In primo luogo, gli Stati membri vengono distinti in tre diversi gruppi a seconda del loro indebitamento: elevato (oltre il 90% del PIL), moderato (tra il 60 e il 90%) e basso (inferiore al 60%). Sulla base di tale distinzione, un po’ come accade per le linee di credito del MES, l’allontanamento delle nuove regole sulla governance comporterà procedure e sanzioni più o meno stringenti. A ciò si aggiunga che l’impatto che avrà per un Paese la circostanza di essere inserito tra quelli a rischio elevato, come accadrebbe all’Italia, non può che essere negativo, producendo un effetto stigma pari se non peggio di quello collegato ad un eventuale ricorso al MES (Tria).
In secondo luogo, prendendo spunto dal meccanismo introdotto dal Recovery fund nell’ambito del NGEU, gli Stati membri dovranno concordare con la Commissione un Piano fiscale almeno quadriennale di avvicinamento al 60% del rapporto debito/PIL che includa anche riforme e investimenti (che in seguito sarà adottato dal Consiglio), concordando un tetto pluriennale alla spesa pubblica dal cui computo sono esclusi solo gli interessi sul debito e i sussidi alla disoccupazione. Questo Piano, però, è immaginato in maniera tale che i Paesi definiti ad alto rischio dovranno concordare maggiori riduzioni di spesa in minor tempo (di norma 4 anni rispetto ai 7 concessi agli Stati a basso rischio), con l’aggravante che in caso di allontanamento dal percorso concordato l’UE potrebbe decidere l’interruzione delle erogazioni del PNRR.
In terzo luogo, anche in questo caso ricalcando le orme del Recovery fund, sia il controllo sull’applicazione del Piano sia le eventuali sanzioni saranno più rigorosi rispetto a quanto precedentemente previsto: sanzioni finanziarie (sebbene di importo ridotto rispetto al passato) e “reputazionali” (ad es., i ministri dei Paesi che non rispettano il proprio Piano dovranno comparire davanti al Parlamento UE e spiegare come intendano rientrare dall’infrazione), ma soprattutto la riduzione della possibilità di accedere ai Fondi europei.