attivi necessari alla produzione dei medicinali provenivano per l’essenziale da Cina (ed India), così come molti dei prodotti sanitari legati alla lotta alla malattia.
Ciononostante, il continente europeo è rimasto in misura rilevante legato al settore industriale (di cui continua ad essere ancora oggi un importante baluardo a livello mondiale) ma non è riuscito ad inserirsi in maniera dignitosa nell’economia immateriale, digitale. Così, fra le cento principali piattaforme digitali a maggiore capitalizzazione, oggi quarantuno sono americane, quarantacinque cinesi, due africane e solo dodici europee (il 3% del valore finanziario complessivo delle stesse piattaforme del nostro continente: Bricco, 2022).
Ora potremmo essere alla vigilia di una nuova, importante, ondata di emigrazioni verso l’Asia. In particolare, nei settori dei concimi, del vetro, dell’alluminio, del cemento, della ceramica, dell’acciaio, dello zinco, del piombo, gli impianti, grandi consumatori di energia stanno chiudendo nel continente europeo uno dopo l’altro (Albert, Boutelet ed altri, 2022). La tentazione di cambiare la localizzazione è molto forte; in Asia, in particolare in Cina, i prezzi dell’energia e i livelli di inflazione sono molto più moderati che da noi.
Per il momento le imprese cercano per la gran parte di resistere, con l’aiuto peraltro insufficiente di diversi governi, sperando che in un periodo ragionevole tutto torni nella “normalità. Ma se la crisi durasse, il processo di deindustrializzazione del continente farebbe un altro rilevante passo in avanti.

I nuovi sviluppi in Arabia Saudita e nei paesi del Golfo

La guerra in Ucraina ha contribuito a produrre due importanti conseguenze per quanto riguarda i paesi del Golfo e, in particolare, l’Arabia Saudita (The Economist, 2022).
Da una parte, ha portato, grazie ad un conseguente grande aumento dei prezzi dei prodotti energetici e alle sanzioni occidentali, ad una forte crescita anche in prospettiva delle entrate di tali paesi (con entrate ora stimate intorno ai 5.000 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni) e ad un riorientamento dei flussi energetici a livello mondiale (con il petrolio ed il gas russi ora sempre più indirizzati verso l’Est e quelli dei paesi del Golfo sempre più verso l’Ovest). Dall’altra, ad un nuovo allineamento geopolitico nel Medio Oriente, con la conseguenza di rapporti molto più stretti in particolare dell’Arabia Saudita con la Russia (Brower, 2022) e ad un raffreddamento di quelli con gli Stati Uniti.
La riunione dei paesi Opec+Russia del 5 ottobre 2022, con la decisione di ridurre la produzione giornaliera di petrolio di ben 2 milioni di barili, comporta non solo una riduzione concordata e rilevante nei livelli di produzione di petrolio, ma rappresenta anche un forte affronto alla Casa Bianca, che si era tanto adoperata sino all’ultimo perché le decisioni fossero diverse, con Biden che era anche sbarcato qualche tempo fa a Gedda per rammendare le sue relazioni con i governanti del paese (peraltro, la decisione danneggia fortemente gli sforzi dei paesi occidentali per ridurre le entrate russe dal petrolio).
La storica alleanza tra i due paesi si sta rapidamente deteriorando. L’Arabia Saudita accusa gli Usa di immettere sul mercato grandi quantità delle sue riserve petrolifere per contrastare la politica dell’Opec e di operare per porre un tetto al prezzo del petrolio russo, rivolgendosi anche ai paesi emergenti e mostrando loro “maliziosamente” quanto essi avrebbero potuto risparmiare con una riduzione dei prezzi. I paesi del Golfo sono anche allarmati dal fatto che il meccanismo del tetto ai prezzi proposto dagli Usa contro la Russia possa essere applicato in futuro anche a loro. Intanto l’Arabia Saudita coopera sempre più strettamente con la Russia ed anche gli altri paesi del Golfo sembrano seguirla in tale politica (Brower, 2022). Biden appare preoccupato per le conseguenze di un aumento dei prezzi del petrolio anche negli Usa – un portato quasi sicuro delle decisioni dell’Opec- sui risultati delle elezioni statunitensi di novembre. Ma sono molto delusi anche i paesi europei.

Testi citati
-Albert E., Boutelet C. ed altri, Crise de l’energie: L’Europe craint une vague de délocalisations, Le Monde, 4 ottobre 2022
-Bricco P., Un colosso industriale che non sa come scrivere la lingua del futuro, Il Sole 24 Ore, 5 ottobre 2022
-Brower D., Financial Times Energy source, FT at newsletters.ft.com, 4 ottobre 2022
-Oecd, Economic outlook, Interim report, Ginevra, settembre 2022
-The Economist, Boom Times in the Gulf, 24 settembre 2022

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