Chiede di processare gli uomini del regime democristiano, perché ha ben compreso che il Processo, forse più che la Condanna, è il momento nel quale si sconta la pena più dura. Si esercita, con eguale vigore ed efficacia, nell’arte della denuncia storica e politica delle classi dirigenti italiane. Quell’Io so che non aveva bisogno di prove per far male ai suoi destinatari.
Forse non immaginava che quest’ansia di verità gli sarebbe costata una condanna a morte. Non lo sappiamo. Sappiamo che Pasolini amava troppo la vita per temere la morte e non faceva calcoli di sorta. Sempre impegnato in una lotta che svolge contemporaneamente su due fronti. Un fronte “esterno”, quello del Potere ufficiale, delle sue menzogne, del suo linguaggio, dei suoi codici. Ed un fronte “interno”, quello del marxismo e delle nuove generazioni, che spesso critica e condanna aspramente ma di cui si considera idealmente “parte” anche quando questo “fronte” lo vive come estraneo, ostile, nemico.
La ricerca della verità dopo Pasolini. Questa ricerca è stata a lungo contrastata. Dalle Istituzioni, in mille modi. Ma anche dalle sotterranee ostilità dei tanti che si atteggiavano a critici del Potere. Per capire il perché di tanta ostilità è necessario retrodatare lo sguardo sulla “questione italiana”. Il deficit di verità di cui ancora oggi soffriamo è anche lo specchio dell’enorme castello di pregiudizi e di menzogne di cui Pasolini è stato vittima in vita.
Tanti hanno chiesto un nuovo processo sul suo assassinio. Ma ben prima della sua tragica fine, Pasolini è stato oggetto di una infinità di “processi” – penali, morali, mediatici – aventi sempre la stessa finalità. Screditarlo. Mettere in dubbio la legittimità della sua esistenza nella società e nella cultura italiana.
Pasolini non è mai stato a guardare. Insofferente verso i conformismi, ha sempre difeso la sua indipendenza di vita e di pensiero. Contrattaccando. Ha messo sotto accusa la Storia italiana, le sue classi dirigenti. L’ha giudicata severamente, come a suo tempo avevano fatto Leopardi e Gramsci. Ha emesso i suoi verdetti, sfidando l’impopolarità. “Meglio nemici del popolo che della verità”, dirà in una delle sue più dense e belle Lettere Luterane. Pasolini ha sempre lasciato il segno. Accusato o accusatore che fosse, ha sempre abitato il “luogo” per eccellenza della verità giuridica: il Processo. Per necessità e per scelta. Un destino che neanche la morte ha interrotto.