Con straordinaria efficacia Hobsbawm ha riassunto questo complessivo, epocale mutamento sottolineando come sia divenuto «sempre più chiaro nella seconda metà del secolo breve che il Primo Mondo può vincere battaglie, ma non guerre contro il Terzo Mondo». Il primo ventennio del XXI secolo ha suonato conferma di questi assunti e le geometrie rivelate dal disporsi delle varie potenze mondiali rispetto alla guerra in corso contro l’Ucraina rivela quanto pesi l’isolamento Occidentale e come e quanto sia stata ridisegnata nel mondo l’egemonia a stelle e strisce: specie dopo Trump e il precipitoso ritiro dall’Afghanistan. Inediti equilibri si ridisegnano attorno alla nuova Via della Seta intessuta dall’autocrazia cinese mentre l’incerto cammino europeo, ulteriormente azzoppato dalla Brexit, rivela come e quanto Putin puntasse a capitalizzare su queste defaillances.
“Grande convergenza” e unificazione dell’umano
A dispetto però di queste profonde fratture, la nostra frequentazione della globalizzazione ci rivela che la storica «grande divergenza» segnalata da Kenneth Pomeranz sotto gli effetti della rivoluzione industriale si è venuta ricomponendo in una «grande convergenza», in un riequilibrio epocale di ragioni di scambio e di vita. A partire dalla fine degli anni Settanta la straordinaria crescita demografica del pianeta – dai 2,5 miliardi del 1950 agli 8 dei nostri giorni – si è accompagnata al riequilibrio delle ragioni di scambio e produzione sul pianeta: grazie soprattutto agli straordinari processi di delocalizzazione attivati dalle transnazionali e all’apertura all’investimento estero praticata dalle autocrazie, l’industria ha visto gli addetti di Giappone e paesi occidentali scendere dal 65% del 1970 all’attuale 27%. A crescere le Tigri asiatiche assieme ai giganti di India e Cina.
A guardar bene, però, è in altri segni, in altre manifestazioni che risiede una sorta di unificazione del mondo, più sottile, resistente allo sguardo, straordinariamente ambigua nelle sue manifestazioni. La «folla solitaria» che David Riesmannel 1950 vedeva agitarsi per le streets e avenues di New York o Chicago, con il suo individuo massificato, eterodiretto, ‘conformato’ ai gusti e alle mode del suo gruppo di riferimento, solo e disarmato nella moltitudine che agitava marciapiedi e mercati, non è più nel Terzo Millennio un segno distintivo della civiltà occidentale. Ansiosa, inquieta, irrefrenabile agita e rimescola spazi e tempi di quel 60% dell’umanità che ormai vive, ai quattro angoli del mondo, nelle megalopoli del pianeta, nelle sue megacities. Bulimica di vita e consumi allunga la sua giornata sempre più nella notte, mercificando oltre misura desideri e bisogni, a discapito magari di una accettabile socialità: il risultato è che oltre un miliardo di persone vive ormai in slums e che le aree urbane del pianeta sono costrette a fare i conti con crimine, traffico congestionatissimo, carenza di case, inquinamento, approvvigionamento energetico quando non d’acqua potabile ecc.